Una dc diversa?

Una dc diversa? TACCUINO Una dc diversa? Al congresso dei comunisti siciliani. Svolge la relazione introduttiva Achille Occhetto, segretario regionale. Sarà poi distribuita agli intervenuti, ciclostilata e spillata: centosei pagine. Per mestiere, mi rifiuto di credere che quel che si dice in cento pagine non si possa dire altrettanto bene in cinquanta e ancor meglio in dieci. Voglio dire: per il mestiere di scrivere così come io 10 pratico. Ma pare che nei congressi di partito, e specialmente in quelli del partito comunista, la lunghezza della relazione introduttiva sia tradizione, rito. Comunque, la relazione di Occhetto non dà l'impressione di una voluta, osservante lunghezza: è piena di cose; e resiste anche alla verifica della lettura. Scritta bene, e anzi con qualche compiacenza letteraria, Occhetto la dice benissimo: nettamente, sapientemente, senza l'indiscrezione tribunizia delle ascensioni, planamenti e pause che chiamano, quando non invocano, gli applausi. La seguo con rare distrazioni: e le distrazioni non sono tali da farmi perdere il filo. Giusta analisi, esatta diagnosi. La novità di una critica al milazzismo, di un ripensamento: e che il partito comunista non è disponibile per nessun pasticciaccio più o meno somigliante a quello. L'avvertimento è rivolto alla democrazia cristiana, ma con così misurata polemica che ci vuole buon orecchio per cogliere, di tanto in tanto, il sibilo di una frustata. Per i socialisti, un fraterno ammonimento: non cercate di ereditare le clientele democristiane. Tutto giusto, su tutto si può essere d'accordo. Ma appena Achille Occhetto ha cominciato a parlare della democrazia cristiana, dei rapporti con essa del partito comunista, del compromesso storico, ecco che sono caduto nella prima distrazione. Senz'altro automatica e banale, rappresa in una di quelle indelebili figurazioni che ci ha lasciato lo studio scolastico della storia della filosofia: Achille e la tartaruga. La memoria recita: « Secondo Aristotele, quattro sono gli argomenti di Zenone intorno al movimento che si presentano di difficile soluzio ne. Primo: il movimento è inesistente per la ragione che 11 mosso deve giungere prima alla metà che non al termine. Secondo: è l'argomento detto Achille, che sostiene l'impossibilità che il più lento sia rag giungibile mai dal più ve loce... ». Capricciosamente, in forma estravagante, la mente mi portava a una domanda non capricciosa e non estravagante: è possibile ci sia all'inseguimento un termine in cui Achille raggiungerà la tartaruga, il più veloce il più lento, il partito comunista la democrazia cristiana? Ammettiamo che ci sia. E qui altro scarto di distrazione, altra carta estratta dalla memoria, altra estravaganza: una scena dell'Isola del tesoro di Stevenson, quando il capitano Smollet, prevenendo l'azione della ciurma ammutinata, riesce a non farla uscire dal boccaporto di prua; e poi fa appello al marinaio che sa fedele, che esca dal boccaporto e lo raggiunga. C'è un momento di silenzio, di sospensione; poi un tramestio, un rumore di colpi: e il fedele marinaio vien fuori sanguinando da una ferita alla guancia. Ecco, come nei sogni smorfiati per il giuoco del lotto, la democrazia cristiana chiusa nel boccaporto di prua, padrona della nave, come la ciurma dell'Hispaniola, e al tempo stesso prigioniera. E si può certo, ragionevolmente, fare appello a qualcuno che ne esca — e aspettarsi che esca con qualche ferita. Ma tutti, è mai possibile che escano tutti per mettersi a governare la nave d'amore e d'accordo con gli altri, come quando salparono? Questo è il punto, a quanto pare, questo il problema: che escano tutti. E qui lasciamo andare parabole e metafore, gratuite o pertinenti che siano, e domandiamoci se davvero si può pretendere che la democrazia cristiana diventi diversa, se davvero si può credere che possa mutare senza morire. Eppure — questo è il dramma — i comunisti non possono non pretenderlo, non possono non crederci. E onestamente: cos'altro possono fare? Il che vuol dire che la vita politica italiana — né può essere altrimenti — è appesa (possiamo scegliere) a un'utopia o a un paradosso. ★ ★ Leggo l'articolo di uno scrittore cattolico francese sulla morte del cardinale Daniélou Come si suol dire, non sa che pesci pigliare. Non sa se addebitare questo « duro colpo per la Chiesa di Francia » alla fragile resistenza del defunto cardinale alle tentazioni, all'erotomania delia nostra società, al popolo che nella misura in cui si scristianizza diventa più esigente nei riguardi dei preti, al troppo poco amore che c'è nel mondo. E mi pare che se la prenda troppo calda, per un caso che va ad aggiungersi a tantissimi altri della Chiesa di Francia, d'Italia, di Spagna... L'erotomania della nostra società non c'entra per niente: 0 dovremmo richiamare l'erotomania dell'Alto e del Basso Medioevo, quella del Rinascimento italiano, del Sei e del Settecento francese, dei domini coloniali spagnoli, della Francia da Napoleone III a Pétain; e insomma l'erotomania di dovunque e di sempre, nel mondo cattolico. Né è vero che il popolo diventa più esigente verso i preti nella misura in cui si scristianizza: era già scristianizzato quando non era esigente; ed era scristianizzato appunto dal fatto di non poter esigere nulla dai preti, dai vescovi, dai cardinali (e il più grande reperto di scristianizzazione, non soltanto in senso erotico, restano i sonetti di Belli). Comunque, se fossi cattolico mi sentirei più rinfrancato che amareggiato dal caso del cardinale Daniélou: ha continuato la tradizione, finora splendida, del «fate quello che dico, non fate quello che faccio ». Poiché cattolico non sono, confesso tutta la mia umana e cristiana simpatia per il personaggio. + ★ Due brevissime cose poco note di due grandi scrittori. Una lapide dettata da Luigi Pirandello, a Porto Empedocle: «Due stirpi I con vicenda ineguale di nascita di vita di morte I due Italie I florida una di comuni splendida di signorie I com: da' fiumi percorsa I da vividi alterni destini I l'altra arida da secoli povera I feudalmente immota 1 ma sempre accesa nell'ansia I da generosi ardimenti I a prezzo di lunghi martini e di sangue I a comune difesa pel libero esercizio I dell'umana lavoro I cinquantanni com'o&gi ■ ricomposte per sempre si vollero I nell'unità di Roma ». E' del 27 marzo 1911. E c'è qualcosa che fa pensare a I vecchi e i giovani: libro da rileggere (o da leggere). L'altra è di Giovanni Verga, una « cosa vista » nei giorni del terremoto di Messina: « Nel carrozzone dei profughi, due povere donne sedute accanto, col fagotto della roba che avevano avuto al Municipio sulle ginocchia, si narravano i loro guai. Anzi una non parlava più; guardava nella folla con certi occhi stralunati, quasi cercando la figlia che le avevano detto fosse stata salvata da un giovanotto quando trassero anche lei dalle fiamme e dalle macerie. Una ragazza bella come il sole, che chi l'aveva vista una volta l'avrebbe riconosciuta fra mille. L'avevano vista rifugiata sotto un portone — tra i feriti del Savoja — alla stazione. Tutti l'avevano vista, fuori che lei! Dalla stazione aveva visto soltanto la sua casa che bruciava, per due ore, sinché il treno stette lì. E ora, mentre cercava la sua creatura fra la gente, da otto giorni, e pensava a lei che forse la cercava e chiamava aiuto, vedeva ancora quella distruzione e quell'incendio come un rifugio, una disperata certezza. — Ora son sola — diceva l'altra. — Quando incontrai mio marito, qui per caso, salvo anche lui, non mi pareva vero. Ma avevo tre figli; una maritata, colla grazia di Dio, e il maggiore che mi portava a casa già la sua giornata... Tutti! Tutti!... Io mi ero alzata appunto pel più piccolo ch'era malato quando successe il terremoto. Il Signore non mi volle —. Ne parlava tranquillamente, colla faccia gialla e la testa fasciata. — Ora, quando lui sarà guarito, andremo in America —. L'altra alzò gli occhi, soltanto, e la guardò. — Certo, che faremo qui? —. In America? — disse un altro profugo. — Non sapete che vita da cani! Peggio dei cani li trattano i cristiani! —. Ella a sua volta guardò sbigottita colui, come a ripetere: Che faremo qui? — Qui siamo nati; qui sono le pietre delle nostre case! — dissero gli altri ». E' una piccola cosa, ma la riconosceremmo di Verga anche se anonima: soprattutto per quel particolare di dolorosa acutezza della donna che, dopo otto giorni, « vedeva ancora quella distruzione e quell'incendio come un rifugio, una disperata certezza ». Leonardo Sciascia

Luoghi citati: Alto, America, Francia, Italia, Messina, Porto Empedocle, Pétain, Roma, Spagna