Marghera: esperti diranno se il mare è stato avvelenato di Claudio Cerasuolo

Marghera: esperti diranno se il mare è stato avvelenato Mentre la Laguna è ormai superinquinata Marghera: esperti diranno se il mare è stato avvelenato Sono stati chiamati dal magistrato - Le industrie scaricano un milione di tonnellate Tanno di fanghi bianchi e rossi a quindici miglia dalla costa ■ Bloccare gli scarichi significherebbe fermare ogni attività della Montedison, dell'Ammetal e dell'Ammi (Dal nostro inviato speciale) Venezia, 17 luglio. Le industrie di Porto Marghera che scaricano un milione di tonnellate — dalle 3.000 alle 5.000 tonnellate al giorno — di fanghi bianchi e rossi di fronte a Venezia, a quindici miglia dalla costa, dicono che si tratta di materiale inerte, privo cioè di una carica inquinante. Qualcuno — primo tra tutti l'allora assessore all'ecologia del Comune di Venezia, avvocato Casellati, oggi dimissionario — sostiene il contrario. La magistratura, che ha aperto un'inchiesta sull'ultimo capitolo dell'inquinamento veneziano, ha deciso di girare il quesito ai periti. E' imminente l'arrivo a Venezia di due esperti del laboratorio di idrobiologia di Roma, l'istituto al quale l'art. 147 del regolamento d'esecuzione della Legge sulla Pesca consiglia di rivolgersi «nei casi di particolare complessità ». Si ripete un po' la storia di Scarlino. Prima di arrivare al sequestro delle navi che trasportavano il materiale in mare, il pretore attese l'esito di tutte le perizie. A Venezia non è in gioco la vita di uno stabilimento ma di mezza Porto Marghera. Bloccare sii scarichi vorrebbe dire fermare la produzione di acido fosforico, di allumina e di leghe di zinco, tanto per citare gli stabilimenti più direttamente interessati. Entrerebbe in crisi la Montedison, l'Alumetal e l'Ammi, due fabbriche queste ultime con maggioranza di capitale pubblico. Dall'altra parte stanno gli interessi ben più vasti della collettività. Non si tratta più dell'inquinamento della laguna, ampiamente riconosciuto e per il quale a tutt'oggi non si è ancora preso un provvedimento, ma della vita del mare minacciata da una razione di veleni quotidiana, una montagna di rifiuti alta 25 metri, lunga 200 e larga 100 metri. II fondale in tutto l'alto Adriatico non supera mai i cinquanta metri e nella zona di scarico è profondo in media 25 metri. I magistrati che conducono l'inchiesta, il procuratore Gianfranco Carnesecchi e il sostituto Ennio Fortuna, procedono con cautela ma con decisione. « Per ora stiamo controllando alcuni atti amministrativi », dice il dottor Fortuna alludendo all'ordinanza della Capitaneria di Porto che a partire dal settembre del 1970 ha concesso l'autorizzazione allo scarico. «Ma attendiamo guanto prima dei risultati », dice Fortuna che vuole aggiungere ai campioni già in suo possesso quelli che raccoglieranno i due esperti del laboratorio romano. Sollecitato o meno dai magistrati ogni ente « coinvolto » nell'inchiesta sta verificando la propria posizione. Lo fa il medico provinciale che a suo tempo avevp. dato parere favorevole agli scarichi, pur consigliando in una lettera del maggio 1972 di adottare particolari accorgimenti per eliminare la carica inquinante del materiale. «Ma non so se poi lo abbiano fatto » aveva detto in quella occasione il dottor Magri. Tra la corrispondenza finita sul tavolo del magistrato c'è una lettera inviata al Comune dall'allora presidente del Magistrato alle Acque, Luigi Lancetti. Porta la data del 9 dicembre 1971 e solleva le prime serie perplessità sulla « neutralità » (assenza di ogni carica inquinante) del materiale quotidianamente inabissato di fronte a Venezia. «Per quanto riguarda l'eventuale inquinamento del mare, fuori laguna, interessante la sua flora e fauna, a suo tempo sono state trasmesse le analisi chimiche del Laboratorio provinciale di igiene e profilassi di Venezia, concernenti le sostanze da scaricare citate nell'ordinanza, all'Istituto di idrobiologia marina di Venezia con richiesta di notizie... Detto istituto, — afferma però il presidente Lancetti — non ha fatto finora conoscere le proprie determinazioni sulle eventuali conseguenze degli scarichi. L'ordinanza fissava altresì che le materie dovessero essere neutralizzate il più possibile, essere prive di sostanze tossiche e con ph fgrado di acidità ndrj compreso tra 6 e 8 e si basava sulle analisi ti. 2504-2506 e n. 2507-2508 in data 30 luglio 1970». Altri dati, questi, che sono già al vaglio del magistrato. Nella stessa lettera il presidente Lancetti è del parere che « vi sia una maggiore necessità di conoscere l'intensità dell'inquinamento che dal punto di vista di scarico in mare si verifica nelle successive fasce saprobiche » (un ambiente ricco di sostanze organiche in decomposizione ndr.). Il provveditore conclude invitando l'autorità sanitaria comunale ad esprimere il proprio parere, consiglia di «non diminuire assolutamente l'intensità delle operazioni di controllo, già tanto complicate » ed invita tutti gli enti interessati ad un riesame del problema. Più di tre mesi dopo, il 1° marzo del 1972, l'assessore all'ecologia del Comune di Venezia, Antonio Casellati, oggi dimissionario, è costretto a rispondere: « Non avendo ottenuto le necessarie collaborazioni debbo declinare ogni mia responsabilità per quanto concerne una mancata e tardiva risposta. Non posso far altro che esprimere la mia volontà politica di rifiutare ogni consenso ad ulteriori inquinamenti della laguna, attuati anche mediante discarica di materiali inquinanti in mare aperto ». Nel dicembre del 1973, invertendo il gioco delle parti, quando ormai la magistratura si sta attivamente interessando ai fanghi rossi e bianchi, è il Comune a chiedere al Magistrato alle Acque di conoscere la composizione del materiale scaricato in mare. Ora spetta ai peritiverificare l'affermazione delle società interessate allo scarico (Montedison, Ammi e Alumetal), che cioè i fanghi sono neutri, non hanno alcuna carica inquinante. Sul problema dell'inquinamento in generale dice la Montedison: « L'adeguamento dell'industria alle nuove esigenze ecologiche richiede tempi tecnici incomprimibili, che devono essere concessi nell'interesse generale a chi si impegni in un preciso programma di risanamento e dimostri di rispettarne le scadenze. Agire altrimenti significa privilegiare non coloro che intendono adeguare i loro impianti ma quelli che riescono in qualche modo a sfuggire ai controlli: situazione paradossale che porta a considerare la costruzione di un impianto di depurazione come una ammissione di inquinamento e quindi di colpa che richiama sull'ingenuo sanzioni di legge ». In merito al problema specifico dei fanghi nessuna dichiarazione ufficiale, anche se non più di una settimana fa, parlando all'esecutivo di fabbrica del Petrolchimico di Porto Marghera, un dirigente della società ha accennato ad un piano di trattamento globale per i fanghi e gli altri residui della produzione industriale del costo di 15 miliardi. Andrebbero ad aggiungersi ai 50 miliardi già previsti dal piano di ristrutturazione della Montedison a Porto Marghera. « C'è un ostacolo », ha detto però il responsabile della Montedison, riferendosi alla possibilità di ricavare dai gessi — i fanghi bianchi — un prodotto da utilizzare nell'edilizia, « l'alto costo del prezzo di produzione, quasi doppio a quello di mercato ». Claudio Cerasuolo

Persone citate: Antonio Casellati, Casellati, Ennio Fortuna, Gianfranco Carnesecchi, Luigi Lancetti, Magri