Lo scandalo dei musei discusso alla Regione

Lo scandalo dei musei discusso alla Regione Per salvare le gallerie torinesi Lo scandalo dei musei discusso alla Regione La grave situazione degli istituti piemontesi illustrata dai direttori e dagli studiosi d'arte -1 "beni culturali" di Torino non possono attendersi, almeno per il momento, grandi aiuti dallo Stato Se vi fosse stato bisogno di un incentivo al desiderio di frequentazione dei musei che anche per gli italiani, finalmente, sta diventando un costume popolare, l'epidemica chiusura delle collezioni statali (ma anche quelle degli enti locali non sono, per questo verso, su un letto di rose) non avrebbe potuto sortire miglior effetto. Il caso del Museo Egizio di Torino è significativo. Minacciato di ridursi per mancanza di custodi a un terzo o un quarto del suo straordinario « spettacolo», e salvato in extremis da tanta decurtazione per l'intervento del soprintendente ai Monumenti prof. Chierici che offrì una parte del suo personale al collega egittologo prof. Curto, bastò la notizia che sarebbe stato nuovamente tutto visitabile per affollare domenica a tal punto le sue sale da costituire un fatto di cronaca. Che più? Pur nella grave condizione del Paese, che duramente incide sulla vita materiale di ogni cittadino non privilegiato, mai l'opinione pubblica è stata tanto sensibile, come oggi, alla situazione deplorevole dei nostri musei, e ne fa fede l'indignazione suscitata dalla chiusura di Brera a Milano, di quella parziale dell'Egizio e di varie altre raccolte statali e civiche. Di colpo gli italiani si sono accorti di non poter vivere civilmente senza questi istituti e dell'urgenza di ovviare alle loro carenze. Ma con quali mezzi? E in quali modi? Dato l'assenteismo governativo (si veda l'elzeviro di ieri, su La Stampa, del senatore Spadolini, presidente della commissione senatoriale «per la Pubblica Istruzione e le Belle \rti ») un intervento urgente non può venire che da un'azione decentrata e decentratrice: intendiamo Regione, Provincia, Comune; almeno fino a quando quel «ministero dei Bèni Culturali» la cui istituzione fu ìllusoriamente salutata come una svolta provvidenziale dell'amministrazione (da tutti i punti di vista) delle Antichità e Belle Arti, non sarà uscito dallo stato larvale che ne fa un malinconico fantasma (ma s'incarnerà mai in una creatura fattiva? Ne dubitiamo, almeno per qualche dozzina d'anni), e sarà posto in grado, anche munito di « portafoglio », di agire con pienezza di poteri. Appunto a una situazione che a Torino, come in altre città italiane, sta divenendo catastrofica si riconnette la riunione di direttori e funzionari dei musei torinesi, di studiosi d'arte e d'altri interessati ai problemi dei « beni culturali » che il presidente della Regione Piemonte, avv. Oberto, ha indetto ieri mattina nella sede di piazza Castello: e non sapremmo lodare abbastanza la sua iniziativa. Non era un convegno dal quale potessero scaturire, come l'acqua dalla rupe percossa dalla verga di Mose, delle provvidenze immediate. Semplicemente l'avv. Oberto voleva ascoltare le voci, inevitabilmente discordi ma nel loro insieme indicative, d'un certo numero di « addetti ai lavori », prima di fare proposte e di prendere provvedimenti: un convegno, del resto, che sarà periodicamente ripetuto. Gli interventi sono stati parecchi, di diversa natura secondo la mentalità dei vari parlanti, e certo non inutili. Ma la nostra impressione è che troppo, e troppo a lungo, i discorsi si siano mantenuti sul piano teorico, anche con sconfinamenti sul terreno politico, e soprattutto insistendo sulla metodologia. Si è deprecato che musei ed altri « beni culturali » siano intesi quali strumenti di sfruttamento turistico, quasi che un taglio netto si possa fare tra turismo e cultura, e che abbia da farci orrore quella valuta pregiata che lo straniero ci porta visitando, da turista intelligente, gli Uffìzi od Ercolano. Si è giunti a dichiarare che conviene rallegrarsi della chiusura di Brera o del Museo Egizio, perché alfine si sarà « toccato il fondo » costringendo lo Stato alle sue responsabilità. Sono gli infantilismi dei fanatici del « metodo » e della purezza ideologica. Forse che da anni tutta l'Italia colta non protesta contro l'inerzia governativa nel campo dei « beni culturali »? Con quale risultato? E pur con tutto il rispetto dovuto alla metodologia, vorremmo sapere a che cosa essa abbia giovato — compresi i tre giganteschi volumi pubblicati dall'e'qwipe di Cavallari Murat — nei riguardi del « centro storico » di Torino: che quelle discussioni di « metodo » cui partecipammo in tanti consessi di dotti, risalgono all'immediato dopoguerra, a prima del 1950. D'accordo: bisogna che il governo appronti progetti di legge adatti in tutti i sensi, e che il Parlamento li approvi. Quando? E per quando? Si veda ancora una volta l'articolo di Spadolini. E poi, a questi chiari lumi di luna, il Tesoro darà i soldi necessari, non di nuovo in misura irrisoria? L'esperienza fatta con le famose commissioni Franceschini e Papaldo dovrebbe ammaestrarci circa una « credibilità » nella volontà centrale. E d'accordo anche sulla diffidenza per certi palliativi più o meno realizzabili: come l'impiego di militari alla custodia dei musei, o di obiettori di coscienza, o — per l'urgenza del caso Museo Egizio a Torino — di vigili urbani. Ma non si dimentichi che il tempo stringe, che nulla, per ora, ci si può attendere dal ministero della Pubblica Istruzione (l'ha dichiarato il prof. Curto, reduce da Roma), e tanto meno dal fantomatico ministero dei « Beni Culturali ». L'unica salvezza non ci può venire che dall'indicazione che l'avv. Oberto ha dato promuovendo il convegno di ieri. Porse un « Consorzio » formato dalla Regione, dalla Provincia, dal Comune, che costituisse una « Finanziaria » per provvedere a una dignitosa vita dei musei e degli altri « beni culturali » di Torino sarebbe la soluzione adatta per un risultato concreto?

Luoghi citati: Italia, Milano, Piemonte, Roma, Torino