Il potere nei musei

Il potere nei musei Il potere nei musei La Commissione senatoriale per la Pubblica Istruzione si fregia di un « attributo » che è sconosciuto alla parallela commissione di Montecitorio: comprende, fra i suoi compiti specifici e dichiarati, le « Belle Arti». Etichetta formale che coincide con una tradizione, che rievoca un mondo e un clima scomparsi. « Commissione per la Pubblica Istruzione e Belle Arti »: sembra quasi di tornare allo stile prefascista, agli anni dell'ultimo governo Giolitti in cui, accanto a ministri della Pubblica Istruzione che si chiamavano Benedetto Croce, c'erano sottosegretari per le Belle Arti che corrispondevano al nome di un Giovanni Rosadi, avvocato e umanista fiorentino della vecchia scuola. Nella sua ansia di buro:ratizzazione e di livellamento, il fascismo soppresse quel sottosegretariato e instaurò una politica di magniloquenza monumentale che si oppose allo stile discreto e guardingo, cauto eppure concreto, con cui intorno agli Anni Dieci — proprio nel pieno dell'età giolittiana — si era avviata una politica di valorizzazione e di tutela del nostro patrimonio artistico, culturale e archeologico. L'organizzazione, parca e misurata, dei musei e delle soprintendenze di oggi nasce in quell'epoca, commisurata alle proporzioni e alle possibilità dell'« Italietta »: il cosiddetto «potenziamento» fascistico fu travolto dagli sconvolgimenti e dalle distruzioni della guerra. E trent'anni di democrazia non sono riusciti a impostare un minimo di politica organica e coerente per i « beni culturali », fino allo scandalo oggi dilagante per i musei chiusi o che dovranno chiudere nelle prossime settimane, proprio nel pieno del turismo estivo, scandalo che si inserisce nella totale paralisi della pubblica amministrazione, favorita dalla sciagurata legge dell'esodo. Sopravvive solo, nell'isola appartata di Palazzo Madama, quella nobile etichetta: ma con quali possibilità di farsi valere, di farsi sentire nel dramma che vive il Paese? Più di un anno fa ci fu un momento di speranza, un lampo di fiducia nella polemica che si trascinava da anni, punteggiata da inchieste parlamentari anche diligenti e accurate, come quella del benemerito on. Franceschini, ritmata da proposte di legge regolarmente cadute con la decadenza delle legislature: fu il momento in cui sorse all'orizzonte il « Ministero dei Beni culturali », con la creazione di una struttura « ad hoc », non pletorica, non monstre, ma tale da disporre di un certo numero di strumenti concreti, sottratti all'elefante ormai anchilosato di viale Trastevere, all'immenso e quasi kafkiano castello dell'Istruzione. Scelto, per quella carica, un ingegnere lombardo serio e senza fronzoli, il senatore Ri pamonti; risparmiati i sottosegretari. Annunciato entro pochi mesi o settimane il trasferimento della direzione generale Antichità e Belle Arti — quella che Bianchi Bandinelli ha chiamato in uno sfogo ironico e non ingiustificato « AA.BB.AA e BC » — alla competenza del nuovo ministero. Inchieste sui giornali; dibattiti alla televisione. Speranze riaffioranti o ritornanti nei vari soprintendenti che l'assurda legge sulla dirigenza spostava da una sede all'altra, annullandone le competenze specifiche e le capacità maturate in decenni di avaro servizio, civile e culturale insieme: clamorosi rimasero i casi degli Uffizi e del Museo delle pietre dure di Firenze. Il personale, scarso, malpagato, sacrificatissimo, pensò per un momento di inserirsi con raddoppiati poteri in una politica di « rilancio » culturale dello Stato, volta anche — e ce n'era bisogno! — a colmare il deficit, già allora avanzato, dei conti con l'estero attraverso l'incremento della partita « turismo ». Qualcuno scomodò persino l'ombra di Malraux... Eppure... bastò meno di un anno per smentire ogni illusione. Tutto si risolse in una classica « operazione all'italiana »: bloccare la vecchia struttura senza mettere in moto la nuova. Il trasferimento dall'una all'altra competenza non avvenne né a scadenza di tre mesi né a scadenza di dodici mesi; i progetti rimasero tali, aggravati da strutture cartacee. Bandita dalla giurisdizione della Pubblica Istruzione, non ancora ammessa alla nuova sovranità, nominale e decorativa, la direzione generale, che già non disponeva neanche dei mezzi commisura¬ ti alle esigenze di cinquantanni fa, fu letteralmente sommersa dallo scoppio delle inadempienze decennali. Il progetto istitutivo del ministro Ripamonti — quello che avrebbe dovuto essere sottoposto all'esame della Commissione senatoriale che ho l'onore di presiedere, « per la Pubblica Istruzione e le Belle Arti » — era quasi pronto quando sopraggiunse la crisi del quarto governo Rumor. Nessuno pensò a lasciare lo stesso titolare a un dicastero appena nato e non ancora funzionante, mera astrazione dell'* Annuario parlamentare », sigla senza contenuto concreto; il giuoco delle correnti e delle sottocorrenti si estese con disinvoltura a quel settore essenziale, riserbò la relativa poltrona ad altro valentuomo, senza rispetto del lavoro compiuto, senza interesse per quello da compiere. E la conclusione è che la commissione senatoriale per le Belle Arti non sa neanche quando e se giungerà al suo esame la legge istitutiva di un ministero già inserito nella colonna « passivi » della spesa pubblica... Proprio in queste settimane l'Italia, o almeno l'Italia colta, è stata dominata dal ca-so della Pinacoteca milanese di Brera. Un sovrintendente operoso e coraggioso che decide la chiusura del museo, dopo averne avvertito « li superiori », proprio come richiamo all'intero Paese, come campanello d'allarme; Milano — Milano che tanto dà e tanto darebbe di più, se potesse, alla causa della conservazione del patrimonio artistico — che si indigna, che si protesta, che si accende. Partono telegrammi per Roma: uno per l'amico Malfatti, uno per me. La mia risposta sottolinea i limiti del potere parlamentare in questo settore: se non .Q'.b. iniziativa governativa, il Parlamento non può da solo colmare le spaventose e crescenti lacune. Quanto al governo, il ministro che finisce per intervenire — non potendolo fare più, correttamente, il titolare della Pubblica Istruzione — è il responsabile del Turismo e dello Spettacolo. Il caso, o la fortuna, vogliono che sia sempre il senatore Ripamonti, sbalzato dall'uno all'altro dicastero ma sempre milanese, sempre lombardo... E tutto procede con questo ritmo. La dotazione di ventisei miliardi per l'intero patrimonio artistico equivale a molto meno della spesa per uno solo di quegli enti inutili, tipo Opera Maternità e Infanzia, che la Camera è riuscita a salvare ancora una volta pochi giorni fa, nonostante le proposte soppressive che partivano da sponde della stessa maggioranza come i repubblicani. I musei non hanno mezzi; i soprintendenti debbono accudire a tutte le esigenze, sostituire i ragionieri che non ci sono, tenere i libri contabili di un'amministrazione arcaica e ormai quasi del tutto paralizzata. La povertà delle sedi storiche è accentuata dal contrapposto spreco di mezzi che caratterizza certe sedi periferiche, che godono dei vantaggi delle Regioni a statuto speciale o delle varie Casse del Mezzogiorno. Un terzo delle gallerie italiane è chiuso; gli altri due terzi rischiano di chiudere per assoluta penuria di personale, soprattutto di personale di custodia. Non si fanno i concorsi, anche quando esistono le dotazioni. La guerra fra i sindacati e il governo ha privato i turisti stranieri anche della possibilità di comprare una guida o una cartolina: tutto è passato al mercato nero, in bancherelle improvvisate ma rivelatrici di un generale sfacelo. Ci rimane un solo primato, ma è proprio un primato «giobertiano»: quello del numero dei musei, che l'ente culturale delle Nazioni Unite ci assegna in 1400 contro i 900 dell'Inghilterra e gli 870 dell'Unione Sovietica. Ma l'Istituto di Statistica, di casa nostra, corregge i 1400 — quelli che valgono per la platea internazionale — in 600, effettivamente esistenti. E per quei 600 — che pur rappresentano tanta parte della ricchezza nazionale — l'Italia è riuscita a strappare un altro « Oscar ». Quello di accumulare, secondo ì calcoli della Fondazione Lerici, circa 400 miliardi annui di perdita per depauperamento. Duecento per insufficiente manutenzione, quasi centocinquanta per corrosione e inquinamento atmosferico, oltre quaranta miliardi per furti e scavi abusivi. Ecco un'altra maniera, da non sottovalutare, per alimentare l'inflazione. L'inflazione e la recessione insieme. Giovanni Spadolini

Luoghi citati: Firenze, Inghilterra, Italia, Milano, Roma, Unione Sovietica