L'onorevole Salvemini

L'onorevole Salvemini Due saggi minuziosi L'onorevole Salvemini « Se mi eleggete deputato, vi sarò grato della vostra fiducia, e cercherò di difendere meglio che potrò i vostri diritti. Se volete non un deputato, ma uno sbrigafaccende, votate per un altro ». Nonostante questa scoraggiante dichiarazione Gaetano Salvemini venne eletto deputato nelle elezioni del 1919 in provincia di Bari nella lista dei combattenti (28 mila voti), con 16 mila preferenze. Raffaele Colapietra ha seguito giorno per giorno l'on. Salvemini dal 1" dicembre 1919, quando mise piede per la prima volta a Montecitorio, attraverso una ricerca minuziosa, apparsa nel numero speciale che La Rassegna Pugliese ha dedicato in questi giorni al grande molfettese. Il giovane storico ha analizzato criticamente discorsi, interrogazioni (una valanga), l'attività pubblicistica e politica. Lo stesso dicasi dell'altra ricerca, ugualmente importante, contenuta in questo fascicolo, dello stesso Colapietra su Salvemini consigliere provinciale di Terra di Bari, eletto il 26 luglio 1914 nei mandamenti di Bitonto e di Molfetta, le due città che sono rimaste celebri nelle vicende della lotta politica prima e dopo la prima guerra mondiale. Quale Salvemini viene fuori tramite la conoscenza di fonti dirette e la ricostruzione di fatti, dati, polemiche che nei primi anni del Novecento occuparono le pagine dei grandi quotidiani italiani? Un Salvemini, calato nel suo mondo pugliese, abbastanza sconosciuto. Alcuni schematismi interpretativi, alcuni luoghi comuni vengono a cadere. Sorge 10 stimolo a nuove indagini storiche « dal basso » che vadano oltre l'orizzonte archivistico entro cui per gran parte si sono mantenuti nelle loro ricerche sulla Puglia di quel periodo Simona Colarizi e Fabio Grassi. ★ ★ Salvemini antigiolittiano sfegatato? Certo, quando scoppiano i fatti di Terlizzi, di Bari, di Altamura (il famoso « incendio al municipio » del '19 raccontato sull'Unità da Tommaso Fiore), di San Nicandro, il suo indice accusatore si leva contro « il ministro della malavita »: « Tutti laggiù sanno che non vi è giustizia in Italia, che bisogna farsi giustizia da sé, perché il governo è prepotente con i deboli e vigliacco con i forti ». E quando ai mazzieri giolittiani subentrano quelli fascisti: « La formula è sempre la stessa: un partito che assale l'altro a mano armata, e la forza pubblica lascia fare o interviene solamente quando gli assaliti si difendono, per arrestarli ». Ma il 2 luglio del 1920 non solo concordava con Croce, in polemica coi popolari, sulla politica scolastica, ma tracciava una linea di politica estera (neutralizzazione dell'Adriatico, Fiume e Zara all'Italia, la Dalmazia agli jugoslavi) che il governo accettava. In verità in politica estera il contraddittore era Sforza, come nel '19 era stato Nitti, presidente del Consiglio, su posizioni antinazionaùste. Ma il riconoscimento andò anche a Giolitti quando giudicò il Trattato di Rapallo (1920) « opera di saggezza ». La Stampa, che aveva attaccato il Salvemini « rinunciatario », non potè non tener conto della nuova convergenza fra Giolitti-Sforza e Salvemini 11 quale, il 2 dicembre del 1920, parlando sulla politica interna, giunse fino a riconoscere al governo la sufficiente correttezza con cui si erano svolte le recenti elezioni amministrative (un « purgatorio », quanto meno, rispetto al precedente « inferno »). Salvemini antisocialista o per lo meno, sul filo dell'interpretazione di Lelio Basso e di Salvadori, staccato dal movimento reale delle masse e perciò stesso genericamente democratico? Certo, la polemica antisocialista si fa sentire, ma è solo contro il « diciannovismo », e non sarà Modigliani a confinarlo nel ruolo di isolato (« Salvemini è preoccupato di non andare d'accordo con nessuno »). Non era forse obbiettivamente difficile la sua posizione di appartenente al Gruppo Parlamentare di « Rinnovamento » (Combattenti) dal quale arrivò finanche a dimettersi, dopo aver votato spesso in modo difforme? Ma la convergenza filosocialista fu un dato costante, accentuatasi dopo il Congresso di Livorno (1921), finanche su un terreno che lo aveva visto critico nei confronti dei suoi ex compagni fin dall'inizio del secolo, vale a dire sulla politica siderurgica, assieme a De Viti De Marco e riecheggiando l'intransigenza di Luigi Einaudi. Nell'ottobre del 1919 Salvemini promosse contatti fra i combattenti e il giovane deputato socialista Di Vagno, accusato perciò dalla direzione di grave incoerenza. Anche in seno al consiglio provinciale di Bari fiancheggiò il gruppo socialista ufficiale e quando nel 1921 decise di non ripresentarsi, raccomandò ai combattenti di votare per i socialisti, con una coerenza che gli venne calorosamente riconosciuta da Puglia Rossa. ★ * Salvemini moralista astioso? Certamente, quando, con la connivenza dei combattenti locali, che a quel « misfatto » avevano dato una mano, il governo sciolse il consiglio comunale di Noci (Bari), egli ruppe ogni solidarietà con i suoi elettori: « Non mi importa di avere i voti di simile gente ». In consiglio provinciale contestò provvedimenti amministrativi di scarso rilievo, denunciò piccoli favoritismi, assunzioni politiche, errori tecnici e cattive gestioni; ma quando, nel 1920, disoccupazione, carovita e crisi alimentare si fecero sentire più acutamente, arrivò a sollecitare l'inizio immediato di lavori pubblici proponendo di passar sopra alle normali procedure. Cinque anni prima aveva salutato dal suo banco il prefetto Faccioliti come un « uomo onesto e intemerato ». La tesi che lo stesso movimento dei combattenti, con la doppia anima, quella nazionalisteggiante e antisocialista e quella popolare, che si sarebbe palesemente rivelata negli anni cruciali dell'avvento del fascismo, sospingeva Salvemini su posizioni incerte ed oscillanti, ormai non regge più. Il discorso è più ampio e riguarda tutta la sinistra, le sue incomprensioni, le sue errate valutazioni, la svalutazione da parte dei socialisti del movimento, così come risulta dalla recentissima ampia ricostruzione che Giovanni Sabatucci ha fatto di quel periodo storico (« I combattenti nel primo dopoguerra », ed. Laterza, 1974). Alle stesse conclusioni arriva Colapietra quando analizza la base sociale alla quale Salvemini si appoggiava, che era sostanzialmente contadina. Il suo obbiettivo era di « stringere assieme le componenti, spesso divergenti, dell'interventismo, del socialismo e del meridionalismo ». Nel quadro di sopraffazione e di violenze dell'epoca le divisioni all'interno delle forze popolari, contrastate da pochi uomini lungimiranti, giocarono un ruolo esiziale. ★ ★ Le nuove idee, le nuove teorie delle alleanze, la critica dei meridionalisti rivoluzionari, non ebbero modo di dispiegare la loro efficacia, di opporre una diga al dilagante fascismo. In una lettera da Firenze del 15 aprile 1921 al socialista molfettese Giacinto Panunzio, che può apparire sconcertante per la realistica spregiudicatezza con cui affrontava problemi di tattica elettorale, miranti a mantenere il più ampio possibile il quadro delle alleanze elettorali, Salvemini rivelava ancora una volta tutta la sua capacità di presa sulla realtà. Ma arriveranno anche per lui le ore di « sconforto », di stanchezza (scriveva ad Ernesto Rossi nel '22: «Comincio a invecchiare, sono stanco »), di depressione. Di fronte allo spettacolo di inconcludenza dei Bonomi, dei Giolitti, dei Facta, anche Mussolini diventa per lui un forzoso elemento di chiarificazione. L'essenza corposa e violenta del fascismo avrebbe messo a nudo e resi palesi, come una cartina di tornasole, gli opportunismi, le viltà, le debolezze dei partiti ufficiali, avrebbe costretto tutti a rinnovarsi, a cambiare strada. Nel 1921 il combattente di tante battaglie giudicava amaramente l'inefficienza e l'inettitudine dei suoi vecchi compagni di lotta nel Barese e si illudeva che dalle elezioni del '24 potessero nascere una riscossa democratica e ancora di più « un governo di onesti ». Il delitto Matteotti lo richiamò energicamente alla lotta. Attendere un solo giorno sarebbe stata per lui una viltà. A Firenze c'erano gli uomini della sua stoffa, i Calamandrei, i fratelli Rosselli, i Traquandi, gli Ernesto Rossi, quelli del « Non Mollare ». Vittore Fiore