"Sentivo il rombo di auto sull'Aurelia e la mia famiglia era in ansia, laggiù" di Luciano Curino

"Sentivo il rombo di auto sull'Aurelia e la mia famiglia era in ansia, laggiù" Il rapito di Alassio racconta i giorni della sua prigionia "Sentivo il rombo di auto sull'Aurelia e la mia famiglia era in ansia, laggiù" I drammatici particolari del rapimento: "Erano armati e incappucciati, mi imbavagliarono e mi gettarono un pullover attorno alla testa" - Berrino non ha subito maltrattamenti: "Erano cortesi: una notte che avevo freddo uno rinunciò alla sua coperta" - I banditi dissero: "Ci servono soldi, per divertirci" (Dal nostro inviato speciale! Alassio, 12 luglio. Mario Berrino, il proprietario del Caffè Roma, rapito lunedì notte nella sua villa, è stato liberato oggi poche ore dopo che era stato pagato il riscatto. Per ottantacinque ore è stato tenuto prigioniero da banditi incappucciati in un fitto bosco sopra la frazione Solva. Cioè, a breve distanza da casa. In linea d'aria, metti tanto, ma proprio tanto, sono due chilometri dalla villa. Berrino sentiva il traffico sull'Aurelia poco sotto, sentiva l'elicottero dei carabinieri che lo cercava. Oggi, verso mezzogiorno, i rapitori gli hanno detto, semplicemente: « Lei vada » ed ha cominciato a correre giù per i sentieri del monte, è arrivato ad un campeggio. « Sono Mario Berrino, sono quello che hanno rapiti. ». Stupiti Adesso ci racconta la sua avventura. Premettiamo che alcuni punti del racconto, francamente sconcertanti, lasciano stupiti. Aggiungiamo che Berrino dice soltanto quello che può dire, e non risponde a parecchie domande. Il suo legale, l'ottimo avvocato Ricci, gli ferma una risposta e si affretta a suggerirgli: «Vuole chiarire che lei è un testimone a disposizione? ». Cioè, si ricordi Berrino che non è stato ancora interrogato dal magistrato, non deve fare dichiarazioni che possono ostacolare le indagini, deve dire soltanto quello che è stato concordato. Non deve nemmeno rivelare qual è la somma pagata per il riscatto. Berrino non conferma né nega. Tace quando gli chiediamo: « Trecento milioni è vero? ». Si domanda all'avv. Ricci: « Chi ha consegnato il riscatto? ». « Non posso dirlo. Anzi, se mi domandate se è stato pagato il riscatto, la risposta la dò io, ma è la logica conclusione della vicenda ». Cioè, non si può dire ufficialmente che la famiglia ha pagato, ma poiché Mario Berrino è qui che ci parla, è chiaro che tutti quei milioni sono stati consegnati nel tempo, nel luogo e nel modo ordinati dai rapitori. Ma ascoltiamo quello che può dirci Mario Berrino. «Come ogni sera, sono arrivato nel giardino della villa in auto... ». Spenti i fari e sceso dalla macchina, si vede da¬ vanti un individuo incappuc- \ ciato, con pistola. E subito altri due, anche loro mascherati, è quasi certo che fossero ancora di più: « Ma, capite, in quel momento non avevo tempo per contarli ». Continua il racconto. « Mi hanno preso l'orologio d'oro e il portafogli con quasi niente dentro. Penso: sono rapinatori. E la mia paura era che sarebbero poi entrati nella villa, avrebbero spaventato mia moglie e le mie figlie ». Invece lo hanno imbavagliato, gli hanno infilato sul capo un pullover come cappuccio, gli hanno legato le mani dietro la schiena. Lo hanno spinto, quasi trascinato, per un breve tratto di mulattiera fino a certi cespugli che sono dietro la villa. «Mi hanno nascosto là, per un po, forse perché impauriti da qualche rumore ». Ma quando l'hanno aggredito ha reagito, si è difeso? Non ricorda. Forse sì, un gesto istintivo di ribellione, ma più che il numero degli aggressori, più che le armi lo ha paralizzato un pensiero: «Adesso entreranno in casa e terrorizzeranno i miei ». Ricorda la luna chiarissima e il suo cane che abbaiava. E' confuso (l'impressione è che Berrino voglia essere confuso) il racconto del trasferimento. Sempre legato e imbavagliato, ma forse non aveva più il capo avvolto nel pullover perché ha visto che i rapitori avevano una «500» ed ha riconosciuto la macchina della moglie. Un tratto in auto. Poi una camminata nel bosco. Si sono fermati in un punto dove gli alberi erano più fitti. « Sopra Solva », dice Berrino. Come fa a sapere che era Solva? La località « Conosco molto bene questi monti. Il tempo impiegato ad arrivare, la vegetazione, le caratteristiche del posto mi hanno fatto pensare che occhio e croce eravamo sopra Solva ». Dice di essere sempre rimasto lì, per tutti i giorni del sequestro. Lì va bene. Ma in qualche baracca, sotto una tenda? « No, sempre all'aperto. Con delle coperte da campeggio per passare la notte». Come l'hanno trattata? « Sempre con cortesia. Una notte avevo un po' di freddo e uno di loro mi ha dato anche la sua coperta ». Il rapimento ha qualche motivo politico? (E' lo stesso avvocato Ricci che fa la domanda). « No, nel modo più assoluto. I rapitori, che erano tutti giovani, non hanno mai parlato di politica. Parlavano di sport e di altre cose. Giocavano a carte. Una volta uno di loro mi ha detto: "Facciamo questi colpi d'estate perché ci servono i soldi per divertirci" ». Berrino racconta che si trovava nella boscaglia in regione Sant'Anna, quasi all'altezza dell'Isola Gallinara. Da qui, dopo circa un chilometro di sentiero, si raggiunge la strada che va a Solva. Nel pomeriggio i carabinieri hanno perlustrato il bosco e in un tratto dove la vegetazione è più fitta, hanno trovato una catena, una sacca sportiva, una radiolina, una bottiglia piena a metà di vino, dei biscotti e tracce di un lungo bivacco. Quanti erano i rapitori, signor Berrino? Non sa o non deve essere preciso sul numero. Pare che fossero in sei, ma egli dice di non avere visto mai più di due « sentinelle ». Sempre incappucciate. Lo avevano legato in una maniera che definisce « alla Ridolini »; con un fragile nastro di naylon gli avevano fissato un polso a una gamba per rendergli difficile la fuga. « Però, avrei potuto spezzare facilmente quel nastro ». Non ha mai pensato di scappare? Non ha mai avuto paura? « C'è stato un momento che la vista della loro pistola, sì, mi ha messo paura. E se le cose si mettessero male, se loro perdessero la testa? La mia impressione era che si trattava di gente poco esperta, non di professionisti ». Dice che sentiva in basso, sulla strada lungo il mare, il clacson delle auto. Con insistenza passava l'elicottero. « Capivo che mi cercavano. Questo mi ha rinfrancato. Non auguro a nessuno di voi un'esperienza come la mia, ma capireste che cosa si prova sentendo che non si è abbandonati, che la gente si preoccupa e fa tutto quello che può per voi ». Berrino dice questo con voce incrinata dalla commozione. Ancora più commosso, ricordando i piccoli amici del bosco. « Un topolino veniva a trovarmi e non mostrava paura. Gettavo qualcosa da mangiare a un piccolo cinghiale. C'era una lucertola che veniva spesso a prendere sole sui miei oalzoni, e stavo attento a non muovere le gambe perché non si spaventasse e scappasse. C'era un ] grillo, saltava in un modo diverso dagli altri, e veniva tutte le sere a farmi visita. Stava sempre allo stesso posto. Lo vedevo a pochi centimetri. Sono sicuro che veniva proprio per farmi un poco di compagnia ». Del riscatto e delle trattative non vuole parlare. Anzi, dice: « Qualche volta le sentinelle si allontanavano perché non potessi sentirle, capivo che parlavano delle trattative ». E' libero La liberazione è avvenuta poco dopo mezzogiorno. « Si prepari, si metta le scarpe. E' libero », gli hanno detto. La decisione è stata così improvvisa che Berrino è rimasto sconcertato. Restava lì senza capire. « Noi stiamo andando via. Anche lei: vada », gli hanno ripetuto. « Li ho visti salire a grande velocità e subito scomparire tra gli alberi. Io ho incominciato a correre verso il basso ». Quindici, venti minuti a rotta di collo fra i cespugli e per sentieri scoscesi. Alle tredici e quarantacinque è arrivato al camping « La Vedetta », in una radura poco a monte dell'Aurelio, all'altezza del porticciolo. Un centinaio di campeggiatori stavano finendo di pranzare davanti alle tende e alle roulottes. La prima a vederlo è stata Graziella Gopetto, una torinese di 17 anni. « Sono Berrino... » lui le ha detto. Si era seduto, sfinito, su un muricciolo, in canottiera e teneva la camicia sotto il braccio. « Sono quello che hanno rapito... ». La barba lunga di cinque giorni. Dal camping la telefonata alla moglie. Poi Paolo Damonte, che gestisce « La Vedetta», lo ha fatto salire sulla sua moto e sono scesi. L'incontro con i carabinieri. Il primo interrogatorio nella caserma di Albenga. Soltanto alle 15,40 Mario Berrino arriva a casa. Un grido che mette i brividi, sono le figlie: « Papà ». La corsa con le braccia che già si allargano per stringere. E lui che grida: « Sono qui ». Ora sono tutti stretti in un solo abbraccio: lui, la moglie, le tre ragazze. Piangono e ridono. Non riescono a dire niente, soltanto a ripetersi tra un bacio e l'altro: « E' finita ». Luciano Curino

Luoghi citati: Alassio, Albenga, Roma