Un Proust segreto di Giovanni Bogliolo

Un Proust segreto Affettuose memorie della governante Un Proust segreto Celeste Albaret: « Il signor Proust », trad. di A. Donaudy, Ed. Rizzoli, pagine 390, lire 6000. Marcel Proust: « Contro Sainte-Beuve », trad. di P. Serini e M. Bartini, Ed. Einaudi, pag. XLIX-156, lire 2500. La più che ottuagenaria governante di Marcel Proust, unica gelosa depositaria dei suoi domestici segreti, rompe la consegna del silenzio e affida al giornalista Georges Belmont una minutissima rievocazione dei dieci anni trascorsi a difendere e alleviare la clausura volontaria dello scrittore. A spingerla è il desiderio di definire una volta per tutte una verità biografica (« Prima di andarmene anch'io, ho solo voluto, nella misura delle mie possibilità, ristabilire la sua immagine n) che le è sembrata falsata e troppo spesso arbitrariamente manomessa, ma le precisazioni di dettaglio di cui il libro è tanto ricco riescono di mediocre interesse, e non solo perché dalla prodigiosa me- , moria di Celeste Albaret non j si può, a tanti anni di distanza, pretendere l'infallibilità, ma anche e soprattutto per- che il lettore sa in anticipo che nessun particolare biografico potrà mai modificare il senso di una vita che si è ó finitivamente e integralmente consegnata nell'opera. L'interesse del libro — in parte falsato, ci sembra, dalla elegante orchestrazione che Belmont ha voluto dare a questi ricordi — sta piuttosto nella religiosa devozione di Celeste per il «signor Proust», nella toccante semplicità della rievocazione, nella sofferta testimonianza di quella estenuante gara tra la vita e l'opera di cui è stata la spettatrice privilegiata. Una spettatrice umile e discreta, ma, a suo modo, partecipe e perspicace: se infatti è lecito qualche dubbio sulla genuinità di bilanci che sembrano più facilmente imputabili all'abile penna di Belmont (v. Oggi ho capito che tutta la ricerca del signor Proust, tutto il suo grande sacrificio alla sua opera è stato quello di mettersi fuori del tempo per ritrovarlo. Gli occorreva quel silenzio per udire solo le voci che voleva udire, quelle che sono nei suoi libri r>), molte altre annotazioni appaiono invece perfettamente intonate alla straordinaria sensibilità del personaggio, come questa relativa al ruolo di confidente che Proust finì per assegnarle: « Oggi sono convinta che lui non voleva tanto il mio parere quanto la mia reazione. Ero piuttosto incline alla facezia; spontaneamente gli consegnavo il fondo del mio animo, del mio cuore... pan! Ed era questo che voleva ». Ma la cosa che più colpisce è che anche du coté de chez Celeste, dalla ìnodesta angolazione del suo ricordo, il mondo di Proust riesca pateticamente riconoscìbile; il libro trova perciò il suo fascino in una minima eppur avvertibile vibrazione d'eco di quel mondo che Celeste ha avuto la fortuna di condivi- dere e di cui continua a difendere la memoria con intatta partecipazione affettiva e con un orrore tutto proustiano della profanazione del pettegolezzo. Solo in nome di questa devozione potremo perdonarle il disprezzo che manifesta verso coloro che Proust «non l'hanno conosciuto affatto, se non attraverso le biblioteche», ben sapendo tuttavia che proprio a loro dobbiamo tutta la nostra conoscenza dello scrittore e che da loro c'è venuto, nella recente occasione del centenario, un decisivo contributo alla definizione del controverso problema della prima gestazione della Recherche. Quando, negli Anni Cinquanta, Bernard de Fai- \ lois era riuscito a mettere le mani su un consistente dossier di inediti ricavandone il Jean Santeuil e il Contro Sainte-Beuve, si era lasciato trasportare verso conclusioni troppo affrettate e sensazionali che non avevano tratto in inganno gli studiosi. Ora, grazie al lavoro di Pierre Clarac, si è finalmente arrivati a una riedizione filologicamente rigorosa dei due manoscritti, dei quali il Contro SainteBeuve, completamente depurato di quegli elementi narrativi che Fallois aveva accreditato come embrione di tutta la Recherche, si può già leggere in una bella traduzione italiana. Il lettore che aveva scoperto questa « strana mescolanza genetica» in un volume miscellaneo che da noi ebbe il titolo di Giornate di lettura troverà qui soltanto l'importantissimo nucleo delle idee estetiche e critiche di Proust e, nell'acuto saggio introduttivo di Francesco Orlando, una suggestiva ipotesi di collegamento tra queste e gli esiti definitivi del romanzo. In più, nella viscerale insofferenza di Proust per quel metodo biografico che in Sainte- Beuve aveva avuto il suo massimo — e più illuminato — esponente, nella sua convinzione che « un libro è il prodotto di un io diverso da quello che si manifesta nelle nostre abitudini, nella vita sociale, nei nostri vizi » potrà trovare un opportuno correttivo alla tentazione di trarre indebite e semplicistiche illazioni dalle suggestive, ma criticamente inservibili notizie che gli fornisce Celeste Albaret. Giovanni Bogliolo Marcel Proust, visto da Levine (Copyright N Y. Reviéw of Books. Opera Mundi c per l'Italia La Stampa)

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