Il "santo" scomodo

Il "santo" scomodo Il "santo" scomodo Lorenzo Bedeschi: « Obbedientissimo in Cristo... lettere di don Primo Mazzolari al suo vescovo», Ed. Mondadori, pag. 261, lire 2500. La prima impressione che si trae da questa lettura è: « don Mazzolavi non era un prete comodo per i suoi vescovi », cui seguirebbe la riflessione: « i santi, finché vivono, non sono mai comodi per la Chiesa; a cominciare da S. Paolo nei rapporti con S. Pietro. Un santo non può contentarsi del relativo, del meno peggio; un santo vuole tutto il bene, tutta la verità; mai, neppure per un momento, la fiaccola sotto il moggio; un santo rimprovera anche i suoi superiori, pure nella forma rispettosa dell'esortazione o del rammarico per quel che non operano; un santo non può tacere, non si contenta di un po' di bene, vuole tutto il bene ». Non oso affermare che don Mazzolari fosse un santo; forse c'era un pochino troppo di sicurezza di sé, di certezza di possedere date verità, e del momento in cui dovessero venire proclamate e poste in opera, per considerarlo tale; Dio solo può giudicare. Ma sicuramente era una fiaccola ardente agitata in un clima chiesastico, non soltanto italiano, ma mondiale, che credeva doversi appagare del « minor male », che durante la guerra del '14-'18 si piegava alle ubriacature nazionaliste; durante il fascismo ed il nazismo era conscio essere ben pochi coloro che hanno le virtù eroiche dei martiri, e cercava di salvare le anime: anche accontentandosi di quel minimo di virtù che per l'Alighieri danno accesso solo al primo dei cieli, quello della luna, « la spera più tarda ». Don Mazzolari aveva l'assillo del fare; non ammetteva un sacerdote inerte, in un compito non di cura delle anime, ad esempio insegnante di latino nei corsi inferiori di un seminario; voleva essere veramente curatore di anime; cappellano militare, si accorava se addetto a piccole formazioni in cui non c'era possibilità di espletare una larga ed efficace attività pastorale. E più tardi, parroco, voleva formare cristiani integrali, e dire tutta, tutta, la parola di Cristo, non tacerne parte alcuna; voleva esporre alla luce del sole tutte le miserie umane, non indulgere ad ottimismi ostentati, a blandizie alla Chiesa che non rispettassero la essenza del messaggio di Cristo. Non gli si poteva domandare di esaltare la guerra e la vittoria, non l'idea imperiale di Roma, bensì di piangere sulle vittime della strage, sugl'infiniti dolori che la guerra aveva disseminato, sugli strascichi di odio e di rancore, sulla grande delusione di coloro che nel 1915 avevano creduto all'« ultima guerra », che avrebbe portato ad una pace interna ed esterna, a tanta più giustizia nei rapporti tra gli uomini. Nel clima di Pio XI e di Pio XII. quello del Concordato, degli adattamenti con il fascismo, e, già prima, nella esaltazione della vittoria che doveva far tacere tutti i dolori della guerra, era proprio un disadattato. E non poteva soffrire e tacere; riteneva che per un sacerdote, un curatore di anime, tacere fosse un peccato. Ebbe un ottimo vescovo, mons. Cazzani, che lo protesse quanto potè, e lo comprese; si compresero reciprocamente; ebbe imprudenti amici ed estimatori, a cominciare da Ernesto Buonaiuti, che non si rendeva conto come una sua recensione favorevole allo scritto di un sacerdote, attirasse fulmini su questo, e da pastori protestanti che citando anche una sola riga di uno scritto di don Mazzolari davano un'arma ai suoi denigratori. E c'era anche padre Gemelli, devotissimo alla Chiesa, ma in una visione costantiniana del bene di questa, pronto ad insorgere contro don Mazzolari; c'era il cardinal Schuster, primate della Lombardia, egli pure fautore del minor male, un accordo tra Chiesa e fascismo che salvasse le opere cattoliche; e c'erano a Roma i superstiti della lotta antimodernista, sempre sospettosi, che mai deposero le armi. Queste lettere sono la testimonianza di un lungo martirio. E si profilano in secondo piano figure del periodo fascista e post-fascista, quel gran fannullone di padre Placido da Pavullo, il francescano padre Zucca che in un certo momento porge una mano amichevole a don Mazzolari. Dopo la caduta del fascismo fu naturalmente sospettato di comunismo; e dispiacque quel suo accostarsi amichevolmente a pastori protestanti, un inizio di ecumenismo, che oggi apparirebbe persin timido. Perché i tempi cambiano e mentre scrivo ho qui il programma di un con¬ vegno « Ecumenismo ed evangelizzazione » in cui interloquiranno ecclesiastici d'insospettabile ortodossia, rappresentanti pur delle denominazioni protestanti più riluttanti fin qui ai richiami di pacificazione che partissero da Roma, come la valdese, nonché delle chiese scismatiche orientali: è in programma anche la lezione biblica di un rabbino. Certo se si deve pensare ad una unità dei credenti, l'ora non potrebbe essere più propizia, sotto l'assillo di vedere gli uomini distaccarsi da ogni idea di soprannaturale. Ma che differenti strati occorre conciliare, dalla vecchietta che dice non sembrarle più di ascoltare la messa da quando il prete non si volta a dire Dominus vobiscum, a quegli che afferma di credere che non tutto sia caso, che vi sia un reggitore dell'universo, ma non poter concepire alcuna continuità tra la vita terrena ed un al di là; e la cristianità, in particolare la cattolicità con la fede in un giudizio immediato dopo la morte, è da secoli dominata da quell'assillo, della salvezza o della perdita dell'anima. Unità dei credenti che deve precedere quella degli uomini di buona volontà: la prima ha un punto di riferimento comune, e potenzialmente, con la sua fede in un reggitore, in un giustiziere, considera gli uomini tutti; la seconda non ha quel punto di riferimento, e cosa può dire a chi, convinto che tutto termina con questa vita, vuole spremerne fino all'ultimo ogni stilla di piacere? Ritorno al libro. Nelle ultime pagine si ricorda « un increscioso incidente, nel piccolo ambito bozzolese, accadeva (nel '55) con un medico di vecchia tradizione anticlericale che aveva pronunciato pubblicamente parole irriguardose contro la Chiesa e il clero. Ne scaturiva — dietro suggerimento del vescovo — una denuncia in pretura che forse amareggiava più il parroco che il medico socialista ». Ho qui un ricordo personale; quando lessi della denuncia scrissi a don Mazzolari, che avevo incontralo una sola volta, ad Urbino, tramite Carlo Bo, dicendogli del mio stupore ch'egli avesse invocato quell'articolo del codice sul vilipendio della religione dello Stato, per me deplorevole: e mi rispose — purtroppo ho smarrito la sua lettera — mostrandosi convinto di avere bene agito; c la sua lettera al Vescovo che è ora pubblicata mostra questo stesso convincimento, dolendosi che un altro sacerdote non sia solidale con lui. Qui pure don Mazzolari non avrebbe agito per obbedire al vescovo, se la coscienza non avesse approvato Fiaccola ardente, don Mazzo- tari; scomodo alla Curia romana, ai vescovi; nella sua generosità era portato ad un socialismo, purché cristiano; ma ancora una volta appare che il vero fossato è tra una visione integrista della Chiesa, sia pure Chiesa dei poveri, Chiesa che respinge i ricchi ed i potenti, e la visione liberale. A. C. Jemolo

Luoghi citati: Lombardia, Roma, Urbino