Analisi di un gruppo di studiosi

Analisi di un gruppo di studiosi Analisi di un gruppo di studiosi Il deficit dei pagamenti e la crisi dell' economia Il documento, frutto d'un dibattito interno alla Fondazione Agnelli, indica pure una serie di priorità per uscire dall'attuale situazione j « Bitarccia dei pagamenti e crisi italiana » è il tema di un documento frutto di un dibattito interno alla Fondazione Agnelli. Ad esso hanno partecipato, con il direttore, Gastone Favero e il condirettore, Enrico Nori, Mario Deaglio, Gianni Giannotti e Giorgio Rota. Riportiamo alcuni tra i passi più interessanti del documento. « La crisi della bilancia dei pagamenti italiana è troppo immediatamente evidente perché qualcuno possa negarne l'esistenza. Spesso, però, si pensa di potervi porre rimedio con soluzioni di pura tecnica economica che ristabiliscano un equilibrio contabile. Si compie, così, un enorme errore di prospettiva: quella della bilancia dei pagamenti non è una crisi a sé, bensì un aspetto della più vasta crisi che coinvolge in Italia l'economia, la società, le istituzioni. La bilancia dei pagamenti può diventare, quindi, una sorta di "filtro rivelatore"». « L'esportazione di capitali da parte delle famiglie italiane è la dimostrazione, da un lato, della sfiducia che destano le attuali strutture produttive e governative, dall'altro, dell'inadeguatezza del nostro sistema finanziario ». A proposito della fuga di capitali il documento afferma: « L'esportazione dei capitali riguarda anche gli imprenditori, nella duplice veste di capi di impresa e di titolari di una quota cospicua del risparmio delle famiglie. E' uno dei sintomi dello snaturamento, del venir meno, della funzione imprenditoriale nell'Italia degli Anni Sessanta e Settanta. Più che di produzione, il numero crescente di industriali italiani sembra occuparsi di compravendita: tiene d'occhio più i listini dei cambi che i propri listini dei prezzi. Non è un caso che gli utili delle imprese italiane oggi non provengano più che in piccola parte da attività produttive in senso tradizionale, ma derivino soprattutto da operazioni di tipo finanziario ». L'imprenditore « L'imprenditorialità sta degenerando. Tutto ciò lascia sospettare una sorta di abdicazione dell'imprenditore alle sue funzioni. Parallelamente, si verifica un deterioramento dell' "habitat" in cui le imprese operano: assistiamo al crescere del sospetto jierso le imprese considerate responsabili di tutte le colpe antiche e moderne del Paese. La società non sempre comprende l'imprenditore, ne ostacola l'operato e lo rigetta da sé. Questa crisi di rigetto, non a caso, avviene in un quadro di crescente deterioramento della struttura pubblica ». Passando all'esame sostanziale della bilancia dei pagamenti il documento sottolinea che il disavanzo alimentare « al di là della sua portata immediata sulla bilancia dei pagamenti, si configura come un fattore estremamente importante nella struttura economica italiana ». « A dispetto di qualsiasi logica economica — che vorrebbe un aumento di produzione a fronte di una vivace domanda, data la disponibilità di fattori produttivi necessari — ta nostra agricoltura si è comportata come un settore a domanda statica, mentre invece la domanda di prodotti agricoli nel nostro Paese è aumentata fortemente ». ti A monte del deficit alimentare c'è la rovina dell'ap¬ pm a — a i è parato produttivo dell'agricoltura, che in certe regioni d'Italia sembra ormai essere andata al di là del recuperabile. Gli investimenti i7i agricoltura, dopo un breve entusiasmo all'inizio degli Anni Cinquanta, quando raggiunsero il 12°'o del totale nazionale, sono oggi scesi al fi-7°i>, di questo totale. In particolare, la parte destinata a bonifiche, miglioramenti e trasformazioni fondiarie è diminuita da 434 miliardi nel 1960 a 264 miliardi nel 1973 (in valori a prezzi del 1963). Non fa meraviglia che il dissesto ecologico sia la manifestazione più immediata del collasso agricolo. L'esempio più macroscopico è quello della zootecnia: dal 1961 al 1972 si è passati da 1 a 7 milioni di quintali di carne bovina importata, da zero a 2,5 milioni di quintali di latte ». La competitività Dopo aver sottolineato come siano in crisi anche le nostre produzioni tipiche, il documento prosegue: « Dove è crollata la competitività? Venuto meno il vantaggio del basso costo relativo della manodopera, risulta ormai evidente il gravissimo e crescente divario qualitativo e tecnologico fra le nostre esportazioni e quelle dei paesi industriali avanzati ». « Quando esportiamo merci, noi esportiamo ancora, in prevalenza, lavoro generico o artigianale. In altre parole, noi stiamo diventando i concorrenti dei Paesi in via di sviluppo, man mano che questi progrediscono nell'industrializzazione, invece di restare o diventare i concorrenti dei Paesi industriali avanzati ». « Il disavanzo della nostra bilancia dei pagamenti — afferma poi il documento — rispecchia dunque un logoramento della struttura del nostro sistema economico, che data almeno un decennio e che solo oggi si manifesta in pieno. Un decennio di riforme mancate, magari auspicate, ma sempre rinviate. Sarebbe assurdo imputarne la sola classe politica, ignorando le complicità e l'omertà, da cui, in ultima analisi, la classe politica è, in quanto mediazione degli interessi sociali della comunità, pesantemente condizionata. Più utile di una caccia alle streghe che finisce in una generica condanna, sembra essere il tentativo dì sviluppare una analisi costruttiva ». « Siamo diventati — prosegue il documento — commercialmente subalterni al sistema economico che ha il suo asse centrale lungo il Reno fino al mare del Nord. La nostra industria sta diventando rispetto a questo asse quello che l'industria del Sud (sia quella tradizionale che quella recente) è stata rispetto al nostro triangolo industriale ». Dalla diagnosi il documento ricava una « ipotesi di priorità nazionali ». L'agricoltura « Prima priorità. L'agricoltura innanzi tutto. E' stata la Cenerentola della politica economica italiana a partire dalla fine degli Anni '50». « Oggi lo stato della nostra agricoltura è davvero miserando. La via da seguire è stata già altre volte indicata, anche se oggi sembrano mancare molte delle condizioni istituzionali e socioculturali perché possa realizzarsi: industrializzazione dell'agricoltura e razionalizzazione dei sncdlrucsscptdsmg servizi relativi alla produzione e alla trasformazione e commercializzazione dei prodotti ». « Seconda priorità. Se l'Italia vuole continuare ad essere un Paese industriale ed una economia di mercato (due dei fondamenti più sicuri della sua libertà), ha bisogno di una politica industriale capace di farla partecipare alla gara internazionale per i nuovi mercati. Una politica industriale di questo tipo non può prescindere dalla configurazione specifica della nostra struttura industriale, dal peso effettivo (che molto spesso può essere giudicato eccessivo) dei grandi gruppi pubblici e privati. Essa deve mirare ad un coordinamento della loro azione nel quadro di una programmazione rispettosa della economia di mercato ed in grado di premiare l'efficienza invece dell'amicizia politica ». « Terza priorità nazionale. L'impiego sistematico della ricerca ai fini del progresso tecnologico della nostra industria ». « L'alternativa — conclude il documento — è ormai ben chiara: o si ha il coraggio di pensare una politica economica globale all'interno della quale i vari momenti saranno certamente graduati, ma secondo una aderenza che mirerà fin dall'inizio ad una ipotesi complessiva di riforma del nostro sistema economico, oppure assisteremo ad un vano spontaneismo e saremo esposti ai flussi della crisi ed ai suoi inevitabili riflussi che potrebbero essere ancora più disastrosi in ragione dell'ormai generale obsolescenza del nostro meccanismo di sviluppo ». r. s.

Persone citate: Enrico Nori, Gastone Favero, Gianni Giannotti, Giorgio Rota, Mario Deaglio, Venuto

Luoghi citati: Italia