Laura e Petrarca danzanti nel nuovo Trionfo di Béjart

Laura e Petrarca danzanti nel nuovo Trionfo di Béjart Lo spettacolo in prima mondiale a Firenze Laura e Petrarca danzanti nel nuovo Trionfo di Béjart Il balletto ispirato al poeta con la musica di Luciano Berio (Dal nostro inviato speciale) Firenze, 9 luglio. Per la dolce memoria di quel giorno è il secondo verso dei Trionfi, poema incompiuto di Francesco Petrarca, e poco noto se non per alcuni citatissimi e tuttavia non ancor logori versi (come il soave «Morte bella parea nel suo bel viso»), che molti ripetono e anche amano ma attribuendoli alle Rime. E Per la dolce memoria di quel giorno s'intitola lo spettacolo, ispirato appunto ai Trionfi, del Maggio musicale fiorentino che Maurice Béjart e il «Balletto del XX secolo» hanno realizzato con il « Théàtre de la Monnaie » di Bruxelles e la radiotelevisione italiana per ricordare il secentenario della morte del poeta. Petrarca rivisitato e interpretato con la danza? Anche se gli sceltici prevedevano che il cantore di Laura e la sua poesia sarebbero serviti solo da pretesto alla fantasia di Béjart, lo spettacolo che abbiamo visto ieri sera in anteprima nel giardino di Boboli (dove viene presentato da stasera sino a mercoledì 17) è veramente basato sui Trionfi, ne segue lo schema espositivo e si sforza non soltanto di tradurne coreograficamente l'apparato concettuale e allegorizzante, ma anche di coglierne e quasi di isolarne il dolente e grave lirismo in una rappresentazione in sei parti, divise soltanto da pochi attimi di buio, e corrispondenti ai sei «Trionfi» del testo. E vorrei subito aggiungere che tra le visioni del poema, di un gusto medievale che però sembra prolungarsi, e infatti si prolungò, sino al tardo Rinascimento, e questo carro ogni volta diversamente addobbato che, con il vastissimo palcoscenico a tentacoli, è l'unico elemento scenografico della rappresentazione, si ini tuisce una corrispondenza non casuale né esteriore. E' poi la stessa che si sente correre tra l'originale petrarchesco e lo spettacolo persino quando questo dilaga nelle ridondanze, nei barocchismi e addirittura nelle cadute di gusto, così inseparabili dalla personalità e dalla coreografia di Béjart che si è tentati di giustificarli perché colorano sia pure di tinte clamorose e stridenti, l'una e l'altra. Ma questi Trionfi sono anche di Luciano Berio tanto la sua musica, espressamente composta, appare connaturata, concepita e cresciuta con lo spettacolo. E questo va sottolineato perché sempre più rara è ogzi purtroppo la collaborazione tra coreografi e musicisti. Giustamente, Berio ha illustrato musicalmente soltanto la forma di un poema che procede per scontri e superamenti, il protagonista di ogni «trionfo» venendo, tranne l'ultimo, vinto e sopravanzato dal successivo, e giustamente ha dato ad ogni episodio una diversa fisionomia facendo tuttavia circolare dall'uno all'altro, costantemente trasformati, frammenti di un mottetto trecentesco di Machault e legando le sei parti col filo di cinque intermezzi pianistici. Ogni parte è cromaticamente scandita dai costumi di Roger Bernard e Joelle Rouston, facendo macchia di colore i costumi silvani — rami, foglie e fiori — degli «spiriti della natura» che compaiono dopo ogni trionfo oltre che nel prologo dove s'affollano intorno al Poeta che avanza trasognato: è Jorge Donn che subito si sfrena in un lungo e ispirato assolo. Irrompe il carro di Amore che celebra il proprio trionfo ma è poi vinto dalla Castità, cioè da Laura che è un'incantevole Suzanne Farrell. Dal marrone di stracci vagamente hippy si è intanto passati al candore delle schiere virginali e angeliche, la Farrell e Donn eseguono un passo a due su un duetto solamente di voci, la sottile Rita Poelvoorde balla la danza del liocorno. Ora entra il nero carro della Morte e dei suoi aedi, Laura muore danzando con Patrice Touron, la Morte appunto, che sarà a sua volta sconfitta dalla Fama (Daniel Lommel) in un quadro tutto in rosso: galleggiano sulla superficie orchestrale schegge di versi petrarcheschi trattati, dice Berio, « come avanzi di un grande banchetto verbale», mentre Laura e il Poeta indossano le tuniche dell'iconografia tradizionale, lui imbraccia persino la cetra. Poi la musica tace: il trionfo del Tempo è accompagnato soltanto dai misteriosi segnali di un vibrafono, la lotta tra la Fama e il Tempo si svolge senza suoni e rumori, le Ore agitano un immenso velo dal celeste più pallido all'azzurro più cupo. La musica — dapprima è un flauto solo, come nel prò logo — ritorna ad ondate nell'ultimo episodio del trionfo dell'Eternità, ma si spegne nel finale, in un luminoso silenzio d'eterno, mentre i due amanti in diafane calzamaglie avanzano lentamente verso il pubblico, si guardano, s'inginocchiano... E' un bellissimo momento di uno spettacolo che di bei momenti ne ha parecchi, ma è anche il trionfo, un altro trionfo, dell'incomparabile scenario naturale di Boboli, coi suoi recinti, quinte e fondali di verzura e di alberi, con le sue statue che biancheggiano sullo sfondo sotto la luna ed altre che, arcanamente seminterrate sul davanti e tra le spire del meduseo palcoscenico, accrescono il mistero e la suggestione. Ed è anche il trionfo dell'agguerritissima troupe di Béjart, rinforzata da allievi della sua scuola, dove tutti sono solisti e perciò tutti da nominare: oltre ai citati, ricorderemo ancora Angele Albrecht, Niklas Ek, Ivan Marko, Paul Mejia, Jan Nuyts, Bertrand Pie, Victor Ullate, Catherine Verneuil. Alberto Blandi

Luoghi citati: Bruxelles, Firenze