Brescia: già pronti 42 mandati di cattura ma rimane il buio fitto sui finanziatori di Giuliano Marchesini

Brescia: già pronti 42 mandati di cattura ma rimane il buio fitto sui finanziatori Le indagini in corso sulle trame nere e la strage fascista Brescia: già pronti 42 mandati di cattura ma rimane il buio fitto sui finanziatori I provvedimenti conterrebbero quarantanove imputazioni, fra le quali (per la prima volta dalla fine della guerra) anche il reato <T "insurrezione armata contro i poteri dello Stato" (Dal nostro inviato speciale) Brescia, 8 luglio. L'inchiesta sul terrorismo fascista che in questi ultimi tempi ha imperversato in Lombardia è giunta a una svolta. Secondo alcune indiscrezioni trapelate oggi, sarebbe pronta una serie di nuovi mandati di cattura destinata a quarantadue persone. I provvedimenti conterrebbero complessivamente 49 imputazioni, e si dice che nel lungo elenco figuri anche il reato di insurrezione armata contro i poteri dello Stato, che non era mai stata contestata dal dopoguerra. Vi sarebbero poi le accuse di associazione sovversiva, tentata strage, sequestro di persona, rapina: una vasta gamma della violenza nera. E' sempre arduo, qui a Brescia, tentare di penetrare nel riserbo degli inquirenti, per cui le informazioni sono finora frammentarie. Pare che a questa sterzata dell'inchiesta si sia giunti dopo la lunghissima fase degli interrogatori cui sono stati sottoposti i fascisti arrestati per l'attività delle «squadre di azione Mussolini» che facevano capo a Carlo Fumagalli, l'uomo della Valtellina che tirava i fili neri. Ai colloqui, ai confronti, si sono aggiunti sopralluoghi in decine di località della Lombardia, ritrovamenti di armi e munizioni, di esplosivi e detonatori. E il panorama del terrorismo fascista è andato ampliandosi in modo impressionante, come del resto era prevedibile. Degli uomini che sarebbero colpiti dai nuovi provvedimenti della magistratura, 29 sono già in carcere. Sono quelli che, uno dopo l'altro sono andati a comporre il manipolo di neofascisti in manette durante le indagini sulle cosiddette «Sam Fumagalli». Se qualcuno è rimasto chiuso in un silenzio ostinato, qualche altro deve aver parlato, alla fine spiegato i legami che esistevano fra questo e quel personaggio, il percorso del terrorismo nero che avrebbe dovuto sconvolgere il Paese. L'inchiesta era partita da molto lontano. Nel comporre la catena di arresti, gli inquirenti avevano contestato in un primo tempo soltanto le accuse di associazione per delinquere, di detenzione e trasporto abusivi di materiale esplosivo. Affermavano che occorreva andar cauti, altrimenti avrebbero rischiato di vedere andar perduti i risultati di un lavoro lungo e faticoso. Ma si sapeva che l'indagine su un movimento fascista come questo non poteva e non doveva reggersi sulla contestazione di reati comuni, come un traffico di auto rubate e camuffate, di documenti falsificati, di raccolte di armi che non erano certo destinate a qualche collezionista. Dietro questa immagine di delinquenza spicciola, c'era il quadro del furore fascista, dei vaneggiamenti repubblichini che erano già emersi all'epoca in cui si scoprirono le trame della «Rosa dei venti». Naturalmente, l'aspetto più clamoroso di questa fase dell'indagine è la possibilità che i personaggi del terrorismo fascista lombardo si trovino sulle spalle l'accusa di insurrezione armata contro i poteri dello Stato, che prevede la pena dell'ergastolo per chi la promuove e la dirige. Sarebbe la conferma che quel piano di scorrerie fasciste di cui si parlò nei primi giorni dell'inchiesta era un autentico complotto per sovvertire le istituzioni democratiche. I fucili mitragliatori, le pistole, le bombe, i quantitativi di esplosivo immagazzinati qui e là dovevano far parte di questo progetto del delirante neofascismo. Forse l'inquietante vicenda non è ancora del tutto ricostruita. Mancano, almeno finora, i nomi di coloro che tessevano la trama restando nell'ombra, mandando giù da montagne e colline gruppi di «avanguardisti» con candelotti e detonatori, a seminare quel terrore che. sarebbe dovuto servire per issare su edifici pubblici la bandiera col fascio. Resta ancora da chiarire il giro dei finanziamenti, da districare il groviglio delle complicità. L'accusa di sequestro di persona, che sarebbe compresa nell'elenco delle nuove contestazioni, ribadisce che il ter¬ rorismo fascista si finanziava anche con i rapimenti: nei giorni scorsi si è parlato di quello dell'industriale Cannavaie, e circolano voci sul sequestro di Mirko Panattoni, il bimbo di Bergamo per il quale si vissero tante giornate di angoscia. Anche il rapimento di Mirko, si dice, potrebbe essere di marca fascista. E poi, secondo le recenti imputazioni, c'era la rapina. Ma certamente il fanatismo nero si procurava denaro anche in maniera più semplice, sbrigativa: c'era qualcuno, di larghe possibilità, che passava pacchi di banconote e firmava assegni perché gli squadristi andassero in giro con fagotti di esplosivo, o si esercitassero con le armi nei campi paramilitari immersi nella boscaglia. Se nell'inchiesta sulle «squadre di azione Mussolini» finora si è chiarito qualcosa, per la strage fascista di piazza della Loggia si procede ancora a tentoni. Ad oltre quaranta giorni dall'eccidio, sembri- che gli elementi in mano agli inquirenti siano molto scarsi. Ora si tratta di ricavare qualche indizio dalle perizie sui residui dell'ordigno esploso in piazza della Loggia e di quello che dilaniò lo studente Silvio Ferrari, nove giorni prima. L'attenzione degli investigatori è particolarmente rivolta ai timers, congegni a tempo che si possono trovare anche in comuni elettrodomestici: i fascisti potrebbero essersi serviti di qualcuno di questi strumenti per fabbricare i dispositivi delle due bombe. Ma la traccia appare esile, e sulla strage il buio è ancora fitto. Giuliano Marchesini

Persone citate: Carlo Fumagalli, Mirko Panattoni, Mussolini, Silvio Ferrari

Luoghi citati: Bergamo, Brescia, Lombardia