L'accusa: "La tortura dell'elettroshock era usata per punizione, non per cura"

L'accusa: "La tortura dell'elettroshock era usata per punizione, non per cura" Aperto il processo al prof. Coda dell'ospedale psichiatrico L'accusa: "La tortura dell'elettroshock era usata per punizione, non per cura" Una serie di tremende testimonianze di ex ricoverati - Scariche a una dodicenne per un orologio rubato - Bambini legati al termosifone acceso - Il medico: "A quell'epoca, erano questi i metodi terapeutici adottati comunemente" Approdato dopo quasi 20 anni (1 primi fatti risalgono al 1956) in Tribunale, al termine di una istruttoria lunga e travagliata, il processo allo psichiatra Giorgio. Coda è incominciato ieri mattina nella prima sezione presieduta dal dott. Venditti (giudici Scisciot e Prat, p.m. Trlbiscnna, cane. Simonelli). Cinquant'anni, ex medico dell'ospedale ps'.chiatrlco di Collegno e di Villa Azzurra, il prof. Coda è imputata di maltrattamenti « per aver praticato, a numerosissimi pazienti, elettromassaggi transcranici e lombopubìci, al solo fine di punirli per infrazioni a regole disciplinari o di comportamento; cagionando così a Giovanni C. gravi lesioni consistenti nella perdita di numerosi denti ». Sempre secondo l'accusa, avrebbe sottoposto alcuni bambini « a contenzioni lunghe e dolorose, facendoli legare al letto per interi giorni e notti e spesso con le mani e i piedi al termosifone acceso ». Difeso dall'aw. Mussa, lo psichiatra ha spiegato con molta sicurezza e abbondanza di particolari, di essersi sempre e soltanto limitato ad applicare una terapia (quella, appunto, dell'elettroshock e deirelettramassaggio) in un periodo in cui — 1956-1964 — gli psicofarmaci non erano ancora in uso. Oggi, infatti, l'applicazione di scariche elettriche violentissime per cercare di guarire certi gravi disturbi psichici e nervosi è stata riconosciuta una terribile e inutile tortura e abbandonata del tutto. L'accusa, però, sostiene che il prof. Coda, in alcuni casi, si sarebbe servito di quei trattamenti non a scopo di cura, ma per punire gli ammalati che avevano commesso qualche mancanza. Le testimonianze dei pazienti, in proposito, sono agghiaccianti. Eccone alcune (omettiamo i nomi perché si tratta di persone oggi reinserite nella società, dopo una parentesi più o meno lunga trascorsa in manicomio). A. C: « Un giorno sono fuggito dall'ospedale, poi, pentito, sono tornato. Il prof. Coda mi ha fatto stendere su una rete metallica, mi ha praticato l'elettromassaggio alla testa. Durante il trattamento mi chiedeva il nome di chi aveva segato le sbarre per farmi fuggire. Io urlavo dal dolore, ad un tratto ho strappato gli elettrodi dalla testa. Lui allora mi praticò il massaggio in regione pubica ». C. R. A.: « Mi rifiutavo di lavorare; allora il prof. Coda mi mandò con gli altri, nel dormitorio, dove ci sottopose tutti, uno dopo l'altro, all'elettromassaggio. Sentivo gli altri urlare, ero terrorizzato. Mi gettai in ginocchio, lo supplicai di non farmelo. "Cedo ai suoi desideri — gridavo — andrò a lavorare, ma non mi faccia male". Lui rispose: "No, adesso te ne faccio uno, poi vedremo". Dopo, andai a "lavorare": si trattava dì lavare le macchine dei medici, per 500 lire alla settimana ». Il padre di un ragazzo: « Mio figlio, oggi, grazie a quei trattamenti elettrici, è rovinato: non parla quasi più, trascina la sua esistenza a Collegno, in modo miserevole ». A. P.: « Era sparito un orologio dal reparto (io, a quell'epoca, avevo 12 anni). Il prof. Coda mi fece Velettromassaggio perché gli dicessi dove l'avevo nascosto. Le mie urla si udirono in tutto l'ospedale ». Alle deposizioni dei testi, l'imputato non ha fatto altro che scuotere la testa: « Non è vero, tutte menzogne — ha detto — se ho sottoposto i pazienti a quel trattamento, è perché ne avevano bisogno ». Alla domanda dei rappresentanti di parte civile — avv. Guidetti Serra e Zancan — se il Coda usò qualche scarica in più come castigo, l'imputato ha risposto: « No, si sarà trattato, tutt'al più, di una coincidenza ». L'assistente sociale Piera Piatti, da cui partirono le denunce che formarono poi un libro bianco contro Coda, ha detto: « Abbiamo interrogato molti malati, tutti parlavano di punizioni. Le torture avvenivano alla presenza degli altri pazienti, che tremavano dal terrore e qualche volta supplicavano di passare per primi, in modo da non essere costretti ad ascoltare le grida dei compagni. Un paziente mi riferì che il'prof. Coda, quando l'ammalato urlava scosso da tremiti, domandava: "E allora, vedi la televisione?" alludendo alle strisce bianche e nere che il paziente ha davanti agli occhi quando la scarica glt attraversa il cervello ». Il prof. Mossa, direttore dell'ospedale psichiatrico di Collegno all'epoca dei fatti, ha detto di essere a conoscenza che Coda usava, nel suo reparto, l'elettroshock e l'elettromassaggio tta scopo terapeutico». Ma secondo la parte civile. Mossa sapeva anche che i trattamenti erano punitivi, «essendo pubblico ufficiale — ha osservato l'avv. Guidetti Serra — il prof. Mossa aveva il dovere di intervenire e denunciare il fatto all'autorità giudiziaria. Perché ha taciuto? ». * Il maestro di Collegno, Giovanni Chiarella, 50 anni, accusato di atti di libidine nei confronti di cinque sue allieve, è stato condannato a 1 anno e 5 mesi di carcere, con 1 benefici di legge, e all'interdizione dai pubblici uffici per la durata di un anno. I giudici della quarta sezione del Tribunale (pres. Pettenati) l'hanno riconosciuto, responsabile del solo episodio in danno della piccola B. B., mentre l'hanno assolto con formule varie dalle accuse (sempre di atti di libidine) nei confronti delle altre compagne di scuola. Alla lettura della sentenza, l'insegnante è svenuto. Il pubblico ministero Burzio aveva chiesto la condanna a 2 anni e 4 mesi. I familiari delle scolare si erano costituiti parte civile con gli avvocati Mittone e Papa. Il difensore, avv. Rossomando, ha compiuto un'a¬ nalisi della personalità dell'imputato, il cui atteggiamento «paternalistico» verso le allieve sarebbe all'origine di tutte le accuse. + Il pretore Bellone ha condannato a 50 mila lire di multa l'erborista Dino Musso, via Po 19, riconosciuto responsabile di esercizio abusivo di professione farmaceutica, per aver venduto una pozione di erbe, anziché, come vuole la legge, le sole erbe sfuse. L'ordine dei farmacisti si era costituito parte civile con l'aw. Lageard. Difesa, avv. Masselli.

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