L'idolo dei "descamisados" di Livio Zanotti

L'idolo dei "descamisados" La morte di Juan Peron, un anno dopo il ritorno dall'esilio al potere L'idolo dei "descamisados" Ufficiale di carriera, Perón partecipa nel 1930 ad un primo "golpe", che in seguito definirà "reazionario" - Profondamente suggestionato dal fascismo, è nel 1943 fra i protagonisti di una nuova presa di potere dei militari - Sei anni dopo viene eletto Presidente: comincia il peronismo giustizialista - Ma nel 1955 il "Caudillo" è travolto dalla crisi economica e costretto all'esilio - Torna in patria una prima volta nel '72 - Rieletto Presidente, tenta il rilancio del suo populismo in un clima di crescenti, aspre tensioni (Dal nostro corrispondente) Buenos Aires, 1 luglio. L'Argentina interra l'ultimo dei suoi grandi caudillos, il tenente generale Juan Domingo Perón, tre volte supremo magistrato dello Stato, « golpista » e presidente costituzionale, esule sconfitto e ritrovato patriarca della nazione gaucho, idolo per l'amore dei seguaci, mostro per l'odio dei nemici. E' la pagina finale di un lungo ciclo storico segnato da una razza di politici solitari, che fin dall'indipendenza hanno cavalcato il potere sulle sterminate pampas e che appare ormai estinguersi con la morte del quasi settantanovenne fondatore del justicialismo. Con lui si spegne il mito del « leader » carismatico integrale, in un lutto che lo trascende, attraversa il Rio de la Piata, penetra la selva amazzonica, travalica i picchi andini per cercare cordoglio lungo l'intera America Latina. La folla, due milioni di persone, forse più, che lo attendevano il 20 giugno dell'anno scorso all'aeroporto di Ezeiza, era percorsa da sentimenti e speranze non soltanto politici. C'era e si percepiva un clima quasi mistico. Il ritorno di Perón dopo diciotto lunghi anni di esilio significava per gran parte del Paese la volontà di credere ancora una volta nella possibilità di un definitivo riscatto dalle difficoltà materiali, dalla paura e dalla menzogna, ben al di là della pur straordinaria personalità del « leader ». Tutto questo, oltre la sua abilità di governante, la sua « arte dello Stato », costituiva un insostituibile carisma presso le masse. La gente di Ezeiza veniva dagli angoli più sperduti del Paese, tagliatori di canna da zucchero del Nord tucumano, operai dei centri industriali della capitale e di Cordova, contadini e vaqueros della gelida pianura patagonica, uomini, donne, bambini tenuti tra le braccia dalle madri. Tutti insieme ricordando Perón, che molti di essi non avevano mai visto. Nemmeno la tragedia che insanguinò il ritorno, con i morti vittime dell'irrecuperabile conflitto tra le opposte tendenze del peronismo, distrasse la vocazione al ricordo del passato. La celebravano libri e giornali tanto quanto l'uomo della strada. Perón che nasce a Lobos, nella provincia della capitale, il giorno otto di ottobre del 1895 e il Perón già leggenda, nato tre anni prima con i segni occulti eppure vivi del destino che lo avrebbe guidato fino ai vertici della politica nazionale, ma non registrato perché in quei tempi le formalità non avevano fretta. Perón al collegio militare, secondo la tradizione della media borghesia rurale argentina e poi alla Scuola superiore di guerra, segnalato come brillante ufficiale. Scrive saggi di strategia militare sulla prima guerra mondiale che diventano testi di studio. Ma è alla politica che guarda. Nel 1930 partecipa al colpo di Stato che rovescia il presidente radicale Hipolito Yrigoyen. Lo commenta egli stesso: « Già tu'to era compromesso: il terreno era stato liberato dalla "settimana tragica" (una brutale e sanguinosa repressione del movimento operaio, n.d.r.) e per la mancanza d'iniziativa del governo. I capi decisero di parlare a noi ufficiali. A me parlò il professore della Scuola militare. Così partecipai come gli altri, sebbene nel 1943 ci rende- uno conto con chiarezza che si era trattato di un movimento reazionario ». E' certo che i dieci anni seguiti al « golpe » di cui parla Perón restano nella storia argentina come la decade infame. Giunto al grado di tenente colonnello, con una esperienza nella diplomazia e l'incarico di insegnare « strategia, guerra totale e storia militare » nella Scuola superiore di guerra, Juan Domingo Perón perde la moglie, Maria Aurelia Tizon, una concertista di chitarra che ha sposato nove anni prima. E' il 1938. La guerra civile scatenata dal fascismo brucia la Spagna, l'Europa vive la vigilia del secondo flagello mondiale. Il tenente colonnello Perón viaggia in missione informativa per l'Europa. Visita la Spagna, il Portogallo, la Francia, la Germania e l'Unione Sovietica, ma decide di fermarsi in Italia. Conosce Mussolini e rimane colpito dalla sua personaliti, come dal modello di Stato autoritario imposto dal fascismo all'Italia. Sebbene non sia stato fatto chiaro del tutto sul pensiero di Perón in questo periodo, sembra certo alla quasi totalità degli studiosi del peronismo che l'esperienza fascista italiana lascia un segno profondo nella formazione intellettuale e morale dell'ufficiale argentino. Ciò che non conforta la semplicistica etichetta di fascista attribuitagli per lunghi anni dalla pubblicistica politica europea tanto liberale quanto marxista. Nel 1943, mentre l'Armata rossa ricaccia indietro i nazisti da Stalingrado e si sta preparando lo sbarco in Normandia, l'Argentina subisce un nuovo colpo di Stato militare. Perón, adesso colonnello, vi partecipa stavolta in prima fila, come integrante tra i più autorevoli del Gruppo de oficiales unidos (Gou) formatosi nello spirito delle logge massoniche portato in Argentina dalla penisola iberica e dalla Gran Bretagna all'inizio dell'Ottocento da San Martin e dagli altri grandi libertadores, autori politici e militari dell'indipendenza. E' questo un altro volto della complessa e talvolta contraddittoria personalità di Perón. Nel governo che sorge dal «golpe», egli occupa diversi incarichi fino a giungere alla segreteria del Lavoro, dalla quale seguendo un piano lucidissimo dà inizio alla scalata che lo porterà al vertice dello Stato e al potere assoluto. Il 17 di ottobre 1945, un venerdì, Perón che da nove giorni è stato destituito ed imprigionato nell'isola Garcia Mar- ti'n da un complotto di palazzo ordito dagli ufficiali rivali, diventa la bandiera della riscossa popolare. Dai centri industriali della provincia di Buenos Aires, Berisso, Ensenada. Lanus, Quilmcs, i sindacalisti già acquisiti al generoso riformismo del colonnello muovono alla testa di numerose colonne di operai e popolani, i descomisados, che entreranno più tardi nella mitologia giustizialista. Attraverso i cento ostacoli frapposti dall'esercito e dalla polizia, con le cui forze giungono a scontrarsi, puntano alla Plaza de Mayo, dove si affaccia la casa di governo, la Rosada, nel linguaggio popolare. Appare sulla scena sconvolta dagli avvenimenti una donna, Maria Eva Duarle, una bella c giovane attrice che da qualche tempo sta al fianco di Perón. E' lei che contribuisce ad animare i capi del moto insurrezionale, che passa da un in¬ contro all'altro sollecitandoli all'azione disperata. Nasce in quel giorno il vincolo vivo ancora oggi tra una donna ricca di passione e magnetismo e una massa di diseredati in cerca del proprio « leader ». Gli avversari di Perón sono costretti a liberarlo, ricondurlo alla capitale e permettergli di parlare dai balconi della Casa Rosada. Il 24 febbraio 1946 Perón è eletto presidente degli argentini. Gli è a fianco Maria Eva Duarte, che lo ha sposato pochi mesi prima, e che il popolo chiama ormai familiarmente Evita. Il nuovo capo dello Stato proclama la dottrina giustizialista e spiega: « Faremo il fascismo senza commettere gli errori di Mussolini», ciò che una volta di più si presta a diverse interpretazioni. Nazionalizza, senza ammodernarle, le infrastrutture del Paese, innanzitutto le ferrovie, fino ad allora di proprietà inglese, poi i telefoni, della compagnia nordamericana Bell, e vara un piano quinquennale che prevede un intenso sviluppo dell'industria leggera finanziato dalla rendita agraria e dalle esportazioni. La carne e la lana argentine raggiungono prezzi vertiginosi sui mercati di un'Europa uscita distrutta dalla guerra e bisognosa di tutto per riprendere a vivere. Per dieci anni, attraverso fasi alterne ma sempre caratterizzate da una gestione personalistica del potere, il presidente Perón preme l'acceleratore dell'espanr sione industriale. L'Argentina che ha preso in mano è già un Paese industrializzato, ha migliaia di fabbriche e un milione di operai nella sola Buenos Aires. La produzione industriale supera quella agricola. Egli vuole consolidarla e rendere al Paese la seconda indipendenza, quella economica. Ma trascura l'industria di base e l'ammodernamento delle infrastrutture, a cominciare dai trasporti. La diversificazione delle esportazioni risulta insufficiente. Perón stringe i tempi e coli¬ temporaneamente tenta un compromesso con la grande impresa petrolifera nordamericana, al fine di trovare altri crediti capaci di consentirgli il superamento di una crisi tutti i giorni più grave. E' disposto a larghe concessioni a favore dei monopoli del petrolio, ciò che gli aliena la simpatia di settori progressisti del movimiento oltre che di quelli oppositori. Alla lotta degli studenti, che come punta di lancia della classe media non hanno mai accettato il paternalismo autoritario e talvolta spietato del capo giustizialista, si somma quella di altri strati sociali. Quando scende in campo la Chiesa cattolica, decisa ad opporsi all'istituzione del divorzio, per il presidente non c'è che il ricorso alla piazza peronista. Tutti gli altri gli sono contro, dagli «umanisti» cattolici e integralisti, ai socialisti, ai comunisti, ai liberali delle varie tendenze guidati da un indomito radicalismo. Nel giugno 1955, una squadriglia di aerei della marina bombarda la piazza di Maggio affollatissima di passanti. E' una strage, che prelude al levantamiento delle forze armate. Ma sorgono contrattempi nei piani dei golpisti e Perón può sopravvivere altri tre mesi. La situazione è ardente, vengono incendiate varie chiese come risposta alla cospirazione delle forze cattoliche, gli scontri sono quotidiani e le carceri colme come non mai di detenuti politici, quando in settembre le forze armate costringono Perón alla resa. Il presidente rovesciato è costretto a trovare rifugio su una cannoniera paraguaiana, a bordo della quale inizia un esilio che durerà diciotto anni. Fino al novembre 1972, quando può tornare una prima volta in patria, e poi al giugno dell'anno seguente, stavolta definitivamente. L'Argentina ritrova il vecchio «leader». Al suo fianco una donna giovane, Maria Estela Martinez, ha sostituito Evita, morta di leucemia nel 1953, poco più che trentenne. Lo elegge alla presidenza della Repubblica, dopo un breve periodo durante il quale governa in suo nome il peronista Hector Campora. La nuova consacrazione è retta da una maggioranza che include stavolta quasi il settanta per cento dei voti. Alla testa di un fronte justicialista, Perón riunisce gran parte della classe operaia, settori maggioritari della borghesia intellettuale ed industriale, piccoli proprietari rurali. E' la sua proposta di un nuovo «blocco storico». Ad esso e per esso propone una versione aggiornata del suo populismo industrializzato, che sancisce nel pacto social tra sindacati e impresari medi e piccoli, versione argentina della politica dei redditi. Gli si oppongono i grandi agrari come i settori operai ormai risolti ad una pratica classista. Il suo ultimo periodo di governo è cosparso di grandi difficoltà, mentre il movimiento è dilaniato dalle dispute interne, giunte ad un punto di non ritorno. Ma oggi che non c'è più, tutti appaiono attoniti. Nella piazza di Maggio molta gente piange. Livio Zanotti Buenos Aires. Juan Perón all'epoca del suo ultimo insediamento alla Casa Rosada