Scacchi: hanno vinto i sovietici Ora l'Italia ha un gran maestro di Luciano Curino

Scacchi: hanno vinto i sovietici Ora l'Italia ha un gran maestro Una conferma e una sorpresa alla 21a Olimpiade di Nizza Scacchi: hanno vinto i sovietici Ora l'Italia ha un gran maestro Si è conclusa domenica a Nizza la ventunesima Olimpiade degli scacchi, campionato del mondo a squadre. Vi hanno partecipato settantadue Paesi con cinquecento giocatori che, in tre settimane, hanno disputato circa tremila partite. Hanno vinto i sovietici — come previsto — assolutamente imbattibili sul piano collettivo. Erano a Nizza con Karpov, Korcnoi, Spassky, Petrosian, Tal e Kuzmin: una squadra, cioè, formata da ex e da futuri campioni del inondo. Non hanno perso una sola partita. Questa imbattibilità sarebbe stata assai dubbia se all'Olimpiade fosse venuto anche Fischer. Nizza sperava molto nella partecipazione del campione del mondo. Ma Fischer, come abitudine, ha fatto un mucchio di storie, ha avanzato richieste stravaganti e inaccettabili, sicché è rimasto a casa. (E adesso, come abbiamo già detto, rinuncia al titolo mondiale perché la Federazione respinge certe sue richieste per lo svolgimento del campionato. Ma ha tre mesi per ripensarci). Prima. IVrss con 46 punti, seconda (eterna seconda) la Jugoslavia con 37 e mezzo, seguono, nell'ordine. Stati Uniti, Bulgaria, Olanda, Ungheria e le altre dieci squadre della finale A. L'Italia ha disputato la finale B (ma giocando con più impegno nelle eliminatorie sarebbe entrata nella finale A) e si è classificUta terza (Israele punti 40 e mezzo, Austria 38 e mezzo, Italia 38). Questo risultato della squadra azzurra può essere considerato un successo, è certamente il migliore ottenuto finora nelle Olimpiadi. La squadra era formata da Ma- riotti, Tatai, Toth, Cosulich, Capello, Zichichi. L'Olimpiade di Nizza ha dato agli scacchi italiani un'altra soddisfazione. Sergio Mariotti, in base ni punteggio realizzato, ha conseguito la qualifica di grande maestro internazionale. Si diventa «grande maestro» dopo un certo numero di successi internazionali. Vi sono nel mondo 180 giocatori che si fregiano con questa qualifica e un centinaio sono sovietici, fino all'altro giorno nessun italiano. Mariotti, dunque, è il pri¬ mo. Ora appartiene alla stessa categoria dei Fischer, degli Spassky, dei Karpov. Sergio Mariotti, 28 anni, fiorentino. Studi: Economia e Commercio. Ha cominciato a giocare a quindici anni. Tardi, per uno scacchista. Dice: «Accompagnai una sera mio fratello ad un torneo di scac- ! chi e mi appassionai al gio-1 co». Aveva, senza saperlo,, il\ «re nel cervello», un talento naturale che gli fa fare sulla \ scacchiera cose assolutamente imprevedibili e sconvolgenti. Sconvolgenti per l'avversario, si capisce. Il campione italiano Castaldi è stato suo maestro, a diciotto anni ha vinto il campionato giovanile, a diciannove è diventato maestro, a ventuno campione ita- \ liano. Due anni fa alle Olimpiadi di Skopje, il grande maestro Gligoric, il miglior scacchista jugoslavo e uno dei primi del mondo, mi disse: «In Italia avete giocatori geniali, ma non lo sapete» e si riferiva soprattutto a Mariotti, che gli aveva inflitto due secche sconfitte. Ecco alcuni giudizi di esperti su Mariotti: «Gioca ceri grande fantasia, ma rischia molto»; «Potrebbe essere uno dei più grandi de! mondo se avesse la possibilità di partecipare spesso ai tornei internazionali»; «E' veramente geniale, ma non ha la possibilità di applicarsi come vorrebbe, perché in Italia di scacchi non si vive, bisogna pensare prima al lavoro»; hE- aggressivo e imprevedibile. Può legnare Gligoric e poi perdere con l'ultimo pollo». «A casa ho due o tre libri di scacchi. Se mi gettavo nella teoria non studiavo i libri di scuola» mi disse Mariotti. Si favoleggia su Mariotti che è zero in teoria,. Qualche anno fa il campione di bridge Pabis Ticci gli chiese per Z'Europeo: «E' vero che lei, praticamente digiuno di teoria, si affida esclusivamente all'improvvisazione?». Rispose Mariotti: «Le cose stanno in maniera un po' diversa. In realtà ho studiato a fondo la teoria e la conosco alla perfezione. Se gioco contro un avversario relativamente debole faccio una partita classica e, dato che sono superiore, la vinco. Se però mi capita di giocare contro un grande maestro, so benissimo che egli conosce la teoria almeno quanto me e che, se non faccio qualcosa di eccezionale, il meglio che può capitarmi è di impattare. In genere questi super-esperti si preoccupano in primo luogo di non perdere e quindi non escono dagli schemi classici. Io invece voglio vincere e per ottenere il mio scopo sono disposto a rischiare la sconfitta. «Così comincio le mie partite con un'apertura classica molto aggressiva, diciamo un gambetto Evans, e per un po' vado avanti con lo schema ortodosso. A un certo punto, però, rimescolo le carte e faccio una mossa che mi sono inventata lì per lì . E' un rischio, d'accordo, perché con ogni probabilità questa mossa è meno "forte" di quella teorica. Però ha il vantaggio di scombussolare l'avversario, che non è più in grado di rispondere automaticamente ed è invece costretto a pensare a un'adeguata contromisura. Può darsi che la trovi, ma in ogni caso deve riflettere un po' di tempo. E il tempo lavora a mio favore...». Luciano Curino