Il puritano Gheddafi di Igor Man

Il puritano Gheddafi £ TRAMONTATO 0 È SOLO UN'ECLISSE TEMPORANEA? Il puritano Gheddafi La sua "rivoluzione culturale" (il contrario di quella cinese) si rifà al Corano, "che postulò il socialismo molto prima di Marx" - Ma la Libia di oggi è piuttosto un abbozzo di "società militare" dove la borghesia riesce a difendere bene i suoi privilegi - Jallud si mostra più realistico: non crede nelle "guerre sante" (Dal nostro inviato speciale» Il Cairo, 7 aprile. Il « Saint-Just orientale » è stato spodestato oppure è solo entrato in fase di eclisse temporanea? Non si può responsabilmente rispondere alla domanda, almeno in questo momento. Già altre volte Gheddafi si è « dimesso» (l'ultima nel luglio del 1973 dopo il fallimento della « marcia unionista » sul Cairo), per poi tornare sulla scena più battagliero che mai. Non è facile, ora come ora, stabilire se ci si trovi davanti a un vero e proprio colpo di Stato, ancorché « freddo », ovvero a una redistribuzione del potere fra i membri del Consiglio rivoluzionario. Mossa tattica « Al Akhbar » ha scritto che la decisione di privare Gheddafi delle prerogative di governo « è stata presa in seguito alle pressioni dei membri del Consiglio rivoluzionario, pressioni che riflettono quelle delle masse popolari le quali chiedono un mutamento dei metodi attualmente seguiti per raggiungere gli obiettivi della rivoluzione ». Secondo la stampa egiziana, il colonnel ■ lo è stato esautorato in considerazione « del fallimento di molte delle iniziative prese da Gheddafi in campo estero, che sono costate parecchio al reddito nazionale a spese delle necessità del popolo libico ». Al contrario, fonti diplomatiche libiche vorrebbero che lo stesso Gheddafi abbia voluto affidare al maggiore Jallud «compiti di normale amministrazione per potersi dedicare a compiti molto importanti come la riorganizzazione politica della Repubblica libica (...) Gheddafi intende dedicarsi alle organizzazioni popolari, alla elaborazione di nuovi concetti nelle attuali decisive circostanze, alla mobilitazione delle masse ». Per « Al Ahram » la decisione del Consiglio della rivoluzione potrebbe essere «una mossa tattica; Gheddafi potrebbe successivamente riavere tutti i suoi poteri ». Dal « memorandum » comunicato verbalmente dal ministero degli Esteri libico alle missioni diplomatiche straniere a Tripoli risulta chiaramente come gli effettivi poteri di capo dello Stato siano stati assunti dal maggiore Jallud, un pragmatico di poche parole, negoziatore abile quanto risoluto. Tuttavia risulta anche come Gheddafi rimanga l'« organizzatore » e l'ideologo della Libia. Ciò significa che tramontato il sogno panarabo e panislamico, il colonnello continuerà a predicare il «socialismo islamico », a lavorare perché « l'istiraki» (il socialismo) si traduca in acqua, scuole e campi fertili »? Domenica 15 aprile dell'anno 1973 (1393 dell'Egira) Moammar Gheddafi proclamò la « rivoluzione culturale » nel segno dell'Islam, per consentire al popolo di «collaborare oggi», di gestire, domani, il potere. Disse: « Prepariamoci a sbagliare e a correggerci, ci attende una lunga battaglia. Contro il sottosviluppo, l'ignoranza, le malattie, contro l'imperialismo, contro il capitalismo sfruttatore e il comunismo ateo ». Per vincere questa battaglia bisognava edificare il socialismo dal volto arabo. Un socialismo che non ha nulla a che spartire col socialismo che si pratica in Occidente e in Oriente. Esso si rifà al Corano, « che lo postulò molto tempo prima di Marx e di Lenin ». Nel Corano, secondo Gheddafi, c'è tutto: « L'unità araba, il socialismo, il posto che la donna deve avere nella società, la caduta ineluttabile dell'impero romano, il destino del nostro pianeta dopo l'invenzione della bomba atomica». Realizzare il socialismo coranico per Gheddafi significa riportarsi ai principi che governarono la società araba in quel «periodo ideale » che si fissa agli inizi dell'Islam durante i ventinove anni intercorsi fra la morte di Maometto e la vittoria della dinastia omeyyade, quando la comunità fu governata dai quattro califfi rashidoun (« che camminano sulla retta via»;. In quella comunità regnava l'ideale egualitario della tribù beduina e quello coranico dell'eguaglianza dinanzi a Dio, del reciproco aiuto. Giusta la sura 59, versetto 7, del Corano « Il bottino che Dio ha fatto trarre al profeta dalla popolazione, appartiene a Dio, al suo inviato, agli orfani, ai poveri, al viaggiatore, affinché non divenga monopolio dei ricchi ». Rifacendosi al Corano e alla Sonna, il complesso delle « tradizioni » che riportano tutto ciò che il profeta avrebbe detto (gli « hadith ») e fatto, Gheddafi promette la « distribuzione delle ricchezze », ripristina la « zakat», la nostra decima di un tempo, bandisce l'alcool e la danza del ventre, reintroduce la legge del taglione, proibisce i parrucchieri per signora. Nuovo Messia Nel marzo del 1972, a Tripoli, Gheddafi ci spiegò con disarmante candore che il suo socialismo non ha nulla in comune col capitalismo, col comunismo, sistemi entrambi malvagi perché implicano la dominazione d'un gruppo di individui sugli altri. Il socialismo "dettato" dal Corano nega la lotta di classe, rispetta i capitalisti "non sfruttatori", permette ai privati di ereditare e di condurre affari in proprio, incoraggia la promozione sociale. Ma se il Corano «contempla con eguale favore la proprietà privata, la ricerca del profitto, il commercio, la condizione di salariato», come si può arrivare alla promozione dei diseredati? Mediante la "giustizia socialista" predicata dall'ideologia coranica, rispose Gheddafi. Ma il Corano «è l'opera di un uomo, Maometto, che non poteva essere socialista perché ispirato dagli ideali del suo tempo», necessariamente assai diversi da quelli di una società come quella libica dove il «boom» del petrolio ha stravolto i connotati di una economia fino a ieri agricolo-pastorale. La Libia di oggi è un abbozzo di "società militare", per usare la definizione di A. Abdel Malek, dove la borghesia cerca di sfuggire ai rigori del puritanesimo islamico imposto dall'incorruttibile colonnello intrallazzando col vertice mentre il proletariato contesta e l'uno e l'altra. Pretendendo, nella più assoluta buona fede, di conciliare nel nome dell'Islam la «tradizione» (in pratica un vero e proprio conservatorismo) con le istanze di rinnovamento di chi chiede «pane e lavoro», Gheddafi rischia di inseguire l'utopia. Per realizzare un socialismo arabo non basta richiamarsi al libro sacro dove « c'è tutto », occorrerebbe trovare nel Corano e nella Sonna valori applicabili al mondo moderno, in particolare a quegli strati della società libica che esigono l'abolizione dei privilegi e dello sfruttamento, la « distribuzione delle ricchezze ». Gheddafi è convinto di essere un nuovo « mandi » (messia) e parla di rigenerare il mondo arabo, predica la « guerra santa ». Uomini come Jallud sembrano aver compreso che la piccola Libia non può aspirare al ruolo di nazione guida del mondo arabo, che la «guerra santa» è inattuabile. Sembrano aver compreso come sia necessario innanzitutto preoccuparsi dei problemi del Paese, come non sia possibile pretendere di esportare nel mondo il m messaggio » del profeta. Ma Gheddafi? Nel suo « libretto verde » si legge: « Anche Maometto era un incompreso. Ha dovuto lottare contro l'oscurantismo e l'ignoranza. Ma non ha mai disperato ». Igor Man Il colonnello Gheddafi durante uno dei suoi discorsi nell'anniversario della rivoluzione Il puritano Gheddafi £ TRAMONTATO 0 È SOLO UN'ECLISSE TEMPORANEA? Il puritano Gheddafi La sua "rivoluzione culturale" (il contrario di quella cinese) si rifà al Corano, "che postulò il socialismo molto prima di Marx" - Ma la Libia di oggi è piuttosto un abbozzo di "società militare" dove la borghesia riesce a difendere bene i suoi privilegi - Jallud si mostra più realistico: non crede nelle "guerre sante" (Dal nostro inviato speciale» Il Cairo, 7 aprile. Il « Saint-Just orientale » è stato spodestato oppure è solo entrato in fase di eclisse temporanea? Non si può responsabilmente rispondere alla domanda, almeno in questo momento. Già altre volte Gheddafi si è « dimesso» (l'ultima nel luglio del 1973 dopo il fallimento della « marcia unionista » sul Cairo), per poi tornare sulla scena più battagliero che mai. Non è facile, ora come ora, stabilire se ci si trovi davanti a un vero e proprio colpo di Stato, ancorché « freddo », ovvero a una redistribuzione del potere fra i membri del Consiglio rivoluzionario. Mossa tattica « Al Akhbar » ha scritto che la decisione di privare Gheddafi delle prerogative di governo « è stata presa in seguito alle pressioni dei membri del Consiglio rivoluzionario, pressioni che riflettono quelle delle masse popolari le quali chiedono un mutamento dei metodi attualmente seguiti per raggiungere gli obiettivi della rivoluzione ». Secondo la stampa egiziana, il colonnel ■ lo è stato esautorato in considerazione « del fallimento di molte delle iniziative prese da Gheddafi in campo estero, che sono costate parecchio al reddito nazionale a spese delle necessità del popolo libico ». Al contrario, fonti diplomatiche libiche vorrebbero che lo stesso Gheddafi abbia voluto affidare al maggiore Jallud «compiti di normale amministrazione per potersi dedicare a compiti molto importanti come la riorganizzazione politica della Repubblica libica (...) Gheddafi intende dedicarsi alle organizzazioni popolari, alla elaborazione di nuovi concetti nelle attuali decisive circostanze, alla mobilitazione delle masse ». Per « Al Ahram » la decisione del Consiglio della rivoluzione potrebbe essere «una mossa tattica; Gheddafi potrebbe successivamente riavere tutti i suoi poteri ». Dal « memorandum » comunicato verbalmente dal ministero degli Esteri libico alle missioni diplomatiche straniere a Tripoli risulta chiaramente come gli effettivi poteri di capo dello Stato siano stati assunti dal maggiore Jallud, un pragmatico di poche parole, negoziatore abile quanto risoluto. Tuttavia risulta anche come Gheddafi rimanga l'« organizzatore » e l'ideologo della Libia. Ciò significa che tramontato il sogno panarabo e panislamico, il colonnello continuerà a predicare il «socialismo islamico », a lavorare perché « l'istiraki» (il socialismo) si traduca in acqua, scuole e campi fertili »? Domenica 15 aprile dell'anno 1973 (1393 dell'Egira) Moammar Gheddafi proclamò la « rivoluzione culturale » nel segno dell'Islam, per consentire al popolo di «collaborare oggi», di gestire, domani, il potere. Disse: « Prepariamoci a sbagliare e a correggerci, ci attende una lunga battaglia. Contro il sottosviluppo, l'ignoranza, le malattie, contro l'imperialismo, contro il capitalismo sfruttatore e il comunismo ateo ». Per vincere questa battaglia bisognava edificare il socialismo dal volto arabo. Un socialismo che non ha nulla a che spartire col socialismo che si pratica in Occidente e in Oriente. Esso si rifà al Corano, « che lo postulò molto tempo prima di Marx e di Lenin ». Nel Corano, secondo Gheddafi, c'è tutto: « L'unità araba, il socialismo, il posto che la donna deve avere nella società, la caduta ineluttabile dell'impero romano, il destino del nostro pianeta dopo l'invenzione della bomba atomica». Realizzare il socialismo coranico per Gheddafi significa riportarsi ai principi che governarono la società araba in quel «periodo ideale » che si fissa agli inizi dell'Islam durante i ventinove anni intercorsi fra la morte di Maometto e la vittoria della dinastia omeyyade, quando la comunità fu governata dai quattro califfi rashidoun (« che camminano sulla retta via»;. In quella comunità regnava l'ideale egualitario della tribù beduina e quello coranico dell'eguaglianza dinanzi a Dio, del reciproco aiuto. Giusta la sura 59, versetto 7, del Corano « Il bottino che Dio ha fatto trarre al profeta dalla popolazione, appartiene a Dio, al suo inviato, agli orfani, ai poveri, al viaggiatore, affinché non divenga monopolio dei ricchi ». Rifacendosi al Corano e alla Sonna, il complesso delle « tradizioni » che riportano tutto ciò che il profeta avrebbe detto (gli « hadith ») e fatto, Gheddafi promette la « distribuzione delle ricchezze », ripristina la « zakat», la nostra decima di un tempo, bandisce l'alcool e la danza del ventre, reintroduce la legge del taglione, proibisce i parrucchieri per signora. Nuovo Messia Nel marzo del 1972, a Tripoli, Gheddafi ci spiegò con disarmante candore che il suo socialismo non ha nulla in comune col capitalismo, col comunismo, sistemi entrambi malvagi perché implicano la dominazione d'un gruppo di individui sugli altri. Il socialismo "dettato" dal Corano nega la lotta di classe, rispetta i capitalisti "non sfruttatori", permette ai privati di ereditare e di condurre affari in proprio, incoraggia la promozione sociale. Ma se il Corano «contempla con eguale favore la proprietà privata, la ricerca del profitto, il commercio, la condizione di salariato», come si può arrivare alla promozione dei diseredati? Mediante la "giustizia socialista" predicata dall'ideologia coranica, rispose Gheddafi. Ma il Corano «è l'opera di un uomo, Maometto, che non poteva essere socialista perché ispirato dagli ideali del suo tempo», necessariamente assai diversi da quelli di una società come quella libica dove il «boom» del petrolio ha stravolto i connotati di una economia fino a ieri agricolo-pastorale. La Libia di oggi è un abbozzo di "società militare", per usare la definizione di A. Abdel Malek, dove la borghesia cerca di sfuggire ai rigori del puritanesimo islamico imposto dall'incorruttibile colonnello intrallazzando col vertice mentre il proletariato contesta e l'uno e l'altra. Pretendendo, nella più assoluta buona fede, di conciliare nel nome dell'Islam la «tradizione» (in pratica un vero e proprio conservatorismo) con le istanze di rinnovamento di chi chiede «pane e lavoro», Gheddafi rischia di inseguire l'utopia. Per realizzare un socialismo arabo non basta richiamarsi al libro sacro dove « c'è tutto », occorrerebbe trovare nel Corano e nella Sonna valori applicabili al mondo moderno, in particolare a quegli strati della società libica che esigono l'abolizione dei privilegi e dello sfruttamento, la « distribuzione delle ricchezze ». Gheddafi è convinto di essere un nuovo « mandi » (messia) e parla di rigenerare il mondo arabo, predica la « guerra santa ». Uomini come Jallud sembrano aver compreso che la piccola Libia non può aspirare al ruolo di nazione guida del mondo arabo, che la «guerra santa» è inattuabile. Sembrano aver compreso come sia necessario innanzitutto preoccuparsi dei problemi del Paese, come non sia possibile pretendere di esportare nel mondo il m messaggio » del profeta. Ma Gheddafi? Nel suo « libretto verde » si legge: « Anche Maometto era un incompreso. Ha dovuto lottare contro l'oscurantismo e l'ignoranza. Ma non ha mai disperato ». Igor Man Il colonnello Gheddafi durante uno dei suoi discorsi nell'anniversario della rivoluzione

Luoghi citati: Cairo, Il Cairo, Libia, Tripoli