Due o tre cose sul Portogallo di Sandro Viola

Due o tre cose sul Portogallo IL COLONIALISMO DIFFICILE Due o tre cose sul Portogallo (Dal nostro inviato speciale) Lisbona, marzo. I libri dei generali sono seni, prc un po' noiosi, c « Porti/gal e o futuro », opera prima del sessantaquattrenne generale di cavalleria Antonio Sebastiao Ribciro De Spinola, c-onferma pienamente questa vecchia regola. Solo munendosi di molta pazienza il lettore riesce a procedere dalla prima all'ultima delle sue 244 pagine, vincendo il torpore che emana dall'argomentazione prolissa (infarcita di banali riflessioni sulla Storia e sul Destino dei Popoli), e dal linguaggio tronfio. E quando si è giunti all'ultimo capitolo (intitolato « Concluindo », concludendo) ci si rende conto che in tutto il libro non ci sono più di due 6 tre idee, tra l'altro pochissimo originali. Pure, le « due o tre cose a proposito del Portogallo » dette dal generale Spinola hanno avuto effetti gravi, assai più clamorosi di quelli che producono normalmente le memorie dei generali in congedo. E beninteso, tali effetti (un aborto di « marcia su Lisbona », la severa epurazione che ha luogo in questi giorni tra le for. ze armate) non si sono verificati per caso o inaspettatamente. Ora Spinola va dicendo, lo sguardo furbo dietro il monocolo, che non intendeva aprire una crisi di regime, e che il suo libro doveva servire soltanto ad avviare « un'intelligente discussione sul futuro del Paese ». Ma le cose non stanno così. In realtà la pubblicazione del libro mirava a met. tere sotto accusa la politica dell'* Estado novo », lo Stato nuovo, come si chiama ancora — sinistramente — il decrepito regime portoghese. Le « due o tre cose » sul Portogallo dette da Spinola sono ormai note. Che non esiste soluzione militare (cioè possibilità di vittoria) delle guerre coloniali; che il Paese essendo in ritardo di trent'anni rispetto alle più arretrate situazioni europee, lo sforzo bellico rischia di devitalizzarlo per sempre; sicché i portoghesi potrebbero svegliarsi un gior. no ridotti alla stregua « degli eremiti, definitivamente isolati, magari santi ma deboli e poverissimi ». Ora, in un Paese come il Portogallo, in questa Lisbona periferica e smorta, dove le idee contrarie a quelle di chi governa costano da mezzo secolo il carcere e la tortura, la comparsa della summa teorica del generale Spinola può essere stata decisa solo come « momento » d'una manovra politica. Non esattamente un «golpe-», non proprio l'invio dei carri armati agli angoli delle strade, ma qualcosa di abbastanza simile. Queste opinioni sull'impossibilità di piegare, ormai, i movimenti di liberazione in Guinea, in Angola e in Mozambico, la constatazione dell'aggravarsi dell'isolamento diplomatico, la critica implicita al regime poliziesco-paternalista sopravvissuto a Salazar, sono infatti più o meno (se si toglie l'ipotesi confusa che Spinola avanza d'una « federazione » tra metropoli ed ex-colonie) quelle dell'opposizione perseguitata. Ma ad esprimerle, questa volta, non sono stati i clienti abituali delle celle di Caxias (il carcere dove i capi della polizia politica, Silva Pais e Barbieri, conducono i loro spietati interrogatori) ma Weroe nazionale», l'esperto di Africa e di guerriglia, il vicecomandantc di tutte le forze armate. Né il generale con il monocolo e i guanti bianchi agiva da solo. Gira per la città la fotocopia dell' autorizzazione concessa il 13 febbraio, dal ministro della Difesa Silva Cunha, all'uscita del libro. «Per quanto ancora non conosca — scrive il ministro — il testo del libro, ne autorizzo la pubblicazione sulla base dì questo parere del capo di Stato maggiore generale delle forze armate ». Segue il parere del generale Francisco Costa Comes, anche lui superdecorato, veterano delle campagne africane, popolarissimo nell'esercito. Il generale Spinola, dice press'a poco il capo di Stato maggiore, espone una sua tesi sulla soluzione da dare alla gsclstVadQgtsgtaczr guerra nell'oltremare, tesi che si può porre a metà tra le due che circolano da tempo. Quella sostenuta da « comunistas e socialistas » dell'abbandono dei territori africani, e quella delVinlegrazione di tali territori alla madre patria, sostenuta dagli « extremistas da diretta ». Queste due tesi, conclude il generale che appena una settimana fa era ancora alla testa delle forze armate portoghesi, sono ambedue da rigettare: la prima perché contraria agli interessi nazionali, la seconda perché « irrealizzabile ». Ma gli « extremistas » di destra di cui parla il generale Costa Cìomes, coloro che sostengono la politica « irrealizzabile » della continuazione della guerra, non sono, in Portogallo, una banda di nostalgici da caffè. Sono i vegliardi che ancora restano dcW'entourage di Salazar (l'ammiraglio Hcnrique Tenreiro, il generale Santos Costa), il gruppo di generali che detiene i comandi più importanti in Africa e nelia metropoli (i due fratelli Luz Cunha, Silveiro Marquez, Troni, e il più ambizioso di tutti, Kaulza de Arriaga), e qualche altro grosso personaggio ancora. Per esempio gli azionisti delle compagnie del caffè, dello zucchero e dei diamanti, i giganti dell'export-import con le colonie, gli industriali abbarbicati alla legislazione protezionista che ancora regola l'economia portoghese. E tutta questa gente ha un suo epicentro nel capo dello Stato, l'ammiraglio Americo Tomàs, curiosa figura di ultra che a 78 anni — mentre si sgretola la struttura di potere fatta di « doutores », di universitari, che aveva retto il potere dal 1926 al 1968, ed escono allo scoperto i generali — sta vivendo la sua grande stagione. Non più eclissato dall'enorme personalità di Salazar, rinvigorito dal comportamento ambiguo e ondeggiante del primo ministro Caetano, è ormai deciso ad usare tutto il potere che gli viene dalla Costituzione. Era questo lo schieramento che il libro del generale Spinola doveva mettere in difficoltà, dimostrando « tecnicamente » il disastro della guerra coloniale e la condizione esangue in cui versa il Portogallo. Ma ciò che è più importante, è notare che Spinola non era solo. Il capo di Stato maggiore condivideva le sue idee, il ministra della Difesa non poteva certo ignorare quale effetto avrebbe avuto il libro. Né poteva ignorarlo il primo ministro Caetano, che aveva preparato accortamente l'uscita di « Portugal e o futuro ». C'è un calendario della vicenda che lascia pochi dubbi. A fine estate Spinola riceve la massima decorazione militare, a settembre annuncia l'uscita del libro, a novembre viene messo al ministero della Difesa un civile legatissimo a Caetano (e tolto un generale che ha pessimi rapporti con Spinola), a gennaio il generalescrittore viene nominato vicecomandante delle forze armate. A febbraio esce il libro. La manovra politica, il complotto, sono più che evidenti: un colpo all'estrema destra sferrato dall'* eroe nazionale ». Le reazioni che il libro di Spinola avrebbe provocato nelle forza armate (in quella «.classe di capitani », soprattutto, stanchi della guerra ed esasperati dalla modestia degli stipendi), dovevano consentire a Caetano di recuperare il potere che in questi anni gli è stato man mano sottratto da^ gli alti gradi militari raccolti attorno ad Americo Tomàs. Spinola, il suo libro e il suo prestigio nell'esercito divenivano così per Caetano l'ultima opportunità di imprimere una svolta alla politica portoghese. Niente di troppo profondo, si capisce, perché il primo ministro ha nelle orecchie la lezione del suo maestro Salazar («/ rimedi sono spesso peggiori dei mali »), ma una rettifica, un'apertura con cui sperare di togliere il Paese dallo stato preagonico in cui si trova. Ma i calcoli, a giudicare da quel che è successo, erano sbagliati. I generali vegliavano. A dicembre erano andati da Caetano a dirgli che lo avrebbero ritenuto responsabile degli eventuali fermenti che il libro di Spinola (il cui contenuto non era certo ignoto ai suoi colleghi) avrebbe potuto sollevare, e a chiedergli un maggiore impegno economico nello sforzo di guerra. Caetano s'era rifiutato. L'altro ieri, mentre i partigiani di Spinola venivano arrestati o trasferiti, il governo ha stanziato nuovi, ingenti fondi per l'acquisto di materiale militare. Sandro Viola Due o tre cose sul Portogallo IL COLONIALISMO DIFFICILE Due o tre cose sul Portogallo (Dal nostro inviato speciale) Lisbona, marzo. I libri dei generali sono seni, prc un po' noiosi, c « Porti/gal e o futuro », opera prima del sessantaquattrenne generale di cavalleria Antonio Sebastiao Ribciro De Spinola, c-onferma pienamente questa vecchia regola. Solo munendosi di molta pazienza il lettore riesce a procedere dalla prima all'ultima delle sue 244 pagine, vincendo il torpore che emana dall'argomentazione prolissa (infarcita di banali riflessioni sulla Storia e sul Destino dei Popoli), e dal linguaggio tronfio. E quando si è giunti all'ultimo capitolo (intitolato « Concluindo », concludendo) ci si rende conto che in tutto il libro non ci sono più di due 6 tre idee, tra l'altro pochissimo originali. Pure, le « due o tre cose a proposito del Portogallo » dette dal generale Spinola hanno avuto effetti gravi, assai più clamorosi di quelli che producono normalmente le memorie dei generali in congedo. E beninteso, tali effetti (un aborto di « marcia su Lisbona », la severa epurazione che ha luogo in questi giorni tra le for. ze armate) non si sono verificati per caso o inaspettatamente. Ora Spinola va dicendo, lo sguardo furbo dietro il monocolo, che non intendeva aprire una crisi di regime, e che il suo libro doveva servire soltanto ad avviare « un'intelligente discussione sul futuro del Paese ». Ma le cose non stanno così. In realtà la pubblicazione del libro mirava a met. tere sotto accusa la politica dell'* Estado novo », lo Stato nuovo, come si chiama ancora — sinistramente — il decrepito regime portoghese. Le « due o tre cose » sul Portogallo dette da Spinola sono ormai note. Che non esiste soluzione militare (cioè possibilità di vittoria) delle guerre coloniali; che il Paese essendo in ritardo di trent'anni rispetto alle più arretrate situazioni europee, lo sforzo bellico rischia di devitalizzarlo per sempre; sicché i portoghesi potrebbero svegliarsi un gior. no ridotti alla stregua « degli eremiti, definitivamente isolati, magari santi ma deboli e poverissimi ». Ora, in un Paese come il Portogallo, in questa Lisbona periferica e smorta, dove le idee contrarie a quelle di chi governa costano da mezzo secolo il carcere e la tortura, la comparsa della summa teorica del generale Spinola può essere stata decisa solo come « momento » d'una manovra politica. Non esattamente un «golpe-», non proprio l'invio dei carri armati agli angoli delle strade, ma qualcosa di abbastanza simile. Queste opinioni sull'impossibilità di piegare, ormai, i movimenti di liberazione in Guinea, in Angola e in Mozambico, la constatazione dell'aggravarsi dell'isolamento diplomatico, la critica implicita al regime poliziesco-paternalista sopravvissuto a Salazar, sono infatti più o meno (se si toglie l'ipotesi confusa che Spinola avanza d'una « federazione » tra metropoli ed ex-colonie) quelle dell'opposizione perseguitata. Ma ad esprimerle, questa volta, non sono stati i clienti abituali delle celle di Caxias (il carcere dove i capi della polizia politica, Silva Pais e Barbieri, conducono i loro spietati interrogatori) ma Weroe nazionale», l'esperto di Africa e di guerriglia, il vicecomandantc di tutte le forze armate. Né il generale con il monocolo e i guanti bianchi agiva da solo. Gira per la città la fotocopia dell' autorizzazione concessa il 13 febbraio, dal ministro della Difesa Silva Cunha, all'uscita del libro. «Per quanto ancora non conosca — scrive il ministro — il testo del libro, ne autorizzo la pubblicazione sulla base dì questo parere del capo di Stato maggiore generale delle forze armate ». Segue il parere del generale Francisco Costa Comes, anche lui superdecorato, veterano delle campagne africane, popolarissimo nell'esercito. Il generale Spinola, dice press'a poco il capo di Stato maggiore, espone una sua tesi sulla soluzione da dare alla gsclstVadQgtsgtaczr guerra nell'oltremare, tesi che si può porre a metà tra le due che circolano da tempo. Quella sostenuta da « comunistas e socialistas » dell'abbandono dei territori africani, e quella delVinlegrazione di tali territori alla madre patria, sostenuta dagli « extremistas da diretta ». Queste due tesi, conclude il generale che appena una settimana fa era ancora alla testa delle forze armate portoghesi, sono ambedue da rigettare: la prima perché contraria agli interessi nazionali, la seconda perché « irrealizzabile ». Ma gli « extremistas » di destra di cui parla il generale Costa Cìomes, coloro che sostengono la politica « irrealizzabile » della continuazione della guerra, non sono, in Portogallo, una banda di nostalgici da caffè. Sono i vegliardi che ancora restano dcW'entourage di Salazar (l'ammiraglio Hcnrique Tenreiro, il generale Santos Costa), il gruppo di generali che detiene i comandi più importanti in Africa e nelia metropoli (i due fratelli Luz Cunha, Silveiro Marquez, Troni, e il più ambizioso di tutti, Kaulza de Arriaga), e qualche altro grosso personaggio ancora. Per esempio gli azionisti delle compagnie del caffè, dello zucchero e dei diamanti, i giganti dell'export-import con le colonie, gli industriali abbarbicati alla legislazione protezionista che ancora regola l'economia portoghese. E tutta questa gente ha un suo epicentro nel capo dello Stato, l'ammiraglio Americo Tomàs, curiosa figura di ultra che a 78 anni — mentre si sgretola la struttura di potere fatta di « doutores », di universitari, che aveva retto il potere dal 1926 al 1968, ed escono allo scoperto i generali — sta vivendo la sua grande stagione. Non più eclissato dall'enorme personalità di Salazar, rinvigorito dal comportamento ambiguo e ondeggiante del primo ministro Caetano, è ormai deciso ad usare tutto il potere che gli viene dalla Costituzione. Era questo lo schieramento che il libro del generale Spinola doveva mettere in difficoltà, dimostrando « tecnicamente » il disastro della guerra coloniale e la condizione esangue in cui versa il Portogallo. Ma ciò che è più importante, è notare che Spinola non era solo. Il capo di Stato maggiore condivideva le sue idee, il ministra della Difesa non poteva certo ignorare quale effetto avrebbe avuto il libro. Né poteva ignorarlo il primo ministro Caetano, che aveva preparato accortamente l'uscita di « Portugal e o futuro ». C'è un calendario della vicenda che lascia pochi dubbi. A fine estate Spinola riceve la massima decorazione militare, a settembre annuncia l'uscita del libro, a novembre viene messo al ministero della Difesa un civile legatissimo a Caetano (e tolto un generale che ha pessimi rapporti con Spinola), a gennaio il generalescrittore viene nominato vicecomandante delle forze armate. A febbraio esce il libro. La manovra politica, il complotto, sono più che evidenti: un colpo all'estrema destra sferrato dall'* eroe nazionale ». Le reazioni che il libro di Spinola avrebbe provocato nelle forza armate (in quella «.classe di capitani », soprattutto, stanchi della guerra ed esasperati dalla modestia degli stipendi), dovevano consentire a Caetano di recuperare il potere che in questi anni gli è stato man mano sottratto da^ gli alti gradi militari raccolti attorno ad Americo Tomàs. Spinola, il suo libro e il suo prestigio nell'esercito divenivano così per Caetano l'ultima opportunità di imprimere una svolta alla politica portoghese. Niente di troppo profondo, si capisce, perché il primo ministro ha nelle orecchie la lezione del suo maestro Salazar («/ rimedi sono spesso peggiori dei mali »), ma una rettifica, un'apertura con cui sperare di togliere il Paese dallo stato preagonico in cui si trova. Ma i calcoli, a giudicare da quel che è successo, erano sbagliati. I generali vegliavano. A dicembre erano andati da Caetano a dirgli che lo avrebbero ritenuto responsabile degli eventuali fermenti che il libro di Spinola (il cui contenuto non era certo ignoto ai suoi colleghi) avrebbe potuto sollevare, e a chiedergli un maggiore impegno economico nello sforzo di guerra. Caetano s'era rifiutato. L'altro ieri, mentre i partigiani di Spinola venivano arrestati o trasferiti, il governo ha stanziato nuovi, ingenti fondi per l'acquisto di materiale militare. Sandro Viola