Si apre il processo Valpreda Qui è l'imputato che accusa

Si apre il processo Valpreda Qui è l'imputato che accusa Uno dei casi più clamorosi, con tanti rinvìi Si apre il processo Valpreda Qui è l'imputato che accusa Il dibattito a Catanzaro servirà soltanto a dire chi non ha messo le bombe in piazza Fontana, chi non colpevole è stato tenuto in carcere tre anni - L'ex ballerino anarchico non vuole che si rinvìi il processo - Chiede che la sua innocenza sia ufficialmente proclamata - Intanto si attende la fine dell'istruttoria contro i fascisti Freda e Ventura accusati della strage Catanzaro, 17 marzo. Domani s'inizia il processo Valpreda. La palestra del Centro di rieducazione minorile, dove si svolgerà il dibattimento, è pronta: un'aula giudiziaria un po' strana, con il pavimento in linoleum rosso segnato dalle righe bianche e gialle che delimitano i campi di pallavolo e pallacanestro. Oggi è stato installato il metal-detector (uguale a quello in funzione in tutti gli aeroporti) e si sono ultimati i preparativi nel teatrino del «riformatorio», dove giornalisti e pubblico che non avranno trovato posto in aula potranno seguire le fasi del processo attraverso un impianto televisivo a circuito chiuso. Si incomincia in un'atmosfera d'incertezza. A oltre quattro anni dalla strage di piazza Fontana, ancora non si sa se questo processo si farà, 0 non riuscirà invece a superare la fase preliminare come già è accaduto due anni fa a Roma. Allora la Corte d'assise della capitale, dopo nove udienze in cui i difensori degli anarchici misero a nudo la fragilità e la cecità dell'istruttoria, si spogliò del processo dichiarandosi incompetente a giudicare. Adesso abbiamo un magistrato milanese che sta per rinviare a giudizio, sempre per i morti di piazza Fontana, un altro gruppo di persone, tutte d'estrema destra, con a capo Freda e Ventura. Stesso reato, due processi: uno contro gli anarchici, l'altro contro i fascisti. In più un imputato comune ai due gruppi, Mario Merlino, che domani siederà sul banco degli accusati accanto a Valpreda e che in un futuro non molto lontano comparirà davanti ai giudici insieme con Freda e Ventura. In casi del genere la legge prevede che i due processi possano essere riuniti, ma perché ciò avvenga occorre che si trovino nella stessa fase, e vi saranno solo quando la sentenza di rinvio a giudizio contro i fascisti sarà depositata. La parte civile del processo Valpreda ha già presentato due istanze di rinvio, in attesa della sentenza istruttoria di Milano, ma il presidente della Corte d'assise di Catanzaro, dottor Zeuli, le ha respinte. Intervistato ieri, ha detto chiaramente che intende portare avanti il processo (ha persino preso alloggio in una stanza della foresteria dell'Istituto di rieducazione per i minori): di un'eventuale riunione se ne parlerà quando il giudice milanese avrà depositato la sentenza contro Freda e Ventura. La difesa di Valpreda ha fatto sapere che si opporrà a qualunque tentativo di rinviare il processo. Dai giudici di Catanzaro l'anarchico milanese, e con lui Gargamelli e Borghese, pretendono completa riabilitazione. Parliamo di Valpreda perché è lui il simbolo di questa vicenda. Trentotto giorni in cella d'isolamento, oltre tre anni di carcere preventivo, additato come un «mostro», una belva umana. E invece vittima, se non d'una macchinazione, certo di un ingranaggio implacabile. Ricordiamo il 1969, l'anno della contestazione studentesca, delle grandi lotte operaie. E insieme l'anno delle bombe, della grande paura. Ora sappiamo, con certezza quasi assoluta, che quelle bombe erano di marca fascista, si voleva creare panico nel Paese per renderlo pronto e docile a una sterzata a destra. La «strategia della tensione» appare evidente, a uno a uno i fatti un tempo oscuri diventano chiari. Ma allora, di ogni bomba, di ogni attentato si dava colpa agli anarchici, all'estrema sinistra più disorganizzata ma che faceva più rumore. Così per le bombe alla Fiera di Milano del 25 aprile, così per gli attentati sui treni dell'8 agosto. Così per piazza Fontana. Qualche ora dopo la strage il prefetto Libero Mazza già telegrafava al presidente del Consiglio: «Ipotesi attendibile che deve formularsi indirizza indagini verso grappi anarcoidi aut comunque frange estremiste» Quattro giorni dopo Valpre da era accusato di strage. Era il «mostro» e tale è rimasto per due anni. Poi sono venute le indagini del giudice Stiz a Treviso, la scoperta ufficiale della «pista nera» (che già allora, nel '69, poteva essere individuata e che gli inquirenti — per cecità, per comodo, se non addirittura per calcolo — ignorarono, l'incriminazione di Freda e Ventura. E' logico quindi che Valpreda voglia il «suo» processo, da solo, senza 1 fascisti. Perché tutti sappiamo subito della sua innocenza. scnz Un atteggiamento comprensibile, che da un punto di vista umano non si può non condividere. Ma il fatto è che questo processo di Catanzaro nasce vecchio e rischia di tradursi in una inutile esercitazione oratoria. Ci si è arrivati troppo tardi. Ormai è accertato che l'istruttoria contro Valpreda è stata condotta in modo assurdo. Questo processo non potrà che confermarlo: ci dirà chi non ha organizzato gli attentati, chi non ha fabbricato le bombe, chi non le ha collocate, ma non potrà dirci nulla sui veri responsabili della strage di piazza Fontana. Il vero processo, quello che forse ci dirà la verità sugli attentati che hanno sconvolto l'Italia nel 1969, è nelle mani dei magistrati milanesi. E' quello su Freda e Ventura, di cui si attende a giorni la sentenza di rinvio a giudizio. Tutto ciò che è stato scoperto in questi due anni non potrà entrare che in minima parte nel dibattimento che sta per iniziare qui a Catanzaro, come se si trattasse di un'altra storia, accaduta in un altro Paese. Che senso ha chiedere conto a Valpreda delle borse usate per trasportare le bombe quando si sa che furono vendute in un negozio di Padova? Oppure dei «timers», quando è stato accertato — per sua stessa ammissione — che furono acquistati da Freda? Come si potrà parlare del documento dal Sid del 17 dicembre '69 — da cui si deduce che i servizi segreti sapevano che gli attentati erano stati organizzati dai fascisti — se questo documento è nelle carte del processo di Milano? I difensori di Valpreda dovranno quindi limitarsi a dimostrare la fragilità e l'inconsistenza dell'istruttoria contro gli anarchici condotta dai giudici romani. I capisaldi dell'accusa sono quattro: il superteste Rolandi, l'alibi di Valpreda, la sua presunta competenza nel costruire ordigni esplosivi e il teste Ippolito. Vediamoli brevemente. Rolandi — Il taxista Rolandi è morto. Rimangono le sue deposizioni, tra cui una resa «a futura memoria», cioè con valore di prova testimoniale (ma poiché fu raccolta senza la presenza dei difensori, in base ad una sentenza della Corte costituzionale deve considerarsi priva di valore). Rolandi, come è noto, sostenne di aver portato Valpreda fin davanti alla Banca dell'Agricoltura, pochi minuti prima dello scoppio della bomba. Sostiene l'accusa: un teste insospettabile, iscritto al partito comunista e quindi non accecato da passione politica. Ma a parte altre considerazioni (come le. contraddizioni in cui Rolandi è caduto nelle sue deposizioni e l'assurdità di un terrorista che si fa trasportare in taxi ad appena un centinaio di metri dal luogo dell'attentato) rimane la gravissima irregolarità del con¬ fronto «all'americana», compiuto dopo che al teste era stata mostrata una fotografia di Valpreda. L'alibi — Per l'accusa Valpreda non ha un alibi. La zia Rachele Torri sostiene che il pomeriggio del 12 dicembre e i due giorni successivi fu ospite suo, a Milano. Era febbricitante e rimase sempre a letto. La madre Eie Lovati, la nonna Olimpia Torri e la sorella Maddalena confermano. L'accusa sostiene che mentono per salvare il loro congiunto e afferma che Valpreda, dopo la strage, ritornò con la sua «500» a Roma, dove fu visto da alcuni testi, per lo più attori del teatro di varietà «Ambra Jovinelli». Ma anche in questo caso le testimonianze sono contraddittorie e inoltre esiste una perizia automobilistica secondo cui Valpreda, con la sua vecchia utilitaria, non avrebbe potuto compiere, nei tempi indicati dall'accusa, il «raid» Milano - Roma - Milano. Esplosivi — Dice l'accusa: Valpreda era esperto di esplosivi, imparò a maneggiarli durante il servizio militare. Lo conferma un suo ex superiore, il tenente Cicero. E' stato però ritrovato il foglio matricolare originale di Valpreda, dal quale risulta che agli ordini di Cicero rimase appena pochi giorni. Il teste Ippolito — E' l'agente di ps «Andrea» — il suo vero nome è Salvatore Ippolito — infiltratosi nel circolo «22 marzo» con compiti di spia. Le sue «confidenze» sono state fondamentali per formulare le accuse contro gli anarchici. Ma se davvero sapeva, perché non parlò prima? Gli stessi magistrati inquirenti, inoltre, vennero a sapere dell'esistenza di questo poliziotto solo nel maggio del '70. Perché si tenne così a lungo celata la sua identità? Nessuno, finora, è mai riuscito a parlargli. Neppure i giudici. Piero Gasco Si apre il processo Valpreda Qui è l'imputato che accusa Uno dei casi più clamorosi, con tanti rinvìi Si apre il processo Valpreda Qui è l'imputato che accusa Il dibattito a Catanzaro servirà soltanto a dire chi non ha messo le bombe in piazza Fontana, chi non colpevole è stato tenuto in carcere tre anni - L'ex ballerino anarchico non vuole che si rinvìi il processo - Chiede che la sua innocenza sia ufficialmente proclamata - Intanto si attende la fine dell'istruttoria contro i fascisti Freda e Ventura accusati della strage Catanzaro, 17 marzo. Domani s'inizia il processo Valpreda. La palestra del Centro di rieducazione minorile, dove si svolgerà il dibattimento, è pronta: un'aula giudiziaria un po' strana, con il pavimento in linoleum rosso segnato dalle righe bianche e gialle che delimitano i campi di pallavolo e pallacanestro. Oggi è stato installato il metal-detector (uguale a quello in funzione in tutti gli aeroporti) e si sono ultimati i preparativi nel teatrino del «riformatorio», dove giornalisti e pubblico che non avranno trovato posto in aula potranno seguire le fasi del processo attraverso un impianto televisivo a circuito chiuso. Si incomincia in un'atmosfera d'incertezza. A oltre quattro anni dalla strage di piazza Fontana, ancora non si sa se questo processo si farà, 0 non riuscirà invece a superare la fase preliminare come già è accaduto due anni fa a Roma. Allora la Corte d'assise della capitale, dopo nove udienze in cui i difensori degli anarchici misero a nudo la fragilità e la cecità dell'istruttoria, si spogliò del processo dichiarandosi incompetente a giudicare. Adesso abbiamo un magistrato milanese che sta per rinviare a giudizio, sempre per i morti di piazza Fontana, un altro gruppo di persone, tutte d'estrema destra, con a capo Freda e Ventura. Stesso reato, due processi: uno contro gli anarchici, l'altro contro i fascisti. In più un imputato comune ai due gruppi, Mario Merlino, che domani siederà sul banco degli accusati accanto a Valpreda e che in un futuro non molto lontano comparirà davanti ai giudici insieme con Freda e Ventura. In casi del genere la legge prevede che i due processi possano essere riuniti, ma perché ciò avvenga occorre che si trovino nella stessa fase, e vi saranno solo quando la sentenza di rinvio a giudizio contro i fascisti sarà depositata. La parte civile del processo Valpreda ha già presentato due istanze di rinvio, in attesa della sentenza istruttoria di Milano, ma il presidente della Corte d'assise di Catanzaro, dottor Zeuli, le ha respinte. Intervistato ieri, ha detto chiaramente che intende portare avanti il processo (ha persino preso alloggio in una stanza della foresteria dell'Istituto di rieducazione per i minori): di un'eventuale riunione se ne parlerà quando il giudice milanese avrà depositato la sentenza contro Freda e Ventura. La difesa di Valpreda ha fatto sapere che si opporrà a qualunque tentativo di rinviare il processo. Dai giudici di Catanzaro l'anarchico milanese, e con lui Gargamelli e Borghese, pretendono completa riabilitazione. Parliamo di Valpreda perché è lui il simbolo di questa vicenda. Trentotto giorni in cella d'isolamento, oltre tre anni di carcere preventivo, additato come un «mostro», una belva umana. E invece vittima, se non d'una macchinazione, certo di un ingranaggio implacabile. Ricordiamo il 1969, l'anno della contestazione studentesca, delle grandi lotte operaie. E insieme l'anno delle bombe, della grande paura. Ora sappiamo, con certezza quasi assoluta, che quelle bombe erano di marca fascista, si voleva creare panico nel Paese per renderlo pronto e docile a una sterzata a destra. La «strategia della tensione» appare evidente, a uno a uno i fatti un tempo oscuri diventano chiari. Ma allora, di ogni bomba, di ogni attentato si dava colpa agli anarchici, all'estrema sinistra più disorganizzata ma che faceva più rumore. Così per le bombe alla Fiera di Milano del 25 aprile, così per gli attentati sui treni dell'8 agosto. Così per piazza Fontana. Qualche ora dopo la strage il prefetto Libero Mazza già telegrafava al presidente del Consiglio: «Ipotesi attendibile che deve formularsi indirizza indagini verso grappi anarcoidi aut comunque frange estremiste» Quattro giorni dopo Valpre da era accusato di strage. Era il «mostro» e tale è rimasto per due anni. Poi sono venute le indagini del giudice Stiz a Treviso, la scoperta ufficiale della «pista nera» (che già allora, nel '69, poteva essere individuata e che gli inquirenti — per cecità, per comodo, se non addirittura per calcolo — ignorarono, l'incriminazione di Freda e Ventura. E' logico quindi che Valpreda voglia il «suo» processo, da solo, senza 1 fascisti. Perché tutti sappiamo subito della sua innocenza. scnz Un atteggiamento comprensibile, che da un punto di vista umano non si può non condividere. Ma il fatto è che questo processo di Catanzaro nasce vecchio e rischia di tradursi in una inutile esercitazione oratoria. Ci si è arrivati troppo tardi. Ormai è accertato che l'istruttoria contro Valpreda è stata condotta in modo assurdo. Questo processo non potrà che confermarlo: ci dirà chi non ha organizzato gli attentati, chi non ha fabbricato le bombe, chi non le ha collocate, ma non potrà dirci nulla sui veri responsabili della strage di piazza Fontana. Il vero processo, quello che forse ci dirà la verità sugli attentati che hanno sconvolto l'Italia nel 1969, è nelle mani dei magistrati milanesi. E' quello su Freda e Ventura, di cui si attende a giorni la sentenza di rinvio a giudizio. Tutto ciò che è stato scoperto in questi due anni non potrà entrare che in minima parte nel dibattimento che sta per iniziare qui a Catanzaro, come se si trattasse di un'altra storia, accaduta in un altro Paese. Che senso ha chiedere conto a Valpreda delle borse usate per trasportare le bombe quando si sa che furono vendute in un negozio di Padova? Oppure dei «timers», quando è stato accertato — per sua stessa ammissione — che furono acquistati da Freda? Come si potrà parlare del documento dal Sid del 17 dicembre '69 — da cui si deduce che i servizi segreti sapevano che gli attentati erano stati organizzati dai fascisti — se questo documento è nelle carte del processo di Milano? I difensori di Valpreda dovranno quindi limitarsi a dimostrare la fragilità e l'inconsistenza dell'istruttoria contro gli anarchici condotta dai giudici romani. I capisaldi dell'accusa sono quattro: il superteste Rolandi, l'alibi di Valpreda, la sua presunta competenza nel costruire ordigni esplosivi e il teste Ippolito. Vediamoli brevemente. Rolandi — Il taxista Rolandi è morto. Rimangono le sue deposizioni, tra cui una resa «a futura memoria», cioè con valore di prova testimoniale (ma poiché fu raccolta senza la presenza dei difensori, in base ad una sentenza della Corte costituzionale deve considerarsi priva di valore). Rolandi, come è noto, sostenne di aver portato Valpreda fin davanti alla Banca dell'Agricoltura, pochi minuti prima dello scoppio della bomba. Sostiene l'accusa: un teste insospettabile, iscritto al partito comunista e quindi non accecato da passione politica. Ma a parte altre considerazioni (come le. contraddizioni in cui Rolandi è caduto nelle sue deposizioni e l'assurdità di un terrorista che si fa trasportare in taxi ad appena un centinaio di metri dal luogo dell'attentato) rimane la gravissima irregolarità del con¬ fronto «all'americana», compiuto dopo che al teste era stata mostrata una fotografia di Valpreda. L'alibi — Per l'accusa Valpreda non ha un alibi. La zia Rachele Torri sostiene che il pomeriggio del 12 dicembre e i due giorni successivi fu ospite suo, a Milano. Era febbricitante e rimase sempre a letto. La madre Eie Lovati, la nonna Olimpia Torri e la sorella Maddalena confermano. L'accusa sostiene che mentono per salvare il loro congiunto e afferma che Valpreda, dopo la strage, ritornò con la sua «500» a Roma, dove fu visto da alcuni testi, per lo più attori del teatro di varietà «Ambra Jovinelli». Ma anche in questo caso le testimonianze sono contraddittorie e inoltre esiste una perizia automobilistica secondo cui Valpreda, con la sua vecchia utilitaria, non avrebbe potuto compiere, nei tempi indicati dall'accusa, il «raid» Milano - Roma - Milano. Esplosivi — Dice l'accusa: Valpreda era esperto di esplosivi, imparò a maneggiarli durante il servizio militare. Lo conferma un suo ex superiore, il tenente Cicero. E' stato però ritrovato il foglio matricolare originale di Valpreda, dal quale risulta che agli ordini di Cicero rimase appena pochi giorni. Il teste Ippolito — E' l'agente di ps «Andrea» — il suo vero nome è Salvatore Ippolito — infiltratosi nel circolo «22 marzo» con compiti di spia. Le sue «confidenze» sono state fondamentali per formulare le accuse contro gli anarchici. Ma se davvero sapeva, perché non parlò prima? Gli stessi magistrati inquirenti, inoltre, vennero a sapere dell'esistenza di questo poliziotto solo nel maggio del '70. Perché si tenne così a lungo celata la sua identità? Nessuno, finora, è mai riuscito a parlargli. Neppure i giudici. Piero Gasco