Un geniale maestro della linguistica

Un geniale maestro della linguistica Un geniale maestro della linguistica Matteo Bartoli nel centenario della nascita Matteo Bartoli, quando venne a Torino, nel gennaio del 1908, era conosciuto soprattutto per il grosso lavoro sul Dalmatico, ricca e dotta monografia su una morente varietà romanza che ancora trovava unica voce in un anziano superstite parlante dell'isola di Veglia (Bartoli aveva fatto a tempo a utilizzarlo come informatore]. Area laterale, o « isolata » come il sardo, è appunto il dalmatico; al Bartoli serviva egregiamente (come il sardo per l'Occidente) alla ricostruzione della Romania orientale; egli metteva in luce i rapporti del dalmatico con il romeno e con i dialetti centro-meridionali della sponda adriatica italiana. Fino al 1925 non pubblicò più libri di grosso impegno. Ma in quell'anno la sua In- troduzione alla neolinguistica, un volume dedicato alla latinità volgare dell'Italia, fu per molti un'illuminazione, un libro di importanza capitale, perché nessuno prima di lui aveva sapulo impostare il problema delle origini romanze secondo una determinazione geografica e cronologica siffatta. La «geografia linguistica» era utilizzata in modo nuovo; semplificato, ma geniale. Bartoli si liberava da ogni convenzione e tradizione della scienza (l'incontro con il duttile realismo di un maestro come Gilliéron era stato determinante); sovvertitore delle leggi fonetiche, la sua polemica si accendeva contro i positivisti « neogrammatici» tedeschi (scriveva Gramsci, uno dei tanti allievi d'eccezione che ebbe il Bartoli: « Uno dei maggiori " rimorsi " intellettuali della mia vita è il dolore profondo che ho procurato al mio buon professore Bartoli dell'Università di Torino, il quale era persuaso essere io l'arcangelo destinato a " profligare " definitivamente i "neogrammatici"»;. Che cos'era la « neolinguistica » del Bartoli? Come tutte le intuizioni geniali, una cosa semplicissima. In questa Introduzione, come poi nei seguenti Breviario di neolinguistica (1928), Saggi di linguistica spaziale (1945), analizzava la distribuzione geografica dei fenomeni linguistici non in funzione semplicemente descrittiva o comparativa, ma come strumento di indagine storica. Gli spagnoli dicono mas (Magìs), i francesi plus (Plus), gli italiani più (Plus), i romeni mai (Magis) perché nell'uso parlato del latino, a una fase storica che aveva generalizzato l'uso di magis aveva fatto seguito un'altra che generalizzava plus, innovazione « seriore » che aveva conquistato l'Italia e la Gallia, ma che non aveva fatto a tempo a raggiungere (per la rovina dell'Impero romano) le aree laterali. Questa, ad esempio, una delle cinque norme areali applicate a scopi storico-cronologici all'indagine linguistica. L'innovazione (formosu rispetto a bellu, casa rispetto a domu ecc.) era il risultato della scelta tra una coppia di due forme sentite come equivalenti in un determinato momento, in un determinato luogo, entrate quindi in conflitto, succedutesi cronologicamente, e differentemente trasmessesi nello spazio. Questo uno dei grandi meriti di Matteo Bartoli, ricordato giorni addietro da Carlo Alberto Mastrelli e da Giuliano Bonfante all'Accademia delle Scienze di Torino nella ricorrenza del centenario della nascita. Ma uno dei meriti maggiori (e mi è caro riandare alla commemorazione tenuta nel novembre del '47 da Benvenuto Terracini, preludendo al corso di glottologia di quell'anno in cui succedeva a Bartoli) resta la concezione, la preparazione e l'esecuzione deZZ'Atlante linguistico italiano, ancor oggi purtroppo non ultimato, anche se in fase avanzatissima di elaborazione: ora è affidato alla cura di quell'esperto geografo-linguista che è Corrado Grassi. Bartoli, grazie alla cooperazione della Società filologica friulana, all'aiuto del primo raccoglitore, Ugo Pellis, ai suggerimenti dell'amico dottissimo, Giuseppe Vidossi, diede inizio alla grossa impresa. L'augurio è che se ne possa vedere presto il compimento. Sarà il modo migliore per commemorare degnamente le doti geniali di Matteo Bartoli, il monumento più degno alla sua memoria. Gian Luigi Beccaria

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