Il fascino di Bunuel di Guido Ceronetti

Il fascino di Bunuel ANCHE A LEGGERLO Il fascino di Bunuel L'indigeribile monotonia del cinematografo, a quasi cento anni dalla sua invenzione, ogni tanto si rompe: c'è un film di Luis Bunuel. La reclusione di due ore in un miasma, col bacino pietrificato su un'irragionevole poltrona fissa, tra malati di nervi che fanno di continuo sfrigolare il cerino, gonfiando fino al limite dello scoppio la mongolfiera catramosa prodotta dalla loro fedeltà al tabagismo, è un fastidio che, quasi sempre, la menzogna proiettata arricchisce di scabbia. Se il film è di Bunuel c'è compenso. Un mistero dell'intelligenza, subito presente nell'infallibile prestigio del nome, distribuirà le carte di un imprevisto gioco. Bunuel ha settantaquattro anni e ha firmato II fascino discreto della borghesia due anni fa, Tris tana nel 1970. Questo vuol dire che è invecchiato bene. Un'opportuna sordità ha preservato dalle manomissioni esterne il suo mondo fantastico. La vecchiaia di Renoir, di Carnè, di Chaplin, di Dreyer, è stata una triste caduta. Dreyer, se non fosse morto a tempo, dopo il melenso Gertrud, avrebbe fatto il milionesimo film sulla vita di Gesù. Carne è ossessionato dalla fondamentale innocenza dei giovani turbolenti. Chaplin ha mandato qualche suono rauco dal suo mausoleo svizzero. Bunuel, invece, è straordinario. ★ * Gli è stato imposto, purtroppo, dai nemici dell'arte, il colore. Il fascino discreto sarebbe molto più affascinante in bianco e nero, perché il colore è volgarità. La perdita di magico, di liquido poetico, di concentrazione, di unicità delle immagini, è gravissima. Ma è questo il risultato che cercavano, cancellare al più presto una possibilità di poesia, guastando anche il lavoro degli ultimi maestri del cinema, tutti formatisi sul bianco e nero, e diminuiti nella loro forza dal sonnifero policromatico. Bunuel non si è lasciato snaturare; tuttavia se si liberasse dal colore sarebbe una rivolta veramente esemplare. E' uno studioso divertito d'insetti e di manie umane. Ha costruito una sua antireligione di parodia blasfema che è come uno specchio, deformante eppure esatto, della religione dei suoi anni devoti, Settimane Sante e collegio dei Gesuiti, così che, invece di sboccare nella laicità pura, il bunuelismo maturo rivela un semplice trasloco da una stanza alla sua immagine riflessa. C'è anche un notevole animismo di stregone arcaico, una specie di fede primitiva (oh giustissima!) nelle forze invisibili che circoscrivono, sospingono, traviano, legano le azioni umane. Nessuna superstizione, nessun frammento di sogno è trascurato. Bunuel trascrive tutto, non da etnografo, ma da artista che vede. In Viridiana, nella contrapposizione tra l'agnosticismo brutale del cugino Jorge e la pietà balorda di Viridiana, il favore di Bunuel per il primo appare piuttosto forzato. Uno che si occupa di fili elettrici... Appena il cugino esce di campo, la banalità razionale cede alla divorante follia, alle delizie dell'inesplicabile: Viridiana è presa in un incantesimo che l'abbandono dell'abito monacale e della filantropia non distruggeranno. ★ ★ Come storia di una svestizione e di una persuasione irreligiosa, Viridiana non sarebbe che una dissacrazione a buon mercato, di quelle che inducono un dissacratore di buon gusto a pendere dalla parte opposta, ma è un pezzo di fantastico in libertà, di cui la fine di un'illusione cristiano-filantropica non è che lo spettrale pretesto. Il mistero erotico, dal vecchio don Jaime necrofilo al tentativo di violenza degli straccioni, avviluppa Viridiana di una disciplina molto più rigorosa di quella conventuale. L'ironia bunueliana, essendo ironia autentica, uguaglia credulità e incredulità, sacro e profano; resta il rispetto assoluto per l'oscuro della vita a salvaguardia di tutto. Bunuel non ha spiegazioni universali da fornire né utopie da inoculare (le aveva, l'intelligenza matura le ha sciolte); l'ottimismo razionalista, anche quando sembra bene accolto, è subito deformato e capovolto dall'intervento decisivo di una verità sostanziale che ha orrore del luminoso. Esemplare la storia degli Olvidados, film commissionato da un Ministero della Pubblica Istruzione per lodare la bontà dei propri centri di rieducazione dei minori. I centri del Bene statale funzionano ottimamente, ma il Male senza legge ha istituzioni invisibili che funzionano molto meglio: il tentativo di recupero sociale finisce in un sanguinoso disastro. I sette copioni bunueliani usciti in uno dei Saggi Einaudi sono una lettura sorprendente, che aiuta a veder meglio nelle bunuelerie. Tutta la parte del Lebbroso di Viridiana è importantissima... Il disgraziato racconta, mentre la pietosa gli medica il braccio purulento, di essersi preso il male da una donna, in una giornata di vento cattivo. Bunuel spiega il caso alla biforcata: come un contagio venereo e come una siderazione climatica, la punizione di un peccato con meteorologia impropizia. (Bisognerebbe domandargli da quale credenza popolare ha tolto l'idea del vento cattivo). Genialmente, questo luetico è trasformato in uno spauracchio medievale, un Lebbroso. Ma le lebbroserie medievali, in Spagna, e in tutta Europa, ospitavano prevalentemente luetici e pazzi incurabili, mentre erano rari, a giudizio dei bravi frugatori di cimiteri dei lebbrosi, i veri malati di Hansen. C'erano, nel secolo XIII, diecimila lebbroserie in Europa: uno di quei falsi lebbrosi è l'intoccabile bunneliano, bugiardo, libidinoso, avido e assassino, la più originale creazione demonologica di Viridiana. La colomba ferita che il Lebbroso cattura, fingendo di curarla, e di cui sparge le piume durante l'osceno banchetto dei mendicanti, è un bel parallelismo della catastrofe degli Olvidados. Se preferisco L'angelo sterminatore a Viridiana, e anche agli altri che he visto, è solo per solidarietà metafisica. Scopro, nel copione, un particolare sfuggito: alla fine, sul portale della cattedrale, si vede sventolare la bandiera gialla. (Il perfetto bianco e nero di Gabriel Figueroa non poteva imporre l'importanza di questo giallo). Si canta con solennità un Te Deum per la liberazione dei naufraghi di calle Providencia, mentre la bandiera annuncia silenziosamente il Distruttore che fa il vuoto a mezzogiorno, del salmo 91. Le pecore dell'immagine finale sono un'umanità che cerca scampo contro lo Sterminio che cammina nell'oscurità: ma è un errore mortale cercarlo in chiesa, perché proprio lì è il luogo del contagio e della fine. La grande ironia parla un linguaggio di meravigliosa trasparenza. ★ * II feticismo bunueliano dei piedi nudi, delle scarpe e degli stivaletti femminili meriterebbe una bella divagazione erotologica. Parlatene, se avete garbo sufficiente, sessuologi, nei vostri congressi! Nel Diario di una cameriera, il vecchio Rabour, grande collezionista di bottines di ogni epoca, arriva fino alla stivalettofagia, e ne muore. (Uno scarpone mangiato, invece, nella Febbre dell'oro, fa vivere Charlot). Meditare il verso di Mallarmé, nel sonetto erotico della négresse, per penetrare nel delirio dello stivaletto: Elle darde le choc obscur de ses bottines... Il Diario fu pubblicato da Octave Mirbeau nel 1900, in omaggio a Bunuel che proprio in quell'anno, a Calanda di Teruel, fissò per la prima volta la sua attenzione sulla meraviglia dei piedi umani, in persona della sua levatrice. Circolante in Italia quando i libri audaci piangevano sulla propria solitudine, insieme al dionisiaco Piaceri e crudeltà storiche, ricco di memorabili flagellazioni, il romanzo di Mirbeau preludeva a una fioritura letteraria di drammi ancillari, e anche a qualche crimine famoso, come quello delle sorelle Papin. Bunuel ne ricavò, nel 1963, un film ammirevole, che piacque pochissimo, anzi non piacque, credo per l'eccessivo carico di stupidità e di bassezza umana, del genere più antipatico, denunciate compattamente, senza un punto di leggerezza o un sorriso. La protagonista, Célestine, aristocratica cameriera in un elegante costume di Cardin, era Jeanne Moreau, glaciale come una scheggia di specchio. Come la faccia della Moreau, tutto, in quel film di Bunuel, è amaro e glaciale. La satira è pura, quasi intollerabile. L'ironico rigore del suo sadismo cinematografico è una conferma della sua ben nota probità umana. Bunuel ama dormire sul durissimo, particolare privato che distingue subito il sano dal malsano, l'integro dal guasto. Il suo sonno è di dieci, dodici ore filate. Sogna piedi. Guido Ceronetti

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