Rabbia e consumismo dal teatro di Amburgo

Rabbia e consumismo dal teatro di Amburgo Alla rassegna delle compagnie stabili Rabbia e consumismo dal teatro di Amburgo Il Thalia Theater ha presentato al Festival di Firenze "Alta Austria" (Dal nostro inviato speciale) Firenze, 23 aprile. Ha soltanto 28 anni l'autore di «Alta Austria» che il Thalia Theater di Amburgo, uno dei tre, dico tre, teatri a gestione pubblica di questa città della Germania federale, ha presentato l'altra sera alla Rassegna internazionale degli Stabili. Ha soltanto 28 anni, ha esordito appena tre anni fa, ed è già con una quindicina di testi uno degli autori più rappresentati del suo Paese. Ma i. successo di Franz Xaver Kroetz, questo è il suo nome, non è stato incontrastato, le sue prime erano spesso burrascose con una parte del pubblico almeno perplessa e gruppetti di scalmanati fascistelli che gli davano del «porco» e del «comunista». Ma Kroetz non è un pornografo e, anche se ha portato sulla scena stupri, assassina e aborti, lo ha fatto con un chiaro intento di critica sociale, presentando delitti e violenze come frutto delle contraddizioni di una società la quale emargina il sottoproletariato, generalmente di origine contadina, che non riesce ad integrarsi, a «normalizzarsi», nelle grandi città e lo spinge ad atti estremi privandolo di tutto, persino del linguaggio. I personaggi di Kroetz, che è nato e vive a Monaco, parlano un bavarese che non è neppure più dialetto, ma un gergo artificiale infarcito delle frasi fatte della pubblicità, dei giornali e della tv. Questo gergo lo parla anche la coppia, marito e moglie, di « Oberòsterreich » (dove l'Austria settentrionale del titolo è soltanto tin richiamo a un fatto di cronaca citato nella commedia), anche se non si tratta più né di contadini né, in senso stretto, di sottoproletari: Heinz e Anni vìvono in città, hanno un buon lavoro, conducono un'esistenza (ma sarebbe più esatto dire che la subiscono) ordinata e tranquilla. Non sono insomma quegli esseri abnormi, quei «mostri» che Kroetz crudamente rappresentava nei suoi lavori precedenti (se ne può leggere uno, «La corte delle stalle», su uno degli ultimi numeri della rivista «Sipario»). Sotto questo aspetto, «Alta Austria» segnerebbe una svolta nella drammaturgia di Kroetz se la «normalità» di Heinz e Anni non fosse «mostruosa» come V«anormalità» delle creature rozze e selvagge dei suoi primi drammi: davanti al figlio che deve nascere, ma che non è stato «programmato», e che del resto la società dei consumi non consente di «programmare» a meno di rinunciare a una fetta di (falso) benessere, i due si smarriscono e non sanno nemmeno scegliere, coscientemente, tra l'accettare o sopprimere il nascituro. E' vero che Heinz, in un impeto di ribellione e in un sussulto di individualismo, suggerisce l'aborto, ma è anche vero che subito si arrende al rifiuto di Anni: un rifiuto che avrebbe senso e valore se scaturisse de. una presa di coscienza della propria condizione e non da una passiva accettazione di essa. Qui il dramma inclina a un sentimentalismo che lo colora di ambiguità, ne annacqua le premesse e ne attenua il conclamato realismo. E non è dissimile dai sentimentalismo, o addirittura dal crepuscolarismo, di quell'Horvath che lo stesso Kroetz riconosce come proprio maestro accanto a Marie Luise Fleisser (ma, stranamente, né lui né i suoi critici citano Pinter e Bond che è impossibile che Kroetz non conosca e di cui non può non aver avvertito l'influenza). D'altra parte il neorealismo di Kroetz e di altri giovani autori tedeschi, richiama, almeno nelle commedie più sfumate (o commercializzate?) come questa, il vecchio naturalismo che per noi può essere persino, si veda il far di conti di Heinz, quello di «Come le foglie». Allora «Alta Austria» rischierebbe davvero di apparire un dramma sull'aborto e non, come vorrebbe, sul consumismo, se a risospingerlo e mantenerio sul terreno della denuncia e della satira della società dei consumi non ci fossero due attori straordinari come Heta Mantscheff e Heinz Trixner. Sono continuamente e soltanto loro in scena, in una serie di «flashes» talvolta fulminei (uno di tre battute — «bella giornata», «domenica, appunto», «già» — è un piccolo capolavoro di verità) e sempre scanditi da calcolate pause e espressivissimi silenzi, divisi fra loro solo da un breve stacco durante il quale i due interpreti provvedono loro stessi a preparare la scena seguente con un efficace effetto di «rottura», non so se suggerito dall'autore o dalla regìa, peraltro abbastanza piatta, di Helmut Qualtinger. Bisogna vedere come lui riesce a rendere le banalità e anche la trivialità del suo personaggio senza tuttavia eccedere in un gesto o in un'intonazione (e dire che deve fare l'ubriaco o fingere scarsa virilità in un rapporto sessuale), e bisogna vedere come lei, che è una donna giovane e graziosa, sa ingoffirsi e involgarirsi soltanto stringendosi nelle spalle, o storcendo lievemente la bocca, o stazzonando i suoi abiti. Non so in che stima ì tedeschi tengano questa loro portentosa attrice: a giudicare dalla prova dell'altra sera, applauditissima insieme a quella di Trixner, dovrebbe essere grandissima. Alberto Blandi

Persone citate: Alberto Blandi, Bond, Franz Xaver Kroetz, Heinz Trixner, Helmut Qualtinger, Horvath, Marie Luise Fleisser, Pinter, Rabbia

Luoghi citati: Amburgo, Austria, Firenze, Germania, Monaco