Norma, applausi e giallo di Massimo Mila

Norma, applausi e giallo Una movimentata "prima,, al Regio Norma, applausi e giallo Protagonista Renata Scotto, al suo esordio nell'opera di Bellini, con Bianca Maria Casoni, Gianfranco Cecchele e Bonaldo Giaiotti - Direttore Giuseppe Patané, regista Raf Vallone - Una serata nervosa, con la sala divisa in due partiti, uno svenimento del soprano in un intervallo, e scene di entusiasmo per lei alla fine di ogni atto Si è sfiorato il giallo l'altra sera al Regio, quando nell'intervallo dell'ultimo atto della Norma (suddivisa in tre atti), l'altoparlante ha annunciato una sospensione dello spettacolo in seguito a lieve indisposizione di Renata Scotto, e ha pregato di restare in attesa d'ulteriori comunicazioni. In realtà non c'è stato bisogno d'altri annunci: dopo pochi minuti il sipario si è aperto sull'ultima delle scene fantasiosamente stilizzate di Mischa Scandella, la Scotto ha fatto la sua apparizione e ha condotto a termine tra gli applausi la tragica vicenda della sacerdotessa druidica, senza che si potesse avvertire alcun calo o mutamento rispetto alla precedente prestazione. L'annuncio era caduto sopra una sala considerevolmente nervosa e divisa in due partiti: gli ammiratori ad oltranza della Scotto, e coloro che, senza contestarne la finissima arte vocale, la giudicavano inadatta all'alta tragicità della parte di Norma, avendo in mente, manco a dirlo, una celebre interpretazione del recente passato. A questo proposito va subito precisato che non esiste « un » modo ufficiale ed esclusivo di rendere Norma: fin dai primi anni dell'opera la Norma « feroce » di Giuditta Pasta fu soppiantata dalla Norma « tenera » di Maria Malibran, come racconta molto bene Franco Abbiati in uno dei primi capitoli del suo Verdi. Ciò posto, è da dire che hanno torto marcio tanto gli esaltatori quanto i demolitori dell'interpretazione di Renata Scotto. Gli uni e gli altri fanno proprio un criterio inaccettabile, perché provinciale e quarantottesco, del teatro lirico fondato sul divismo individuale. Con buona pace di certe tigri, i cantanti, anche grandissimi, non sono che strumenti a disposizione di una mente capace di concepire una interpretazione unitaria dell'opera. Purtroppo di queste menti non ce ne sono molte in circolazione, ed è raro che trovino la via del Regio di Torino. E' escluso, per esempio, che questa mente fosse l'altra sera quella di Giuseppe Patané, direttore d'orchestra che probabilmente non si sogna nemmeno di avanzare simili aspirazioni e bada a condurre onestamente in porto l'esecuzione. Succede così che i cantanti se ne vanno per conto loro, secondo le personali inclinazioni: le due donne (la Scotto e Bianca Maria Casoni) tirano alla finezza dei chiaroscuri, Oroveso (il basso Bonaldo Giaiotti) tuona, e Politone (il tenore Gianfranco Cecchele) sta prudentemente alla finestra tra i due tipi d'interpretazione. L'orchestra, poi, alquanto pesante e talvolta imprecisa, cerca di metterli tutti nei pasticci. La mente direttiva avrebbe potuto allora essere quella del regista, ma sarebbe pretendere troppo dal bravo Raf Vallone, al suo esordio nel terreno insidioso della regìa lirica, che possa prendere in pugno una rappresentazione condizionata da premesse tanto compromettenti. Vallone è un esperto uomo di teatro ed ha messo su uno spettacolo senza stravaganze né bizzarrie. Col frequente atteggiamento sacrale delle braccia sollevate, ha cercato di allontanare i cantanti dai loro gestucci convenzionali, miranti solo a facilitare l'emissione della voce, e ha costruito una dimensione tragica alla protagonista, avvantaggiata da un bellissimo costume. (In genere sono assai belli i figurini dei personaggi, mentre quelli dei soldati avrebbero potuto entrare pari pari in una rappresentazione del 1880, e stridono con le pretese d'originalità delle scene). Vallone ha fatto anche lui il suo bravo do di petto con la barbarica irruzione dei guerrieri, giù a precipizio per una scalinata, durante l'Inno guerriero dell'ultimo atto. Oltre ai cantanti già nominati hanno collaborato Wilma Tabacci e Gino Valle. Il coro, istruito dal maestro Tullio Boni, è andato meglio del solito, i movimenti coreografici ideati da Giuseppe Carbone sono labili e discreti, l'allestimento scenico diretto da Aulo Brasaola funziona questa volta con egregia speditezza. Scene di entusiasmo per la Scotto ad ogni fine d'atto e frequenti applausi a scena aperta, anche per Cecchele e per la Casoni. La disuguale stagione del Regio si conclude così, ai piedi d'un'argentea quercia d'Irminsul, con uno spettacolo altrettanto disuguale, ma ricco di motivi d'interesse, e tale da porre in tutta la sua drammatica evidenza il problema del maggiore teatro cittadi¬ no: quello di darsi finalmente una direzione artistica stabile e perciò veramente responsabile, non affidata a un personaggio fantomatico destinato regolarmente a sparire di scena quando sarebbe ora di concretare qualche risultato. Massimo Mila

Luoghi citati: Norma, Torino