Pefeano: recluso forse conosce la verità sulla bomba che uccise i tre carabinieri di Piero Cerati

Pefeano: recluso forse conosce la verità sulla bomba che uccise i tre carabinieri Il processo alle assise di Trieste è nella fase decisiva Pefeano: recluso forse conosce la verità sulla bomba che uccise i tre carabinieri Il detenuto ha chiesto di essere ascoltato: convocato per il 2 maggio - Durante un trasferimento disse ad alcuni militari della scorta: "Voi non sapete nulla, io sono dentro e so parecchie cose" - Ancora contestazioni ai testimoni - La strana figura e le indagini su un giovane, imputato perché spiegò agli inquirenti come si fa saltare in aria un'auto (Dal nostro inviato speciale) Trieste, 22 aprile. Un altro detenuto, Gian Paolo Brass, ha chiesto «di far sapere la verità, quella vera» sulla strage di Peteano, dove il 31 maggio 1972 un'auto-bomba uccise tre carabinieri. La corte d'assise di Trieste, che processa i sei imputati per l'attentato, lo ascolterà il 2 maggio. Decisione presa con qualche polemica; il pubblico ministero ha fatto mettere a verbale che il nuovo teste aveva già avuto un colloquio con un avvocato della difesa, Battello, «privo di specifica autorizzazione». Battello ha replicato: «Il Brass mi ha soltanto detto di aver già parlato della vicenda con il sostituto procuratore. Il direttore delle carceri aveva autorizzato il colloquio». La parte civile (avv. Morgera) non ha fatto opposizione. Dopo la ritrattazione di Gianni Brandolin, in prigione a Gorizia, l'altro teste-detenuto è Walter Di Biaggio, sul quale si regge per ora tutta l'accusa (il processo è indiziario). Del Di Biaggio hanno parlato oggi i carabinieri che l'accompagnarono in auto dalle carceri alla stazione trenta giorni dopo l'attentato. «Voi siete fuori e non sapete nulla — disse allora il giovane — io sono dentro e so parecchie cose». Gl'inquirenti hanno confermato che Di Biaggio voleva la garanzia scritta di tornare in libertà per parlare. L'appuntato Giacomello gli disse: «Se sai qualcosa prendi la taglia di trenta milioni». Di Biaggio rispose: «Vale piti la libertà dei soldi». Assenti i tenenti colonnello dei carabinieri Zilli e Colombini, ha deposto Felice Ferrari, ex-comandante del gruppo di Gorizia, ora a Bari. L'ufficiale ha confermato che subito dopo la strage il colonnello Mingarelli assunse le indagini: «Io mi occupai delle vittime e dei loro familiari. Ferrari si fece anche consegnare dal Distretto prima del 16 giugno i dati sul servizio militare degli imputati Budicin e Larocca: quindi i sospetti si puntarono sui due quasi subito dopo l'attentato». Pedroni (difesa): «Gorizia ha oltre 40 mila abitanti, perché si chiesero i precedenti soltanto di quei due?». Ferrari: «Non ricordo. Le indagini venivano fatte in tutte le direzioni. Io non ho mai trasmesso nomi di presunti responsabili alla magistratura». Sui metodi per accertare la personalità degli imputati, ha parlato il maresciallo dell'Arma Giuseppe Napoli. Difesa: «Chi li informò che l'imputato Badin sarebbe un esperto di esplosivi?». Napoli: «Lo stesso Badin mi fece una confidenza». Badin: «No, forse dissi che ero esperto di elettrotecnica». Napoli: «Non lo seppe da altre fonti. Doveva essere esperto di esplosivi perché aveva fatto le scuole di elettrotecnica; forse riferii il fatto al colonnello Mingarelli». Difesa: «Ma lei ha fatto accertamenti?». Napoli: «Io no. Gli altri non so. Badin era giornalista e faceva con me ipotesi sull'attentato: io esclusi quella politica perché non erano stati lasciati biglietti, volantini, come avviene sempre in questi casi». Difesa: «Ma certo, l'esempio migliore è piazza Fontana». Di Badin ha anche parlato il brigadiere Osvaldo Bossi: «Poco dopo l'attentato, il giovane, aiutante giornalista, continuava a chiedermi notizie. Discutemmo come poteva essere stata preparata la trappola esplosiva. Mi sembra che Badin abbia fatto anche uno schizzo, spiegando che era semplice: un congegno a strappo con un filo collegato alla batteria dell'auto. Mi disse che da ragazzo costruiva razzi». Quindi, l'imputato Badin, un giovane intelligente, di discreta cultura (frequentava l'istituto superiore), dieci giorni dopo l'attentato avrebbe rivelato ai carabinieri come egli stesso aveva preparato l'auto-bomba. A questa tesi illogica s'è opposto il difensore Battello, che ha chiesto di interrogare tre amici d'infanzia dell'imputato per dhiarire come egli non si fosse mai occupato di esplosivi. Il pubblico ministero si è opposto; la parte civile s'è detta favorevole; la corte decìderà. Nessuno degli inquirenti interrogati stamane ha saputo chi avesse rivelato loro che Gianni Mezzorana fosse un esperto di auto; secondo l'accusa, Badin era il tecnico degli esplosivi e Mezzorana delle auto nella preparazione dell'attentato; Resen avrebbe fornito l'esplosivo; Larocca era «un violento»; Budicin non si sa che parte abbia potuto svolgere e forse per questo, come egli ha rivelato, durante gl'interrogatori gli dicevano: «Tu non c'eri, tu ne sei fuori, puoi cavartela, basta che parli»; anche il ruolo del Mezzorana e della Scopazzi non è stato finora accertato; per tutti il movente dell'attentato era la vendetta contro i carabinieri per una serie di presunti furti e di multe. Il brigadiere Bossi ha poi precisato che Giuseppe Perieli, che è di Savogna l'Isonzo, e Cesare Grassi, di Gorizia, videro a Peteano, la sera del 26 giugno, verso le 21,3023, (quindi subito dopo il fur¬ to), la «500» chiara dell'attentato. L'accusa sostiene invece che l'utilitaria sarebbe stata tenuta per due giorni in una baracca dei Mezzorana. Un quadro dell'ambiente, in cui sono maturate le voci contro gli imputati, è stato offerto da Stefania Carletti, titolare di un'osteria, e dall'amica Nerina Princi, sessantenni. La sera dell'arresto di Maria Mezzorana, Gaetano Mrakich, 66 anni, avrebbe detto nel locale: «Se Maria parla come le ho detto, verrà subito fuori; sono disposto a pagare due milioni» e avrebbe buttato sul tavolo uri pacco di banconote. Le testi hanno detto che Mrakich era l'amante della Mezzorana, le regalava i mobili, le pagava l'affitto, la portava in giro con l'auto, e sosteneva di potersi procurare esplosivo quanto voleva. Carletti: «Mrakich parlava e non era ubriaco». Princi: «Mi sembrò allegro, scroccava tra i tavoli bicchieri di vino». Difesa: «Che ore erano?». Princi: «Le 23, perché si giocava a carte: non soldi, ma bicchieri di vino». Mezzorana: «Sono discorsi da bettola». Gaetano Mrakich ha però negato in aula di aver parlato di Peteano con la Mezzorana e di aver mostrato i soldi. Con l'imputata aveva «rotto» due mesi prima dell'arresto perché non gli restituiva 500 mila lire e perché «andava con altri uomini». Domani dovrebbe deporre di nuovo il capitano dei carabinieri Chirico. Piero Cerati