Riscoperta di Rayper pittore della natura di Marziano Bernardi

Riscoperta di Rayper pittore della natura La grande mostra a Genova Riscoperta di Rayper pittore della natura (Dal nostro inviato speciale) Genova, 22 aprile. Benché Telemaco Signorini lo dichiarasse, ai suoi tempi, «quasi il fondatore di una nuova scuola di paesaggio» dandogli — con informazione non molto esatta — un posto preminente nel cenacolo pittorico piemontese chiamato «Scuola di Rivara» e ricordando i suoi contatti intorno al 1864 con gli artisti del famoso «Caffè Michelangiolo» di Firenze, Ernesto Rayper, nato a Genova nel 1840, morto prematuramente nel 1873 a Gameragna presso Savona d'un male atroce, un cancro alla lingua, restò fino a questi ultimi anni un nome registrato con rispetto dalla miglior storiografia dell'Ottocento italiano, più che una precisa conoscenza pittorica da parte di un pubblico vasto. Tant'è vero che quando nel 1942 allestimmo nel salone de «La Stampa», allora in via Roma, la mostra della «Scuola di Rivara», stentammo a reperire qualche sua opera nelle collezioni private piemontesi. Perciò la sua magnifica riesumazione promossa dall'Ente Manifestazioni Genovesi con la grande mostra allestita da Gianfranco Bruno radunando oltre cento dipinti ad olio ed altrettanti disegni a penna e a matita, fusains, acquerelli, fotografie e documenti vari, è un avvenimento che interessa, oltre quella genovese, tutta la cultura artistica italiana. Presentata nelle sale dell'Accademia Ligustica in piazza De Ferrari, la mostra è corredata da un eccellente catalogo, curato dal Bruno, che riproduce tutte le opere esposte. La visita s'inizia con un folto gruppo di disegni: giustamente, perché è soprattutto nel disegno che Rayper diede la piena misura della sua sensibilità, delle sue straordinarie disponibilità poetiche, della sua evoluzione stilistica tutta nutrita di successive esperienze ricercate ed attuate con vivezza culturale, insomma di ciò che il Bruno dice molto bene esser stato «un lento accrescersi della densità dell'immagine, un progressivo affinarsi delle qualità del tono, sino al superamento del naturalismo di partenza in una sorta di memoria lirica della natura». Se talvolta in lui il dipinto ci delude per qualche incongruenza o insufficienza coloristica, sempre il suo bianco e nero (la matita e il carboncino come l'acquaforte) giunge al più alto grado di un'espressività patetica, di un sentimento crepuscolare attraverso un'insuperabile finezza del rapporto luce-ombra, terra e cielo, oggetto e spazio, e mediante l'infallibilità del segno delicatissimo, ora di macchia, ora di contorno. Quella identificazione dell'arte con la natura, quel coincidere totale della coscienza estetica con la realtà visibile del mondo, che fu la gloria della rappresentazione artistica nell'Ottocento, trovò nel Rayper la più completa comprensione. Le tappe della sua formazione vanno dall'insegnamento del Luxoro a Genova a quello, circa il 1861, del Calarne a Ginevra; dai contatti coi Macchiaiuoli toscani a quelli coi pittori piemontesi che si riunivano nel Canavese intorno a Carlo Pittara; dalle chiarezze atmosferiche della «Scuola grigia» ligure alle violenze cromatiche (tali allora apparivano ai benpensanti) della «Scuola di Rivara». Gli scambi di idee ed i reciproci esempi durante il lavoro «ere plein-air», i confronti nelle esposizioni erano continui e proficui. Il Bruno ritiene molto importante la frequentazione dello studio del Calarne che procurò a Rayper — egli dice — un'apertura verso la pittura francese, dal Corot ai paesisti di Barbizon, e una mediazione per la conoscenza del paesaggio olandese. Riteniamo però che per il giovane sia stata una fortuna sottrarsi al «calamismo», ironicamente chiamato in quel tempo «calamite», come avvenne del resto a Vittorio Avondo, anche lui negli stessi anni alla scuola del maestro svizzero ma tosto accostatosi ad Antonio Fontanesi che, com'è noto, dimorava a Ginevra. Il Bruno ha esposto qui un mirabile quadretto d'intonazione bionda, fontanesiano al massimo, coi titolo Stagni a Creys. Sono luoghi celebri nel lavoro del Fontanesi. Il Rayper ebbe vera e propria dimestichezza col grande pittore? Il fatto ci tornerebbe nuovo, e il Calderini, biografo attentissimo del suo maestro, lo esclude. Neppure quando il genovese nel '70 dipingeva a Volpiano, presso Torino, altro luogo di lavoro del Fontanesi nel 1869, sono documentati loro personali rapporti. E tuttavia — a parte la rapida assimilazione della poetica della Macchia (il vasto quadro II Gombo, del 1864, ha la solennità d'impianto del più austero Fattori) — i fratelli spirituali del Rayper sono Fontanesi e Avondo; il Notturno, qui esposto, non stonerebbe visto nella serie dei dipinti fontanesiani dell'uitimo periodo, tipo Tramonto sulla palude; e molti disegni rayperiani (autentica- tori e collezionisti, attenti! potrebbero recar le firme degli altri due maestri. Ma v'è di più. Rayper non fu a Parigi; gli bastò di riflesso Ginevra? Assimilò d'istinto ciò ch'era nell'aria, tanto da avvicinarsi sorprendentemente a Courbet nel potentissimo quadro In cerca di legna e da intuire la rivoluzione degli Impressionisti in almeno una dozzina di studi? Nella cerchia di Rivara, cioè nel suo momento più felice (e Giuseppe Giacosa notò: «Per noi c'è tutta una gaia leggenda rurale di impressione e di memorie in queste tre parole: Ernesto Rayper e Rivara») egli guardò tanto al Pittara quanto al Bertea, ma il suo orizzonte spaziò ben oltre i limiti del così detto «provincialismo» dell'Ottocento pittorico italiano; e a quanti ancora insistono su questa tesi vorremmo dire che in certi esiti Rayper non è da meno, per intensità lirica, del suo contemporaneo francese Sisley. A qual traguardo sarebbe giunto se fosse vissuto a lungo come un Monet? Morì a 33 anni, conscio della fine crudele; e di un'età in cui Fontanesi non era ancora uscito dalla sua crisalide. Marziano Bernardi