Le mogli degli emigrati di Lietta Tornabuoni

Le mogli degli emigrati DIVORZIO E ANTIDIVORZIO NEL MEZZOGIORNO Le mogli degli emigrati I mariti all'estero, sono logorate dalla solitudine e dalla fatica: "Qui a noi ci divorzia la miseria" (Dal nostro inviato speciale) S. Giovanni in Fiore, aprile. « Io non sono contenta », dice Maria Audia. E' il suo modo, scontroso e pudico, per dire che è infelice. « Da tre anni mio marito non c'è. Qua non si trova lavoro, non si può vivere: è andato nella Svizzera tedesca, fa il muratore, manda su per giù centomila lire al mese. Io sto qua, con il suocero vecchio e malato da guardare, con i figli da mandare a scuola: vanno così e così, sono abbastanza cattivi tutti e due, sentono che il padre non c'è, del padre hanno un'altra paura. Certe volte non so come prenderli. Sono da sola a fare, a disfare, a decidere, a provvedere. Certe volte non mi vorrei svegliare la mattina. Lui sta là. Io sto qua. A noi ci divorzia la miseria ». Nella casa, costruita con la fatica di tre generazioni, il gran televisore e la cucina moderna fronteggiano la cappa del camino dove si consuma l'ultimo fuoco della primavera fredda. Fuori, sui muri del paese, la pioggia scolorisce la scritta « Il Sud non deve morire», infradicia il manifesto di un collant, « Non permettere a un brutto segno di sciupare un bel pancino ». Maria Audia è bruna, piccola, golf nero, pantaloni neri, neri occhi accesi. « L'abitudine la fai per forza, per forza. Ma finisco 33 anni a giugno, è una cosa umana? E non si sa quando finisce. Se mettevano il lavoro in Italia, non dovevamo stare divisi ». Non c'è lavoro Ma lavoro non ce n'è. Dice l'onorevole Gino Picciotto, deputato comunista della zona: « Ci sono piccoli nuclei di manovali nell'edilizia, pendolari che scendono a lavorare a Cosenza, nuclei di forestali impiegati nei cantieri di rimboschimento; l'artigianato sta sparendo, i contadini sono sempre meno, il settore terziario si gonfia soltanto per dividere la miseria. Il reddito medio qui è inferiore a quello calabrese, che è di 600.000 lire l'anno. Il reddito medio nazionale è di 1.280.000 lire l'anno. Si fa presto a capire come stanno le cose ». San Giovanni in Fiore ha 16.844 abitanti. Circa diecimila sono gli emigrati. I nuclei familiari sono cinquemila; più della metà dei capifamiglia sono all'estero. Lavorano in Svizzera, Francia, Belgio, Germania. Tornano tre volte l'anno: a Natale, a Pasqua e ad agosto. Quando tornano, le mogli stagionali sono contente di ritrovarli, anche se non riescono a cancellare i rancori segreti della solitudine, il peso degli affanni famigliari non condivisi, dei troppi discorsi non fatti. I figli piccoli li riconoscono male, li accolgono bene se portano regali. Per i ragazzi sono padri saltuari, ospiti provvisori che introducono nelle abitudini quotidiane mutamenti inopinati, divieti incompresi, severità precarie. Da qualche anno, per non separarsi e per guadagnare di più, molti mariti e mogli emigrano insieme, lasciando i bambini con i nonni. « Così salvano l'unità della coppia, ma non della famiglia », deplora il parroco della chiesa madre, don Peppino Andrieri. « L'assenza del solo pa- j dre è comunque un disastro: in certe famiglie con dodici i figli, di papà ce ne vorreb- | bero due ». In più della metà delle famiglie, non ce n'è \ nessuno. Le donne governa- I no tutto: figli, vecchi, casa, \ soldi, malattie, giorni, economie, pratiche burocratiche, dolore. Altro che « coniuge più debole », come le chiama il professor Lombardi. Forti di un coraggio impaziente, non rassegnato ma tenace, affrontano la loro vita aspra con l'eroismo coatto della povertà, con la durezza involontaria delle donne poco accarezzate. Sono logorate dalla solitudine e dalla fatica, ma non dalla paura. Se negli uffici romani dell'antidivorzismo si conta senz'altro sul voto delle mogli degli emigrati, qui far leva elettorale sul timore dell'abbandono parrebbe insultante quanto inutile. Qui, come in tanti altri paesi del Mezzogiorno, le mogli degli emigrati vivono ogni giorno quella « dissoluzione della famiglia » che gli antidivorzisti profetizzano quale futura conseguenza del divorzio; qui il divorzio di fatto viene loro imposto dall'ingiustizia sociale e dal malgoverno del Sud, non da quel « coniuge colpevole » che, nella volgarità propagandistica, risulterebbe sempre pronto a « piantare la moglie per una ventenne ». Qui a nessuno verrebbe in mente, per ottenere il « sì », di ricorrere alle argomentazioni consuete oppure, come nei comizi romani di Fanfani, alle cosce delle majorettes e alle canzonette, « Io che amo solo te non ti lascerò per seguire nuove avventure ». Qui le mogli degli emigrati non sembrano allarmate dalla legge Fortuna: « Se uno se ne vuole scappare, gli serve la legge? »; « Se uno non ha divorziato in tre anni che ci sta la legge, perché dovrebbe divorziare adesso? »; « Ogni volta che tornano, i mariti dicono "la prossima volta mi ritiro a casa": è la miseria che poi allunga il tempo... ». La fiducia delle donne nei loro uomini, dice l'onorevole Picciotto, nasce dall'esperienza: « Emigrano per tornare, per mantenere e far studiare i figli, per mettere da parte i soldi necessari a costruirsi qui la casa: per amore della famiglia affrontano sacrifici immensi ». Conferma il sacerdote don Carlo Arnone: «A sentirla alla televisione, pare che certa gente consideri la famiglia un filo d'erba, un foglio di carta, una cosa debole che subito si spezza e presto si straccia. Da noi nel Sud, in Calabria, non è così. Qui la legge sul divorzio non ha cambiato in niente il modo di vivere o di considerare la famiglia. Umanamente parlando, ha legalizzato alcune situazioni. Quei pochi casi di abbandono sono sempre esistiti e sempre esisteranno, il divorzio non li ha influenzati ». I divorzi pronunciati in Calabria, dove su una popolazione di 1.850.000 persone gli emigrati arrivano a sette - ottocentomila, sono duemila. Soltanto in 173 cause il coniuge aveva assunto la cittadinanza straniera. Mariti che abbandonano la famiglia ce ne sono pochi, ma ce ne sono. L'abbandono viene accettato a volte con dignità stanca: «E' andato a lavorare fuori, nel 1967 ha smesso di scrivere », racconta Antonietta Peluso. « E' sparito, dicono che partì con un circo. Ho tirato avanti quattro figli lavorando come un somaro, prima ai forni, poi da domestica. Da sette anni non ne so più niente: vorrei fare la dichiarazione di morte presunta, per avere un poco di pensione. Ma se tornasse non ci vivrei più insieme: quello no, mai ». Un'altra famiglia Altre volte, dall'abbandono nasce una seconda famiglia: il marito di Rita Mascaro, emigrato in Argentina lasciando la moglie ventunenne con un bambino, scomparve senza più dare segno di vita: da otto anni lei vive con Salvatore Veltri, si vogliono bene, hanno due bambine che portano però il cognome del marito scomparso; il divorzio, che stanno aspettando, permetterà alle bambine di chiamarsi come il padre, permetterà alla coppia di veder riconosciuta la loro unione per quello che è, un matrimonio. « Sempre che la legge Fortuna non venga abrogata: altrimenti le cause in corso e le speranze verrebbero a cadere, sarebbero perduti i soldi che tanti poveracci hanno speso con tremendo sacrificio », chiarisce il vicepretore avvocato Vincenzo Morrone. Le cause di divorzio in corso, a San Giovanni in Fiore sono 9; le sentenze pronunciate in tre anni sono 24, altre 20 sono state pronunciate all'estero. L'avvocato Morrone ha curato la maggior parte dei divorzi: « Sono pochi e nel 60 per cento dei casi riguardavano gente ultrasessantenne, separazioni annose, inveterate situazioni di convivenza con altre persone. Sempre, i divorzi venivano richiesti per legittimare i figli. Le rotture erano nate dai drammi dell'emigrazione oppure dall'abitudine di sposarsi giovanissimi: ancora oggi ci sono mogli di 14, 15, persino 12 anni, mariti di 17, 18 anni. Le separazioni non sono aumentate dopo la legge Fortuna: nell'ultimo anno sono soltanto tre. Ho avuto per clienti operai, pastori, manovali, lavoratori; benestanti ne ho avuti soltanto due, un geometra e un autista ». Nelle case del paese, dove dalle travi del soffitto pendono salsicce bianche di grasso e grappoli di frutti esotici di plastica, dove una chiassosa sedia a sdraio di tela fiorata troneggia come il miglior pezzo d'arredamento e il freddo ancora fa piangere i neonati, dove la speranza è una falce e martello oppure un santino e il capofamiglia è una fotografia, l'umanità vera smen¬ tisce senza enfasi vicende e personaggi immaginati dall'inventiva fotoromantica dei propagandisti. Risuonano, nelle espressiosioni del dialetto (« Sposandola l'ho trovata buona », «Per debolezza mi trovai con mia cognata »), storie intricate che mescolano passione, pregiudizio, innocenza, violenze della miseria, capricci della guerra. Lui la sposò dall'Argentina per procura, senza averla mai vista, « con conoscenza di lettera e di foto »; subito si pentì e sparì senza lasciare indirizzo; con il divorzio, lei ha potuto, per la prima volta, sposarsi davvero. Sposati a 16 anni lei e 17 lui, si separarono in tre mesi per la gelosia prepotente della madre di lui; anni dopo lei si mise con un altro, hanno cinque figli e finalmente, con il divorzio, son diventati moglie e marito. Tornando dalla guerra, lui trovò che la moglie aveva avuto un figlio da un altro; la lasciò, andò a vivere con una compaesana, ne ebbe tre figli; adesso, con il divorzio, invece di una famiglia distrutta esistono due famiglie serene. I figli legittimati grazie al divorzio sono cento, i divorzi chiesti per loro hanno risolto anche concrete questioni economiche: padri di tre o quattro figli naturali hanno smesso di essere considerati scapoli e di venir quindi licenziati per primi ad ogni riduzione di personale, hanno potuto ottenere per i figli gli assegni famigliari e l'assistenza mutualistica. « A causa di soldi », altri non hanno divorziato: « Con mio marito stiamo insieme senza sposare dal 1947 », spiega Anna Orlando. « Volevo mettermi in regola, fare divorzio dal mio marito primo, che pure lui sta con un'altra dal '52, ma l'avvocato voleva 300.000 lire: e chi ce le ha? ». Nel paese delle mogli sole, la realtà dell'esperienza sembra togliere alla campagna elettorale ogni drammaticità. Il parroco don Andrieri definisce il centro-sinistra « centrodiavolo » e vorrebbe i partiti « tutti in galera, dal primo all'ultimo », ma garantisce: « Io lo spauracchio del peccato non lo nomino, l'arma spirituale non l'impugno ». Gli antidivorzisti non sperano nello spavento delle mogli degli emigrati ma nel sentimento religioso, nello spirito conservatore degli anziani, nel patriottismo di partito democristiano. I divorzisti contano sull'influenza che il contatto diretto o indiretto con gli altri Paesi europei ha esercitato nel costume; sull'importanza nuova assunta nella famiglia dai giovani, quasi tutti favorevoli al divorzio; sulla forza dei partiti di sinistra, che hanno antiche tradizioni in tutta la Sila e il 63 per cento dei suffragi ih paese. Ma gli uni e gli altri paiono preoccuparsi soprattutto di insegnare a votare. Imparare è difficile specialmente per gli analfabeti, che sono ancora molti e questa volta ancora più ingiustamente svantaggiati: ad aiutarli non c'è neppure « la figurina », il simbolo. Così, insieme ai « vota sì » e « vota no », qui suonano spesso inviti diversi: « Taglia l'asticella », oppure: «Taglia lo zero». Lietta Tornabuoni