Il candidato tutto d'oro di Alberto Cavallari

Il candidato tutto d'oro LA CORSA DI GISCARD D'ESTAING ALL'ELISEO Il candidato tutto d'oro Erede d'una fortuna immensa, dotato d'una straordinaria intelligenza, vuole risuscitare la grande destra (Dal nostro corrispondente) Parigi, 20 aprile. Valéry Giscard d'Estaing è staio l'ultimo a lanciarsi nella gara presidenziale. E' stato anche l'ultimo, ieri sera, ad esporre il suo programma da Strasburgo. Probabilmente ha voluto sottolineare ancora una volta di essere, nelle elezioni francesi, il « vero signore ». Distaccato, lento, eccentrico, orgoglioso, ha sdegnato le conferenze stampa parigine per « partire » dalla città francese più tedesca, più poetica, più « europeista ». Ma non meraviglia che l'abbia fatto. Meraviglierebbe se avesse fatto il contrario. I suoi avversari diretti, Mitterrand e Chaban-Delmas, sono lottatori a caldo, precipitosi, passionali, in un certo senso « plebei ». L'hanno lavorato sui fianchi senza aspettare il gong. Giscard, « vero signore ». è sceso in campo molte ore dopo l'apertura ufficiale della campagna. Non per modestia o per discrezione, naturalmente. Ma per imporre il suo « stile » e per giocare al gioco degli « ultimi saranno ì primi ». Prima caduta? Se giungerà all'Eliseo non è facile dire, nonostante i sondaggi lo favoriscano rispetto a Chaban. Se non vi giungerà, sarà comunque la sola volta nella vita che non gli riesce d'essere il «primo». Appartiene infatti alla razza dei primi della classe cui la vita riserva sempre la poltronissima, non lo strapuntino. Lui stesso ammette che, persino quando la sua famiglia cercò le proprie origini nelle oscurità pericolose dell'albero genealogico, il destino gli sorrise. Venne infatti scoperto che una bisnonna materna, Adelaide Montalvet, moglie di un ministro di Napoleone, non era esattamente figlia di suo padre, il famoso amministratore generale de Saint-Germain. Ma la cosa venne bilanciata subito con la dimostrazione che l'autore delle corna era stato Luigi XV. Persino le trisnonne allegre diventano, nella vita di certi uomini, portatrici di pedigree piuttosto che d'infamia. Il personaggio di Giscard è troppo noto per raccontarlo ancora una volta. Metà esce dalle pagine di SaintSimon, metà dal rotocalco per dattilografe, metà dalle riviste di lusso per marchese kennediane. Il suo passato remoto, iniziato nella cipria della corte di Luigi XV, conta antenati ministri dell'Impero, confidenti di Luigi Filippo, generali ghigliottinati dalla Rivoluzione, senatori inamovibili della Terza Repubblica. Il suo passato prossimo enumera primati, fortuna, alta finanza. Da suo padre presidente della Société Financière, riceve il doppio nome, un castello, un'infanzia prustiana dentro parchi immensi, «all'ombra delle fanciulle in fiore », raffinati studi a Parigi e a Harvard. Da suo nonno materno eredita addirittura un collegio elettorale, a Puy-deDòme. Da sua moglie, Anne Aymone Brantes (chiamata « Anemone ») riceve in dono — allegato al fiore — un robusto pacchetto azionario degli sii Schneider, siderurgia. Dalla sua intelligenza eccezionale ha infine in dono una carriera preco¬ ce e straordinaria. E' primo | della classe al Polytechnique, i primissimo all'Ena, l'alta ! scuola dì studi amministrativi, capo gabinetto alle Finanze di Paure a 29 anni, deputato a 30, ministro delle Finanze a 36. Persino il caso gli regala qualcosa. Giscard nasce a Coblenza, Germania. Ma castello e collegio elettorale ereditati sono in Alvernia, patria di Pompidou. Perché certe vite hanno perfino i castelli al posto giusto. Jacques Duhamel l'ha battezzato « Porphyrogénète », come i figli degli imperatori d'Oriente « tutti d'oro ». Alto, magro, dinoccolato, elegantissimo, nobile, celebre « testa d'uovo », fotografato al pianoforte, al golf, su scintillanti macchine sportive o mentre gioca al football dopo una lezione universitaria, Giscard corre a quarantott'anni verso l'Eliseo apparentemente senza difficoltà. Nella sua esistenza ci sono solo cose belle, ricche, fortunate, raffinate. Nella sua testa ci sono le idee di un economista coltissimo. Nel suo ufficio lavora tra gli arazzi di Colbert. Nella sua villa, accanto alla moglie Anemone, anche i figli sono fiori, Valeriana e Giacinto. Nel suo passato ci sono solo successi. Gli altri hanno vite discusse, tormentate, l'ombra di qualche scandalo. Ma gli scandali della V Repubblica non sfiorano Giscard: che « nobilmente » li ha denunciati anche se ha continuato a conviverci. La sua immagine è perfetta per i manifesti elettorali a colori, giovane e kennediana. Ma il kennedismo di Giscard si ferma ai manifesti e alle fotografie. Il suo stile politico è «stile restaurazione», completamente estraneo alle nuove frontiere. Nella battaglia presidenziale, tra Mitterrand che promette di «changer le vie», e Chaban-Delmas che profetizza la «nuova società» gollista, egli è il solo che non promette grandi orizzonti sociali. Rappresenta il campione di una « nuova destra liberale » che vuole stabilizzare, assestare, restaurare, e « riprendere dal passato i fili che sono stati interrotti dagli accidenti della storia ». La sua tesi è che negli Anni Trenta la grande destra storica, che ha sempre governato la Francia, ha perso il controllo politico col Fronte Popolare e che il gollismo non ha compiuto alcuna vera restaurazione, restando « un accidente della storia ». Non c'è nulla del democratico americano nella sua figura profondamente francese, collocabile fra Poincaré, Flandin e Paul Reynaud. Ha sempre detto e ripetuto una frase diventata famosa: «La Francia è sempre stata governata dal centro-destra. Io mi colloco al centro-destra e un giorno la governerò ». iVon gli piacciono le utopie (socialiste), non ama i bonapartismi (gollisti). E' stato filogollista, creato ministro alle Finanze da De Gaulle, ma solo per vedere se il gollismo fosse capace d'installarsi nel letto della destra tradizionale. Vedendo che non succedeva, tutta la sua vita politica l'ha giocata sopra il disegno di raccogliere intorno a sé i ceti moderati del centro e della destra che il gollismo perdeva strada facendo, per poi federar¬ li (morto De Gaulle) con tutte le altre correnti conservatrici moderne, liberali, patriottiche, cattoliche, tecnocratiche, europeiste. Non ha mai dubitato che il giorno sarebbe venuto, tentando questa federazione, di dare la scalata all'Eliseo: al quale, poco modestamente, s'è detto più volte predestinato La sua ambizione è stata infatti pari alla sua fortuna, e Giscard non ha mai nascosto di puntare a una cosa sola: la presidenza. Nella realtà il suo personaggio non è quello reclamizzato in questi giorni, sorridente, sportivo, estroverso. Quando Pinay, suo ministro, si dimise, e Giscard restò immobile alla scrivania di sottosegretario. De Gaulle chiese a Baumgartner « chi fosse quel giovanotto tanto amante del potere ». Baumgartner diede una celebre risposta: « E' un uomo alto, con la fronte larga, le spalle strette, coi denti lunghi », e lo mise a fuoco per sempre. Visto da vicino Giscard rappresenta infatti bene la figura del « restauratore dai denti lunghi ». Pallido, le mani aristocratiche, volutamente maestoso, la frase arrotondata e saccente, il carattere chiaramente austero, del gran borghese, è il classico « tesoriere » della vecchia Francia conservatrice. Si capisce che certi suoi gesti seno studiati per essere « piacevole », e che i pullo¬ ver sportivi, i suoi atteggiamenti kennediani, sono solo correzioni portate al suo «stile restaurazione» in nome dell'ambizione e della popolarità. Non bisogna dimenticare che il destino gli ha regalato, oltre al resto, una lucida capacità di amministrarsi e un grosso istinto pubblicitario. La lunga scalata La sua scalata alla presidenza è un esempio di volontà, di calcolo, di perseveranza senza precedenti. Portato alle stelle da De Gaulle, cominciò a prendere le distanze coi famosi «sì, ma» che nel '66 gli consentirono di perdere momentaneamente il ministero, per farselo ridare a vita da Pompidou. Issato al potere dal partito degli indipendenti, non esitò a frantumarlo per essere il leader dei «giscardiani» che poteva manovrare meglio nel suo gioco di appoggio a un regime dal quale prendeva intanto le distanze. Richiamato da Pompidou — che sostenne alle presidenziali scorse — gli regalò la forza del suo « gollismo condizionale » per sostenere il suo «gollismo revisionista»: convincendolo che il suo disegno politico era l'avvenire del post-gollismo. Gli ultimi anni di Pompidou sono stati infatti una continua rettifica del gollismo popolare, nella ricerca giscardiana del « blocco sto- rico » di possidenti, tecnici, industriali, classi medie, che può consentire al centro-destra la restaurazione. L'intenzione di Pompidou, del resto, era di nominarlo, in febbraio, primo ministro. Non lo potè fare perché i gollisti puri minacciarono il putiferio. Comunque Giscard ricevette da quel tentativo il crisma di « delfino del presidente » che adesso adopera contro Chaban-Delmas. Giscardiani e pompidoliani, a poco a poco, si sono infatti confusi nella comune volontà di « restaurare » il centro-destra tradizionale dopo « l'accidente storico » De Gaulle. Naturalmente il programma elettorale di Giscard, enunciato a Strasburgo, non parla chiaramente di restaurazione. Mette in primo piano, anzi, una certa « socialità », che prima non aveva e che all'ultimo momento Giscard s'è fatto prestare dal centrista Lecanuet, che lo appoggia per dargli la desiderata maggioranza di centro-destra. Sono comunque assenti le promesse messianiche di una « nuova società », che abbondano nella « destra sociale » di ChabanDelmas e nel socialismo di Mitterrand. I temi fondamentali sono la crescita economica, una politica estera meno gollista e più atlantica, una visione neoliberale della Quinta Repubblica che Giscard vede presidenziale in senso americano e non in senso bonapartista, corredata persino di uno statuto dell'opposizione. Ma le parole che più ricorrono sono «assestamento», «stabilizzazione», «pausa costruttiva », « pausa sociale ». Non scarseggia nemmeno la polemica moralistica contro la decadenza dei costumi demo-gollisti. Ma il tono è sempre quello di Leon Daudet che parla al « paese reale » di Barrès (che poi adesso è la maggioranza silenziosa). L'obbiettivo è un « liberalismo nuovo » capace di ritrovare gli equilibri politici del passato. L'Europa è certo la sua grande bandiera. Ma l'ultima volta che lo vidi, alla parola « Europa » Giscard d'Estaing fece vagare il suo sguardo nobile nel vuoto, lo fermò sopra un arazzo di Colbert e disse che bisogna amare molto questo ideale, tenerlo vivo, ma che « adesso è bene per l'Europa una pausa ». Infatti, i suoi tecnocrati, ì professionisti liberali che lo seguono, sono europeisti. Ma i possidenti della provincia e del « paese reale » — che lo votano e lo fanno votare — sono soprattutto francesi. Per Giscard, una « restaurazione » francese possibile vale un'Europa che non c'è. II suo vero problema non è infatti l'Europa. E' il problema dell'identità della destra francese che con queste elezioni deve decidere dove riconoscersi. Può riconoscersi in lui, capo della restaurazione neoliberale, o in Chaban, capo del continuismo social-gollista. E per la prima volta nella sua vita il successo non è completamente garantito. Anzi, se verrà, sarà faticoso. Perché, tra l'altro, appartiene alla razza degli uomini che destano l'ammirazione ma non la popolarità. Chaban, più « plebeo », non è disposto a regalargli nulla. Alberto Cavallari Parigi. Giscard a Palais Matignon (Foto Grazia Neri)