Strage a Peteano udienza «di fuoco» di Piero Cerati

Strage a Peteano udienza «di fuoco» Davanti alle assise di Trieste Strage a Peteano udienza «di fuoco» Il presidente ha imposto la testimonianza di un ufficiale dei carabinieri che non era prevista - Contestazioni della difesa - Un imputato: "Perché parlassi mi dettero un caffè e strane gocce" (Dal nostro inviato speciale) Trieste, 19 aprile. Con una decisione a sorpresa, il presidente del processo per la strage di Peteano, in corte d'assise a Trieste, dott. Corsi, ha interrogato oggi il capitano Antonino Chirico dei carabinieri, che agli ordini diretti del colonnello Dino Mingarelli coordinò le indagini sull'attentato. Chirico comandava il nucleo di Udine ma, per l'occasione, fu chiamato a Gorizia, come altri ufficiali e sottufficiali dell'Arma. La difesa ha protestato contro la decisione del presidente (non aveva potuto preparare le domande), ma tutto è stato inutile. « Oggi sono assenti tre testimoni — ha detto il dott. Corsi — e io ho la facoltà di ascoltare chi voglio ». Difesa: « Ma come, è già qui? Come faceva a sapere di dover essere interrogato se non era il suo turno? ». Presidente: « Il capitano può venire in assise quando vuole ». E Chirico, borsa con documenti, vestito in borghese (il colonnello Mingarelli aveva deposto invece in divisa), è stato interrogato. Le risposte dell'ufficiale non hanno però fatto passare in secondo piano la testimonianza di Gianni Brandolin, 23 anni, da Cormons, detenuto per oltraggio a Gorizia. Il giovane aveva inviato al sostituto procuratore Laudisio una lettera in cui affermava che Budicin, uno dei sei imputati, gli aveva fatto in prigione confidenze sulla strage di Peteano e gli aveva detto: «Speriamo che non trovino il luogo dove abbiamo l'esplosivo». Presidente: «Brandolin, conferma quanto ha scritto?». Brandolin: « Ho inventato tutto. Scrissi al sostituto procuratore per attirare la sua attenzione sul mio caso. Io sono stato interrogato due volte a Monfalcone senza l'avvocato difensore ». Presidente: « Rifletta, pensi alle gravi conseguenze per quanto dice ». Brandolin: « Ripeto: volevo un colloquio con il procuratore perché non avevo avuto l'assistenza dell'avvocato. Parlando di Peteano avrei attirato la sua attenzione ». Difesa: « Sembra che basti dire Peteano per avere delle benemerenze ». Pubblico ministero: « Queste sono parole per la platea ». Brandolin: « Sono stato in cella con Budicin per circa due mesi: non mi ha parlato di Peteano ». Depone anche Osvaldo Bossi, brigadiere dei carabinieri che annotò quante volte fu vista la « 500 » chiara sul luogo dell'attentato: due persone la videro fin dalla sera del 26 maggio '72, quando era stata appena rubata. Difesa: « Chi sono queste persone? ». Bossi: « Guarderò negli atti d'ufficio; non so se potrò risalire ai nomi. Non ricordo se la loro deposizione fu verbalizzata ». Il presidente congeda Bossi e chiama il capitano Chirico. La difesa protesta, ma il dottor Corsi oggi ha fretta: in apertura di udienza aveva dato incarico al cancelliere di cercare un difensore d'ufficio per l'imputato Larocca, in quanto l'avv. Pedroni tardava ad arrivare. « Telefoni all'Ordine — aveva detto — altrimenti la seduta è irregolare. Oppure chiami Masucci, o Filograna, o Ghezzi ». Poi per fortuna è giunto Pedroni, mentre l'avvocato Pascoli (di parte civile) esprimeva la solidarietà alla magistratura colpita nella figura del sostituto procuratore di Genova, Sossi. Antonino Chirico, capitano dei carabinieri, interrogò più volte il superteste Di Biaggio, che accusò dell'attentato il gruppo di Gorizia ora imputato. Il pubblico ministero non gli ha fatto domande. Chirico ha confermato che Di Biaggio pretendeva, per le sue « rivelazioni », la taglia di trenta milioni e la libertà provvisoria, ma egli non appoggiò le richieste. Difesa: « Conferma di avere usato un tono autoritario con Di Biaggio, almeno una volta? ». Chirico: « Nell'ultimo colloquio ebbi un tono risentito e distaccato per provocargli una reazione utile agli accertamenti della verità». Maniacco (difesa): «Quanti colloqui ebbe con l'imputato Budicin? ». Chirico: « Informali cinque o sei; formali, due. Budicin si presentò sempre spontaneamente, non fu mai obbligato a venire ». Pres.: « Ma lei lo invitava per telefono? ». Cririco: « Sì ». Maniacco: « Se Budicin non fosse venuto in caserma, che cosa gli sarebbe successo? ». Chirico: « Non mi sono mai posto il problema». Si è poi parlato dell'auto lasciata un giorno (« Una notte » ha precisato Chirico) in caserma da Budicin perché in panne: un meccanico avrebbe accertato che aveva un filo dell'accensione staccato. Chirico ha detto di non saper nulla su questo particolare. Budicin ha poi chiesto la parola: « Preciso che io non mi sono mai presentato spontaneamente e fui subito accusato per la strage. Mi telefonavano appuntati e marescialli; mi vennero a prendere in cinque al motel Agip. Mi sentivo perseguitato e portai mia madre in caserma affinché intercedesse per me con i carabinieri. Per queste persecuzioni fui licenziato. Chirico mi telefonò a Verona il 28 o il 29 giugno 1972 e mi disse che dovevo andare da lui con le buone o con le cattive. Esigeva che firmassi un verbale davanti al colonnello Mingarelli in cui confermassi ciò che volevano loro. Fui minacciato ». Pres.: «Eh no, non dica questo». Battello (difesa): «Lasciamolo parlare; ne ha diritto con la prospettiva dell'ergastolo ». Budicin: « Io ero socio di Gianni Mezzorana (un altro imputato, n.d.r.) e avevo firmato assegni falsi. I carabinieri lo sapevano. Chirico mi disse che avrebbe proceduto se io non avessi firmato il verbale ». Pascoli (parte civile): «Faceva il suo dovere ». Difesa: « Si, con le minacce ». Pascoli: « Perché di fronte alle presunte vessazioni dei carabinieri non si rivolse al colonnello Mingarelli o alla magistratura? ». Budicin: « Mi dicevano: tu sai, ma non c'eri; hai ancora tempo di salvarti. Io avevo la coscienza tranquilla, come potevo pensare allora che rischiavo l'ergastolo? ». Chirico: « Telefonai anche alla madre di Budicin, ebbimo rapporti cordiali. Il giovane fu licenziato per scarso rendimento ». Maniacco (difesa): «Fu assunto e licenziato in 15 giorni. Avete fatto subito precise indagini su questi fatti a Verona? ». Chirico: « Si ». Pedroni (difesa): «E sulla 1100 rossa vista sul luogo dello scoppio invece non avete fatto niente ». Si è poi parlato di una presunta, allarmante telefonata fatta da Chirico alla madre di Budicin. Il capitano ha detto di non ricordare. La corte deciderà se interrogare la donna. A questo punto l'imputata Maria Mezzorana si è rivolta all'ufficiale dei carabinieri. «Nel novembre '72 fui interrogata per otto ore. Chiesi subito l'avvocato, non mi fu concesso. Mi vennero offerte 200 mila lire perché parlassi; poi mi vennero dati due caffè e uno con delle gocce, quelle che mettete voi, lo sapete; avevo la luce negli occhi: ricordo che era verde. Io avevo lasciato a casa il cherosene aperto e avevo paura che scoppiasse tutto: mia figlia doveva tornare a casa da scuola ». Chirico: « Escludo l'offerta di soldi, le otto ore, la luce negli occhi: c'è il verbale degli interrogatori fatti alla Mezzorana, di lì si può dedurre la verità ». Mezzorana: « Io dico la verità, non sono come voi ». Pres.: « Silenzio, lei oltraggia il teste ». Battello (difesa): «Ha il diritto di fare le sue accuse, anche lei rischia l'ergastolo ». Mezzorana: « Mi offrirono 200 mila lire ». Morgera (parte civile): «Capitano, precisi la storia delle gocce ». Chirico: « Noi non abbiamo in dotazione gocce strane ». Mezzorana: « Mi avete chiesto persino se avevo mal di cuore per paura... Siete furbi voi ». Morgera: « Ma c'è da ridere ». Mezzorana si mette a piangere: « Da ridere, ma noi abbiamo dei figli a casa; perché siamo in carcere? Io debbo gridare che sono innocente ». La difesa ha poi continuato l'interrogatorio di Chirico per preparare un « dossier » di contraddizioni da mettere in luce durante l'arringa. Il presidente ha bloccato una sola domanda: « Quali erano i rapporti tra i carabinieri e questura durante le indagini per Peteano? ». Il p.m. è intervenuto: « Io dirigevo le indagini (era anche p.m. in istruttoria, n.d.r.); la questura fini la sua parte, quindi proseguirono i carabinieri ». Lunedì, dodicesima udienza. Piero Cerati