Cedolare "ingiusta" sulle obbligazioni di Francesco Forte

Cedolare "ingiusta" sulle obbligazioni Mentre l'inflazione aumenta Cedolare "ingiusta" sulle obbligazioni La stretta del credito comincia a farsi sentire, mentre l'inflazione si sviluppa. Una parte essenziale della manovra per la stabilizzazione finanziaria senza interruzione traumatica del processo produttivo (e la connessa disoccupazione) è costituita dalla attivazione di canali di finanziamento delle imprese diversi da quello creditizio: autofinanziamento, appello al mercato azionario con aumenti di capitale e nuove quotazioni in Borsa, emissione di obbligazioni. Intendo ora considerare quest'ultimo argomento: la emissione di obbligazioni, da parte delle imprese, soffermandomi sul regime fiscale che è ad essa riservato. La nuova legge tributaria stabilisce, a questo riguardo, un sistema di ritenute alla fonte differenziate. Le ritenute sono definitive, nel caso che il percettore degli interessi sia una persona fisica o un ente non tassato con l'imposta sulle società; invece sono solo di acconto, nel caso che il percettore sia un ente tassato con l'imposta sulle società. Ora la ritenuta è del 10% soltanto per le obbligazioni e titoli similari emessi da istituti di credito (o sezioni di aziende di credito) che esercitano il credito a medio e lungo termine, ma sale al 20% per le obbligazioni emesse dalle imprese pubbliche ed enti pubblici vari non esenti e addirittura al 30% per quelle emesse dalle imprese private. Per contro, per gli interessi maturati sui depositi presso aziende di credito la ritenuta è del 15%. Si tratta di un ventaglio di aliquote che, di per sé, è già assai opinabile: soprattutto oggi che si vorrebbero favorire i finanziamenti diretti delle imprese mediante reperimento di fondi sul mercato dei titoli. In particolare risalta la discriminazione contro le imprese private. E' ben vero che si può osservare che la trattenuta secca del 50% sugli interessi muove dal presupposto che chi li percepisce, cosi, evita un gravame di imposta personale sul reddito la quale, già per lo scaglione dai 9 ai dieci milioni di lire, è del 31%. Ma intanto si può replicare che vi sono risparmiatori che hanno un reddito inferiore a questo — e anche sensibilmente — i quali, per le cifre di risparmio di piccola entità che li riguardano (cifre che, nel totale, sono certo notevoli) sono fortemente interessati al mercato obbligazionario, più semplice e accessibile di quello azionario. Ora, per le azioni, la cedolare secca del 30% è opzionale: chi non la vuole, può farsi tassare sui dividendi in base alla aliquota d'imposta che riguarda il suo reddito (e che, se egli esercita questa opzione, è presumibilmente minore). Invece per le obbligazioni, questa ritenuta, per le persone fisiche, è definitiva e senza opzione: si deve sottostare sempre al 30%, anche se la propria aliquota sarebbe minore. E questa è una ingiustizia e una distorsione economica. Ma oggi, ritengo, bisogna anche aggiungere un argomento ancora più importante, che depone a favore di una decisa riduzione di queste aliquote. In verità chi riceve un reddito da interessi del 9% — poniamo — sulle obbligazioni da lui comperate, non riceve alcun reddito netto, poiché il tasso di svalutazione della moneta su base annua oggi supera tale 9%. Attualmente gli interessi in questione, per quanto in apparenza elevati, in sostanza non valgono neppure a compensare il deprezzamento del capitale. Si spera che possano, in seguito rivelarsi più redditizi, con l'attenuarsi della spirale dei prezzi. Ma rimane sempre vero che il fatto che si possano avere interessi circa dop- zqac«rvaqlScpi di quelli che una volta si ot- tenevano, non dipende dal fat- to che oggi i titoli a reddito fìsso rendono di più nella sostanza, ma dal fatto che essi si deprezzano. Una buona parte (o anche tutto) l'interesse percepito non è un vero reddito; è reddito solo ih apparenza. Nella sostanza è un compenso (neppure totale, ir. certi anni) per il deprezzamento del titolo dovuto al deprezzamento della moneta. Quindi la legge fiscale, tassando questi interessi con una aliquota del 30% fa una grossa ingiustizia, a danno del risparmiatore, perché essa tassa non già un reddito vero, ma quasi solo l'apparenza di un reddito: essa tassa là dove non vi è reddito, ma magari perdita o dove, nella migliore ipotesi, il reddito è un 2% o qualcosa di simile. Ecco dunque che una riduzione drastica di queste aliquote fiscali, per il periodo più acuto di inflazione, lungi dal corrispondere a una sorta di « agevolazione » a favore del risparmio, che prende questa via, consiste puramente in un atto di riparazione, della sperequazione che si effettua con l'attuale regime, a suo danno. Si potrebbe pertanto stabilire che, per le emissioni obbliga- zionarie clic si fanno nel triennio 1974-1976 (sperando che in seguilo il quadro di inflazione si presenti meno preoccupante), l'aliquota della ritenuta sia abbassata al 10% per ogni sorta di emittenti. Nello stesso tempo, questa misura porrebbe fine, almeno prò tempore, alla curiosa differenziazione di ritenute, fra le varie specie di obbligazioni, che oggi sussiste e che non pare essere soddisfacente, sotto il profilo della manovra di politica fiscale; mentre si darebbe un, sia pur piccolo, vantaggio fiscale all'impiego in titoli rispetto a quello nella liquidità | bancaria, così come appare de-1 siderabile nella presente congiuntura. Francesco Forte I