Piano per uccidere dieci carabinieri? di Piero Cerati

Piano per uccidere dieci carabinieri? La strage di Peteano Piano per uccidere dieci carabinieri? Una testimone: "Il Bragadini, ubriaco, mi mise al corrente del progetto" ■ Contraddizioni su un'utilitaria chiara fuggita dopo l'esplosione (Dal nostro inviato speciale) Trieste, 18 aprile. L'auto-bomba esplosa a Peteano era preparata per fare strage di carabinieri nella caserma di Gorizia: i morti non dovevano essere tre, ma almeno una decina. L'ipotesi si deduce da quanto ha dichiarato stamane la teste Maria Zagalia, che ha confermato la deposizione fatta in istruttoria. Cresce la sproporzione fra movente ed attentato. La strage, infatti, è motivata, secondo l'accusa, dalla vendetta: i sei imputati avrebbero odiato i carabinieri perché le loro abitazioni erano state perquisite, perché avevano ricevuto una multa, erano sospettati di furto ed avevano dovuto chiudere un bar. Arrabbiati Maria Zagalia ha raccontato che il giorno in cui gli imputati furono arrestati giunse a casa sua Mario Bragadini, titolare con il fratello dell'officina dove lavorava il Larocca, uno degli accusati. «Non era mai venuto da me — ha detto la donna —, cercava mia sorella che era fidanzata con il Larocca. Bragadini mi sembrò ubriaco, io gli diedi da bere. Senza essere sollecitato, si mise a parlare dell'attentato di Peteano. Spiegò che si erano riuniti due volte per organizzare la strage. La "500", come tutte le auto rubate, avrebbe dovuto essere portata in caserma a Gorizia, e lì sarebbe poi esplosa. Erano arrabbiati con i carabinieri, soprattutto con il brigadiere Zazzaro. Parlò anche d'un congegno di esplosione a strappo e spiegò che l'esperto era il Badin, ora imputato. Io e mia sorella non andiamo d'accordo sin da quando eravamo bambine, non so perché Bragadini sia venuto a raccontarmi tutti quei particolari». Mario Bragadini ha però sempre smentito di aver parlato della strage con la Zagalia e il 24 aprile verrà a deporre in aula: sarà messo a confronto con la donna. La Zagalia non può avere inventato certi particolari come il «congegno a strappo» o il traino della «500» rubata in caserma; se il Bragadini proverà che non ne ha mai parlato, allora chi glieli ha detti? E' uno dei misteri che finora non sono stati svelati, forse perché ritenuti secondari o perché si è dato subito credito alle voci di provincia in una città, come Gorizia, ammantata di perbenismo. La vicenda di Peteano ormai è un «giallo» con personaggi troppo anonimi e squallidi per una strage che avrebbe dovuto avere vaste proporzioni. Stamane, decima udienza del processo in corte d'assise a Trieste, si è anche parlato della «500» trasformata in bomba. La vettura fu rubata nel cortile di un'osteria di Gorizia, la «Frasca del brolo», il 26 maggio 1972, verso le 21,15. Eleonora Rosin avrebbe visto il ladro. «Giunsi con la mia auto — ha raccontato — all'osteria perché mia 'madre doveva parlare con la proprietaria. Vidi un giovane, snello, in camicia chiara, avvicinarsi ad una macchinetta. Quando mia madre tornò, scorsi che la vettura stava uscendo dal parcheggio e andava via. Tut- . 8 e o o t'attorno c'era molta gente. Erano le 21,15». Nicola Zagaroli vide invece la «500» bianca presso Peteano; accanto erano un giovane e una donna bionda. Non ha però riconosciuto alcuno. Zagaroli è stato il primo dei testimoni a raccontare d'aver visto l'auto-bomba sul luogo dove poi avvenne l'esplosione. Dalle deposizioni risulterebbe che dal 28 al 31 maggio 1972 le «500» chiare in quella zona fossero almeno una decina ed altrettante le persone che in quei dintorni si aggiravano, o per lavoro o per pescare (la località è sulle rive dell'Isonzo e del Vipacco, quasi alla confluenza dei due fiumi). Mario Pasquali, appuntato dei carabinieri di Fogliano Redipuglia, il 31 maggio, alle 12, mentre era a pesca non vide la «500»; verso le 12,20 invece la scorse tra gli alberi, vicino ad una radura. Mentre ritornava a casa sulla sua «500» chiara, un giovane biondo gli chiese un passaggio. E' probabile che fosse uno dei dinamitardi perché l'unica osteria della zona quel giorno era chiusa e non si spiega che cosa il giovane facesse a quell'ora presso Peteano. Presidente — Lei può riconoscere se quello sconosciuto è tra gli imputati? Pasquali si avvicina, mentre Badin rientra di corsa dal corridoio nel «gabbione». Sono attimi di silenzio; Pasquali guarda a lungo, poi scuote il capo e dice soltanto: «No». Spiega anche di non aver notato se la «500» avesse i fori delle pallottole nel parabrezza. Più preciso su questo punto è stato Fernando Prisco, un impresario che vide l'utilitaria con i fori dei proiettili. Lo scoppio Antonio Salvador scorse l'auto-bomba poco prima dello scoppio, dopo l'attentato udì invece «il rumore di una piccola cilindrata ad alta velocità che si allontanava» (l'accusa sostiene che era l'utilitaria dei Mezzorana che fuggiva dal luogo della strage). Il pubblico ministero è sembrato soddisfatto a questo punto della deposizione. Difesa — Come può dire che era una piccola cilindrata? Lei s'intende di auto? Salvador — Io no. P.m. — Allora ci dica quanto tempo dopo lo scoppio udì il rumore della vettura. E' un altro momento importante: se il teste avesse risposto «pochi minuti dopo», sarebbe stato un indizio a carico di Mezzorana. Salvador — Dieci minuti dopo. E la delusione si è dipinta sul volto del pubblico ministero. E' improbabile che i dinamitardi abbiano atteso tanto per scappare. Hanno poi deposto altri pescatori che notarono la «500» chiara; quindi il guardacaccia Giuseppe Brandolich, di Boschini (a un chilometro dall'attentato), ha detto: «La "500" c'era, ma verde chiaro» ed ha aggiunto d'aver udito due spari «di calibro 22» la notte del 30 maggio, il giorno prima della strage. Difesa — Erano di pistola o di fucile? Brandolich: «Non so». Forse erano i colpi sparati nel parabrezza, ma non si è raggiunta una prova certa. E' stata la volta subito do po di Marcello Milocco, altro pescatore che la notte del 31 maggio (con la moglie) si aggirava in riva all'Isonzo alla confluenza del Vipacco. «Alle 23,30 circa udii un'esplosione a 300 metri da me (il colonnello Mingarelli aveva detto: «Raccogliemmo cinque chili di brandelli umani nel raggio di 500 metri», ma sembra che lo spostamento d'aria non abbia raggiunto il Milocco n.d.r.); chiesi ad un altro pescatore che cosa fosse successo e mi rispose: "Attentati, ecco che scappano"; sentii il rumore di una "128". Avevo appena acceso una torcia elettrica a batteria per innescare l'amo, quando mi si avvicinò un giovane con un cappuccio in testa e indosso un impermeabile nero; tenendomi la luce di una pila sul volto, con voce sottile, da donna, mi disse in dialetto goriziano: "Credevo foste un mio amico; avete preso qualcosa?". Risposi di sì. Poi si allontanò in motorino, forse un 45 centimetri cubici. Un altro pescatore mi chiese chi fosse, gli risposi che non lo sapevo. Non ho visto il volto di quello sconosciuto»». La moglie del Milocco, Claudia Sturm, ha confermato il racconto del marito ed ha aggiunto: «Lo sconosciuto era alto, magro, con gli occhiali. Dopo lo scoppio udii un'auto a forte velocità, poi un'altra con il clacson pigiato, quindi un motorino che passò sei o sette volte per la strada. Lo sconosciuto aveva una voce quasi femminile» Nessuno degli imputati porta gli occhiali. Subito dopo lo scoppio, il camionista Giovanni Perdon vide una «Fulvia bianca che lampeggiava e proveniva dalla zona dell'attentato»; quindi forse una «500» gialla ed altre vetture. Un appuntato dei carabinieri gli chiese l'ora, erano le 23,20. Piero Cerati [

Luoghi citati: Fogliano Redipuglia, Gorizia, Trieste