L'amaro Statuto

L'amaro Statuto CARLO ALBERTO INEDITO L'amaro Statuto Le vicende attraverso le quali Carlo Alberto si decise, dopo tormentose incertezze, a dare una costituzione alla quale ripugnava per temperamento, per antiche convinzioni, per le tristi esperienze del 1821, per un giuramento solenne da cui volle prima essere prosciolto, ci sono state da tempo rivelate dai verbali ufficiali dei Consigli di conferenza nei quali venne presa la decisione solenne, e dai carteggi e ricordi di molti dei protagonisti. Mancava, fra queste testimonianze, quella diretta del sovrano, principale personaggio di tutta la vicenda; ed essa ci giunge ora attraverso quanto viene riferito dal Diario, tuttora inedito, del conte Cesare Trabucco di Castagnetto segretario privato e confidente di Carlo Alberto dal 1833, suo consigliere politico, e personaggio di rilievo in momenti importanti del Risorgimento italiano come il Congresso di Casale del 1847 e le trattative con il Governo provvisorio lombardo l'anno successivo. Non sono tanto le motivazioni e le valutazioni politiche a dare significato a questa testimonianza, anche se esse non mancano certo di rilievo e di interesse; quanto la cronaca del drammatico sviluppo degli eventi dietro le chiuse pareti del palazzo reale di Torino, impenetrabili a quasi tutti gli altri osservatori, Dopo i mesi di agitazioni che si erano succeduti dal novembre 1847, le ripetute dimostrazioni popolari, le notizie delle concessioni costituzionali già fatte da altri sovrani, a cominciare dal re di Napoli, il dramma venne ad avviarsi verso lo scioglimento quando il Consiglio di conferenza del 3 febbraio 1848 rivelò un orientamento presso che unanime a favore della costituzione. * ★ 5 febbraio. « Sua Maestà protestò che a questo non si sarebbe mai decisa: che era pronta ad ogni sacrificio ma non a quello della sua coscienza. «Una scena molto viva ebbe luogo fra il re e il duca di Savoia [il futuro Vittorio Emanuele II]. Avendogli detto S. M. che si doveva passare attraverso una costituzione, e che sarebbe toccato al duca di darla, egli si lagnò che si fossero fatte arrivare le cose a quel punto, e che dopo si vo lesse gettare su di lui il peso di una determinazione che non gli spettava di prendere. Il re rispose che era lui stesso ad attirarsi tutto ciò, perché la nazione non aveva fiducia in lui e voleva delle garanzie. Il duca si risentì alquanto, e si lasciarono molto agitati. «La regina mi disse che il re sembrava aver la febbre, dopo quel colloquio. II duca mi fece chiamare subito dopo: mi raccontò queste cose, si lagnò amaramente della sua posizio ne, mi disse che se il re abdi cava egli non voleva, per suo conto, amareggiare la nazione chiamando gli stranieri, e avrebbe, forse, dato la costituzione. Ma non nascose quan to l'affliggeva tutto questo, e mi disse che il peso di un trono gli era insopportabile. «Il duca di Genova [Ferdinando di Savoia] era fuori di sé, soprattutto perché il re non faceva nulla per uscire da una posizione siffatta. «Anche la regina mi fece chiamare. Mi commosse fino alle lacrime: mi disse che il re voleva abbandonarla, e che, abdicando, sarebbe partito da solo. Non si mostrava contraria alla costituzione, se era indispensabile, ma si lagnò molto dell'indecisione del re. «Per suo conto, egli è molto calmo ed è uscito per visitare gli ospedali. Stamattina mi ripete che è molto calmo. Gli dico che i momenti incalzano, che avevo visto [gli ex-ministri] Pralormo e Gallina. L'uno e l'altro credono che si potrebbe ancora uscire da questa difficile stretta senza dare una costituzione. Pralormo era dell'avviso di fare appello alle Grandi Potenze, protestando la volontà di salvaguardare i trattati e al tempo stesso di non cambiare le- istituzioni della monarchia, salvo i progressi richiesti dalle esigenze dei tempi e le riforme già accordate; dichiarare Genova in stato d'assedio; non recriminare sul passato; attenersi alla legalità, e allontanare i principali autori dei disordini. Gallina pensava che una costituzione sarebbe rovinosa per questo paese, che non è ancora maturo; che in attesa qualcosa bisogna accordarla, e sarebbe anche urgente che il re la annunciasse. Con ciò si guadagnerebbe tempo, ed egli ritiene che sullo stesso Consiglio di Stato si potrebbe inserire qualche istituzione che soddisfi i bisogni del paese... «La regina lo vide alcuni istanti dopo, lo scongiurò di fare qualcosa. Egli non rispo¬ se nulla, tranne che la sua decisione era presa, che non avrebbe più mutato avviso, che suo figlio se la sarebbe cavata come se l'era cavata lui nel 1821 ». Povero sovrano. Non sarebbe stata questa la sola né l'ultima decisione irrevocabile che avrebbe dovuto mutare entro pochi giorni. Ma a sua scusante, e a dimostrazione delle difficoltà della situazione, va detto che altrettanto fecero alcuni dei suoi consiglieri più autorevoli, e fra essi taluni noti, a differenza del re, per fermezza di carattere. Anch'essi furono costretti, nel decisivo Consiglio di conferenza del 7 febbraio, a smentire i suggerimenti di qualche giorno prima e a consigliare la capitolazione. Quel giorno venne decisa la concessione dello Statuto, e l'indomani se ne dette l'annuncio. ★ * 8 febbraio. « Ecco infine la grande giornata. Verso le tre del pomeriggio si affigge il proclama reale, che accorda la costituzione sotto il nome di Stallilo di Sardegna. «In un istante tutta la città fu in subbuglio: grande luminaria, sfilata di bandiere ecc. Ma il partito radicale non nasconde la sua decisione: avrebbe voluto una sola camera, ovvero una parìa elettiva e temporanea e l'introduzione delle capacità nel Parlamento. L'aristocrazia si mostra soddisfatta; gli altri tacciono per il momento, ma presto riparleranno con forza anche maggiore ». 11 febbraio. « Ho saputo che al Consiglio di conferenza il re aveva parlato con voce un po' alterata, ma bene e paternamente. Disse che da diciassette anni aveva consacrato tutta la sua vita alla felicità dei suoi sudditi e fatto il possibile per soddisfarli; che dopo le riforme concesse di recente nuovi desideri si erano manifestati, e che gli ultimi eventi di Napoli avevano fatto precipitare la situazione; i magistrati della città di Torino si erano riuniti per supplicarlo di dare una costituzione; che in tale stato di cose egli aveva pensato di riunire presso di sé i consiglieri naturali della Corona per ascoltare il loro avviso. «Il conte La Tour parlò per primo, si imbarcò in una serie di discussioni teoriche e finì per concludere con la necessità della costituzione. Pralormo esaminò la situazione del paese: disse che, per suo conto, avendo lasciato il governo da sette anni, non poteva conoscere a fondo le risorse disponibili e lo stato della opinione pubblica, ma che, davanti all'accordo di tutti i ministri, i quali dicevano che la situazione non era più sostenibile, opinava per la costituzione come solo rimedio, malgrado fosse un rimedio assai drastico. «Fu questa, pressappoco, l'opinione generale sulla sostanza del problema; il resto della seduta fu per gran parte dedicato a discutere le basi dello Statuto. «Che il re non avesse ancora grandi risorse non si può dire, perché l'esercito è fedele e nella massa della nazione non v'è alcuno spirito di resistenza. La stessa Genova, se fosse stata bloccata senza ricorrere alla misura estrema di un bombardamento, avrebbe forse proclamato la costituzione nelle strade, ma alla fine avrebbe dovuto capitolare. Forse, se si fosse voluta adottare una linea di resistenza, la cautela avrebbe voluto che ci si assicurasse almeno un buon alleato, che ci aiutasse a reprimere la rivolta. Ora questo alleato, per i principi costitutivi del suo governo, sarebbe stato l'Austria, e il re preferiva qualunque cosa al mondo piuttosto che mettersi nelle sue mani. L'Inghilterra e la Francia, esse stesse a regime costituzionale, favorivano questo spirito presso di noi invece di combatterlo. «Così stando le cose, il re non aveva altra via che di unirsi francamente alla nazione. Egli l'ha fatto nobilmente, dignitosamente, e si è meritato il titolo di padre dei suoi popoli, avendo condotto le cose in modo che neppure una goccia di sangue è stata versata, esempio unico nella storia... «Non ci si può nascondere che questo momento di crisi è grave. Tutto sarà messo in discussione; i grandi corpi dello Stato dovranno essere riformati, molte esistenze compromesse. Ma bisogna confidare nell'aiuto di Dio e nel buon senso del paese: che tutti i buoni, l'aristocrazia del sangue, dei talenti e delle fortune si uniscano nel medesimo scopo, e la grande opera del re sarà consolidata ». Ma non era finita. Se, pochi giorni dopo, la caduta di Luigi Eilippo e la proclamazione della repubblica a Parigi indussero uomini come Castagnetto a vedere nella concessione dello Statuto una ispirazione provvidenziale, il successivo aggravarsi della situazione interna, e specialmente le ripetute sommosse e la cacciata dei Gesuiti tornarono a turbare profondamente Carlo Alberto. 4 marzo. « Il re è triste e abbattuto. La sommossa contro i Gesuiti e il Sacro Cuore lo turba giustamente: vede la religione attaccata e il governo impotente a difenderla. Mi parla di abdicazione come risoluzione ormai presa. «Vedo i due principi. Il duca di Genova mi dice che suo fratello rifiuterà d'esser re, e che allora egli dovrà rassegnarsi a essere reggente. Mi parla con molto buon senso degli affari presenti, e si mostra deciso a mettersi all'altezza della situazione seguendo la linea costituzionale; e ne è ben capace. «Il duca di Savoia è a letto con due salassi e un reumatismo acuto alle ginocchia. Cominciò con una tirata assai vivace contro il re, che disse autore della situazione presente. Mi parlò di tutto il suo fastidio per la sfortuna di dover assumere la corona, ma non pronunciò la parola rinuncia. E in effetti un atto del genere gli darebbe una patente d'incapacità, che non merita, soprattutto perché è dotato di un gran cuore, e ha tutte le qualità per farsi amare ». 6 marzo. « Lo Statuto fu pubblicato ieri, e benché largo quanto è possibile, lo si ricevette senza alcuna dimostrazione. «Il re era assai triste per l'affare dei Gesuiti e delle Dame del Sacro Cuore: mi parlò ancora di abdicazione come di un evento assai prossimo. Anche la regina si vede già sul punto di dover partire, e prende precauzioni per i suoi effetti. I principi sono assai ragionevoli, ma prevedono anch'essi di doversene andare al più presto ». ★ ★ Insomma, quel giorno dello Statuto che doveva passare all'Italia sabauda come la festa più solenne della monarchia liberale, fu in effetti assai carico di ombre e di ansie nel palazzo reale di Torino. Un intero mondo di princìpi, di criteri di governo, di convinzioni fortemente professate era crollato in quelle settimane, e la tensione testimoniata da queste scarne pagine di diario ci aiuta a intendere tutta la drammaticità delle scelte allora compiute. Molto cammino restava ancora da fare perché dalle strutture dello Stato assoluto si passasse a un ordinamento liberale: ma il primo e più difficile passo era stato compiuto. Di lì a qualche giorno sarebbe venuta l'insurrezione popolare a Milano e la guerra contro l'Austria a imprimere una nuova drammatica spinta in avanti a tutta la situazione del paese. Rosario Romeo