Lo scudetto sul treno del Sud di Giovanni Arpino

Lo scudetto sul treno del Sud La sentenza di Pasqua a favore della Lazio Lo scudetto sul treno del Sud Alle 17,40 della trascorsa domenica di Pasqua, lo scudetto del nostro massimo campionato di calcio ha preso il treno per il Sud. Con novantanove probabilità su cento ha lasciato le sponde a lui familiari del Po per ritrovare quelle del Tevere, trentadue anni dopo. Solo un fatto imponderabile — ancorché legato a un residuo conteggio matematico — potrebbe privare la Società Sportiva Lazio del suo primo titolo italiano. Le ragioni essenziali detta vittoria biancoceleste consistono nella volontà, in una rara tenacia collettiva. «Non abbiamo mai vinto niente in vita nostra — ci disse Giorgio Chinaglia un mese fa —. Quando vado in sede, quando guardo le pareti di casa, non vedo una coppa, uno stendardo, una medaglia. Ecco perché non possiamo perdere quest'annata». Nulla fa da propellente nei fatti sportivi come [a fame di gloria. Chinaglia, simile al Gigi Riva del '70, che trascinava furente il suo Cagliari al vertice dell'elite calcistica, ha obbedito a un istinto creativo e possessi! vo, imitato dai compagni, men¬ tre tanti altri suoi colleghi in scarpe bullonate si limitavano ad amministrarsi, perdendo tempo e occasioni. Così, in tre anni, pur attraverso l'altalena di un campionato anomalo che non ha risparmiato sconfitte e paure alla stessa capolista, il club laziale passa dalla Serie B allo scudetto. Per la seconda volta il titolo approda a Roma. Nel '42 furono i giallorossi del «fornaretto» Amadei ad agguantarlo. Su quella vittoria piovvero malignità anche troppo sottili. Tutti gli Azzeccagarbugli della critica (non solo calcistica) lo definirono uno scudetto «comandato» da Palazzo Venezia, solo perdio interrompeva la triangolare, tradizionale supremazia di Juventus, Bologna, Ambrosiana. Proprio in quei tempi la Lazio rischiava di retrocedere nella serie inferiore, proprio in quei tempi appariva nei cieli del pallone la prima luce della grande stella granata. Oggi mezza Roma ride, mezza Roma piange a dispetto. La squadra biancoceleste costringe le infinite tribù giatlorosse a ingoiare l'epiteto di «burini», da sempre usato verso i tifosi riva¬ li Oggi l'amato a odiato e invidiato Chinaglia è personaggio emblematico d'una vicenda capitolina che i romanisti «de core» debbono accettare con grandi stringimenti coronarici. Il 19 maggio, giornata ultima del campionato, stravolgerà la metropoli con feste, cortei, carnevali, ma sappiamo che inattissimi non usciranno di casa, emigreranno in ferie anticipate, sceglieranno esilii e solitudini pur di sottrarsi alla gioia avversaria. Nessuna città più di Roma è divisa quando si discute di uomini e colori deputati a un pallone. «Nun fatecimi pensa», sospirano ancora i romanisti, pregando per un miracolo all'incontrarlo. Ma i laziali meritano ampiamente il titolo. Sono slati i più l'alidi nel giro di mesi e di scontri che inevitabilmente livellano, logorano, esaltano i diversi valori in gioco. Li seguono succulente qualifiche che ormai fan parte del rorido gergo sportivo. La migliore li ha ribattezzati come «Ajax de noantri». Al loro quartier generale, in un panorama suburbano che ricorda un Forte Alamo per uomini in tuta, sovente manca l'acqua per le doc¬ ce, sempre li apostrofano e rimirano ragazzetti, militari in libera uscita, «ninfe» grassissime, operai che si arrampicano sulle gru per seguire gli esercizi di Chinaglia, Wilson, Re Cecconi. E questi giocano avendo i figlioletti tra i piedi, che spolettano nell'erba del prato, ignari e allegri. Ma hanno saputo anche pianificare, con oculatezza e talora litigiosa fraternità, il lavoro, la massima avventura del campionato. Quando la Roma vinse il suo titolo, trentadue anni fa, una delle retrocesse fu il Napoli: a testimonianza che il calcio del Centro-Sud era ancora minato da troppe contraddizioni. Oggi, quasi alle spalle di questa Lazio, ecco il Napoli, a conferma che nuovi programmi, nuova maturità, hanno saputo cementare lo spettacolo-industria del calcio, a Roma e a Sud di Roma. Dobbiamo essere proprio noi i primi a complimentarci con i ragazzi di Tor di Quinto. La loro festa non esclude chi ama il football tinto di qualsiasi colore. Z.'«Ajax de noantri» è squadra poderosa, bella, matta, vincente. Applaudiamola come si deve. Giovanni Arpino

Persone citate: Alamo, Amadei, Chinaglia, Gigi Riva, Giorgio Chinaglia, Re Cecconi