Vecchi miti in soffitta di Igor Man

Vecchi miti in soffitta COS'È CAMBIATO NELL'EGITTO DI SADAT Vecchi miti in soffitta Dal pianto corale per la scomparsa di Nasser, si passa alla demolizione sistematica della sua figura (Dal nostro inviato speciale) II Cairo, aprile. « Durante diciotto anni abbiamo vissuto sotto una cappa di piombo: l'Egitto è rimasto tagliato fuori dal mondo, dalle correnti di pensiero dell'Occidente a cui ha sempre guardato con avido interesse. Abbiamo vissuto nella miseria materiale e morale, abbiamo sacrificato gli armi più belli della nostra vita sull'altare della assurda grandeur di Nasser. Nasser è il responsabile della nostra fame e del nostro dolore. E' lui il responsabile della guerra civile nello Yemen che tanti lutti ha portato nelle nostre case, è lui che ha affossato il movimento sindacale, che ha ucciso l'iniziativa privata favorendo d'altra parte l'affermarsi di una nuova borghesia più rapace e corrotta della precedente. Voi giornalisti stra¬ nieri avete sempre scritto che Nasser ha ridato l'indipendenza al suo popolo scacciando gli inglesi. E' vero: ha scacciato gli inglesi per portarci in casa gli israeliani! Ha diviso il mondo arabo, ha schiacciato un popolo generoso, amante della libertà, sotto il tallone del terrore poliziesco ». Questo mi disse, la sera del 29 gennaio scorso, la segretaria dì un ministro in carica, una signora egiziana di mezza età, nel suo ufficio dominato da un grande ritratto di Nasser. (Oggi al posto della fotografia del kaed el khaled, il capo eterno, troneggia quella di Sodati. Quello che allora giudicai un episodio isolato, lo sfogo un po' isterico di una antinasseriana, adesso è routine. Di requisitorie contro Nasser ne ascolto in continuazione e il ritratto del Ràiss è perfino scomparso dagli uffici dell'unione socialista araba (il partito unico egiziano). Sui giornali, liberati dalla censura il 10 febbraio, compaiono pressoché ogni giorno violenti articoli di condanna del vecchio regime. Nasser non viene mai nominato ma chi altro chiamano in causa se non lui gli articolisti quando denunciano i « misfatti del passato », la corruzione, le elezioni truccate, le menzogne della propaganda, l'assenza di libertà, l'imperversare delle spie, le torture, le vessazioni della polizia segreta? A meno di quattro anni dall'allucinante funerale di Nasser, dal pianto corale di milioni di egiziani, assistiamo in Egitto alla metodica demolizione di un mito per verosimilmente costruirne un altro, quello dì Sadat. Il processo che chiameremo di denasserizzazione è cominciato praticamente il 28 gennaio, allorché vennero tirati fuor di galera personaggi di rilievo condannati in quattro tempi: nel 1965 all'epoca delle repressioni degli oppositori di destra; subito dopo la disfatta del 1967 quando vennero processati e condannati numerosi alti gradi delle forze armate; ancora nel '67 al momento del tentato colpo di Stato del maresciallo Amer: lui « fu suicidato », i suoi fedeli tolti di mezzo; nel maggio del 1971, quando Sadat si sbarazzò del gruppo di Ali Sabri e Shaarawy Gomaa. Esilio e prigione Il provvedimento di clemenza Au clamoroso: la liberazione di Mustafà Amin dopo nove anni di carcere duro, il ritorno dall'esilio del suo gemello, Ali Amin. Esponenti della grossa borghesia, pubblicisti colti e influenti, fondatori della casa editrice Akher Saa e di Akhbar el Yom, i fratelli Amin vennero ad un certo momento accusati di « collusione con ambienti occidentali ostili all'Egitto », Ali riuscì a riparare nel Libano, Mustafà, bollato come « agente della Cia », si ebbe una lunga pena detentiva. Più volte torturato, riuscì a sopravvivere alle sevizie della polizia segreta, all'inferno del carcere duro « solo in forza della sua innocenza ». E' tornato ad Al Akhbar, dove esercita le funzioni di supervisore, sta preparando un libro sugli orrori della « tirannia nasseriana ». Quando e se il libro uscirà, gli egiziani apprenderanno come la polizia di Nasser non risparmiasse neanche i bambini: un bimbo di tre anni venne arrestato e tenuto in ostaggio finché il padre non si consegnò alla polizia. Due anni dopo Nasser ordinò — sempre secondo Mustafà Amin — che un certo numero di « pregiudicati politici » venissero di nuovo arrestati. Quel bambino fu risbattuto in galera, vi rimase quattro anni. Graziato da Sadat, il generale Mohammed Sidki Mahmud, capo delle forze aeree nel 67, condannato dopo la disfatta a 25 anni perché ritenuto responsabile della distruzione a terra dell'aviazione, chiede un nuovo processo per trascinare sul banco degli imputati « il vero e unico responsabile del disastro ». Il generale afferma di aver detto a Nasser, proprio alla vigilia della guerra dei sei giorni, come l'aviazione non fosse in grado di affrontare le ostilità. Il Ràiss gli avrebbe risposto di non preoccuparsi perché si trattava solo di una « guerra dei nervi ». Ma l'episodio più signifi- cativo della « campagna di denasserizzazione » rimane l'allontanamento di Heykal da Al Ahram. Per quasi vent'anni il giornale e il suo direttore si erano andati identificando strettamente. Giornalista principe, Heykal era anche un policy maker e il giornale che aveva superbamente ristrutturato, un vero e proprio centro di potere, l'ultima trincea delTintellighentsjia nasseriana. Da quando Ali Amin ha preso il posto di Heykal, il più prestigioso giornale arabo è diventato l'instancabile laudatore di Sadat, l'accanito accusatore del « passato regime ». « Fatemi conoscere i torti che avete subito — scrive Ali Amin ai suoi lettori —, io li renderò di pubblica ragione, mi batterò perché vi sia resa giustizia ». In gran numero lettere-denuncia raggiungono il tavolo del nuovo direttore di Al Ahram che pubblica storie incredibili di arresti arbitrari, di sevizie. Incessante è la segnalazione di abusi compiuti dal «sequestro» che all'inizio degli Anni Sesssanta rappresentò l'istituto giuridico per eccellenza della rivoluzione nasseriana. « Si è approfittato del sequestro, una misura profondamente ingiusta, degna del Medioevo nei suoi giorni più bui, per scatenare una campagna terroristica... I sequestri sono un furto, una violazione della libertà e del diritto delle persone, sono in contraddizione col socialismo e rappresentano un sabotaggio della produzione, una tortura imposta a tutti i cittadini ». I sequestri venivano spesso ordinati per telefono e le persone colpite, arrestate e torturate nelle carceri militari. Al Ahram cita, fra gli altri, il caso di un carpentiere divenuto proprietario di una piccola fabbrica di mobili, che, benché assolto dall'accusa di attività contrarie al regime, rimase in galera cinque anni. « I beni sotto sequestro sono stati gestiti male, rappresentando di conseguenza un peso per l'economia nazionale ». Al Ahram rivela che la speciale commissione d'inchiesta ha accertato come su 344 casi, 35 soltanto avevano violato la legge sulla riforma agraria. Riforma negata? Sadat, poco dopo aver assunto la carica dì Presidente, annunciò che non vi sarebbero stati più sequestri per decreto e che gli unici consentiti sarebbero stati quelli scaturiti dalla decisione di competenti tribunali per casi ben precisi. Ora una commissione dell'assemblea del popolo sta elaborando un emendamento della legge per revocare « tutti i sequestri decisi arbitrariamente». (Il 3 marzo il «procuratore generale socialista», Mustafà Abu Zeid, ha deciso la levata del sequestro che era stato imposto sui beni di Mustafà Amin e della sua famiglia). Se, come tutto lascia pensare, l'emendamento passerà, la riforma agraria, uno dei pilastri della rivoluzione nasseriana, risulterà praticamente vanificata. Con grande soddisfazione degli «esuli» e dei reduci dalla galera che in questi giorni affollano Il Cairo. Nei salotti, nei ristoranti di lusso, nei locali notturni ti indicano personaggi che sembrano usciti dal «Quartetto alessandrino» di Durrell. Festeggiano il ritorno ai «bei vecchi tempi» con champagne, parlano di capitali da investire nella «patria ritrovata», tessono, con le lacrime agli occhi, l'elogio di Sadat «il più illuminato dei presidenti, uomo forte e giusto, il vincitore». Elogiano il «capo illuminato» personaggi come Anuar Abdel Malek, vecchio oppositore di Sadat, l'autore di «Egitto, società militare», e un nipote di Nahas Pascià di cui il settimanale Rosa el Youssef ha recentemente reclamato la riabilitazione scrivendo che non tutta la famiglia di Faruk fu responsabile delle disgrazie dell'Egitto. (Dalla Svizzera i figli del defunto sovrano hanno inviato una cospicua offerta in denaro. Sadat, con la somma, ha disposto l'apertura di un conto corrente a disposizione dei donatori. « L'Egitto è aperto a tutti i suoi figli », dichiara il ministro dell'Interno Mahmud Salem). Tutto questo, insieme con la notizia, non confermata, della liberazione di Salah Nasr, che per lunghi anni, come capo della polizia segreta, terrorizzò l'Egitto finché non fu coinvolto nel putsch di Amer, fa dire a molti come in Egitto si sia alla vigilia di una sorta di «rapporto Kruscev al XX Congresso». Qualcuno parla di restaurazione, di controrivoluzione, di seconda Repubblica. Ma, forse, è solo cominciato il sadatismo. Igor Man Il Cairo. Uno scorcio nei vecchi quartieri della città (Foto Team)