La triste domenica degli emigrati nella ridente periferia di Zurigo di Francesco Fornari

La triste domenica degli emigrati nella ridente periferia di Zurigo Gli italiani che da anni lavorano nella vicina Svizzera La triste domenica degli emigrati nella ridente periferia di Zurigo A Dietikon vivono 4700 nostri connazionali ; alcuni vi abitano da 20 anni e tuttavia sono ancora considerati stranieri -1 giorni di festa sono i più terribili : rimangono chiusi in casa, rosi dalla nostalgia - Un bicchierino per dimenticare i familiari (Dal nostro inviato speciale) Zurigo, 11 aprile. Sono oltre 4700 gl'italiani che vivono a Dietikon, ridente villaggio alla periferia di Zurigo. Alcuni vi abitano da più di vent'anni: ì loro figli sono nati qui e parlano il tedesco meglio dell'italiano (lingua che, in molti casi, non conoscono neppure perché in famiglia si discorre in dialetto e l'italiano a scuola non viene insegnato), ma nonostante tutto sono ancora considerati «Auslander» (stranieri), vivono isolati dal resto della popolazione, raggruppati in vecchie case all'estremità del paese, ancorati alle tradizioni delle loro regioni, ai ricordi lontani che servono a rendere più accettabile la realtà quotidiana. Gli anziani / lavoratori anziani, specialmente quelli che sono riusciti a portare quassù la famiglia, da tempo hanno accettato questa difficile condizione di vita. Con la stanca rassegnazione di chi ha trascorso la maggior parte dell'esistenza lavorando e soffrendo in terra straniera, dicono che tutto sommato «in Svizzera non si sta male, c'è da lavorare e si guadagna bene». Ma per la maggioranza degli italiani di Dietikon, sca- poli o vedovi momentanei che vivono soli nelle baracche e nelle camere d'affitto, la vita è diventata un'ossessione. La fine dell'orario di lavoro non viene accolta con gioia ma quasi con sgomento. Il sabato e la domenica, quando fabbriche e cantieri restano chiusi, sono giornate terribili, di una tristezza infinita, alienanti. Molti finiscono col restare chiusi in casa a riposare dopo cinque giorni di lavoro assai faticoso. In realtà non riposano, ma oziano. Non leggono, non hanno un hobby, pochissimi praticano qualche sport. Preparato il pasto, lavati ì piatti e fatto il bucato, non sanno che cosa fare. Sono venuti quassù con uno scopo ben preciso — far soldi — per riuscirci risparmiano sul cibo, sui vestiti, sui divertimenti. Il problema più grave per loro è quello del tempo libero, perché è proprio in quei momenti che avvertono maggiormente la solitudine, la loro condizione di estranei, di emarginati. «Non c'è dialogo con gli svizzeri, con loro non si può comunicare. Lavori accanto ad una persona per otto, dieci ore al giorno, e ci si limita a scambiare poche parole formali. Quando finisce l'orario, ognuno se ne va per conto i suo», dice Pietro Gullo, 18 an- ni, da San Pietro a Mare, in provincia di Catanzaro. Vive a Dietikon da un anno, ha raggiunto i genitori che vi si trovano da tredici. Si considera fortunato perché «adesso almeno posso stare con mio padre e mia madre. Prima, al paese, vivevo con i nonni». Lavora nel deposito ferroviario di Altstetten, guadagna in media 1400 franchi al mese. «Ne pago 190 per l'affitto di una camera nel casermone». Il «casermone» è una vecchia casa di quattro piani alla periferia del villaggio, abitata esclusivamente da italiani. «Io abito a pianterreno, i miei genitori dividono un appartamento all'ultimo piano con altri due compaesani». Per questo «appartamento» (due camere e cucina), pagano 180 franchi. Vorrebbero trasferirsi in una casa migliore, trovare un alloggio tutto per loro, ma gli affitti sono troppo cari. Cani e gatti Giuseppe Diaco, anche lui diciottenne, anche lui di San Pietro a Mare (a Dietikon vivono mille italiani provenienti da quel paese della Calabria: in Italia sono rimasti soltanto i vecchi e le donne, tutti gli uomini validi lavorano all'estero), afferma che i rapporti tra italiani e svizzeri sono «cordiali come fra cani e gatti». Diaco è uno dei po chi che parla abbastanza bene il tedesco ma «questo non serve a nulla. Come capiscono che sei italiano ti evitano. I lavori più pesanti sono riservati a noi: io ho la qualifica di aiuto macchinista, ma finisco col fare il manovale». Il sabato sera va a ballare con gli amici in un club italiano di Zurigo. «Difficile fare amicizia con delle ragazze del luogo. Se si riesce a conoscerne una, non si va mai più in là del primo appuntamento. Forse lei continuerebbe, ma i genitori o qualche amico glielo impediscono. Passiamo le nostre serate tra noi, bevendo birra e corteggiando le nostre connazionali, quando ce ne sono». Per qualcuno la realtà non è così brutta. Bruno Serioli, 51 anni, da Brescia, è riuscito ad inserirsi in maniera soddisfacente. Da 27 anni in Svizzera, lavora come capo tecnico in un'industria. «Ho alle mie dipendenze quattro reparti, gli operai svizzeri mi vogliono bene, il padrone mi stima». Si è sposato a Dietikon con un'italiana, ha due figli che studiano. «Devo dire che la Svizzera mi ha aiutato molto. Specialmente per i figli. In Italia non avrei potuto dargli un'istruzione». C'è anche chi, pur lavorando sodo e adattandosi ad ogni situazione, non è riuscito a sistemarsi. Giuseppe Varrese, 56 anni, un altro emigrato da San Pietro a Mare, lavora a Dietikon da tredici anni come manovale edile. E' uno stagionale: trascorre nove, dieci mesi all'anno in Svizzera, gli altri in Italia. «Non sono mai riuscito ad ottenere il contratto di lavoro definitivo», spiega. Vive in una baracca di legno e compensato all'interno del cantiere. Il gabinetto e l'acqua sono fuori, in un angolo del cortile. Per questa «casa» paga 60 franchi d'affitto al mese. «Quando va bene ne guadagno 1200. Un quarto lo tengo per me, il resto lo mando a mia moglie e ai figli in Italia». Con 300 franchi il manovale Varrese tira avanti tutto il mese. Cucina da sé i pasti, lava la biancheria, stira gli abiti. «Anche così spendo circa venti franchi al giorno per vivere. In questi ultimi mesi il costo della vita è aumentato in maniera esorbitante». Mezzo chilo di pasta (spaghetti prodotti dalla ditta Agnesi) costa 1,40 franchi (circa 320 lire). Una scatola di pelati (Arrigoni) un franco (230 lire). Una bottiglia di brandy italiano 50 franchi (oltre 10 mila lire). «Ne comperiamo una al mese dividendo la spesa tra cinque amici: è il nostro unico divertimento bere qualche bicchierino la sera tra noi, prima di andare a letto». La solitudine La solitudine è il male peggiore che affligge i nostri emigrati. Gli anziani, ormai rassegnati, restano chiusi in casa a sognare o persi in inutili e sempre uguali discorsi con gli amici. Per i giovani la situazione è più difficile. L'ultima soluzione per i più disperati, dopo aver passeggia to a lungo per la Bahnhof Strasse di Zurigo, la via più ricca del mondo (sottoterra ci sono le stanze del tesoro delle più importanti banche svizzere ricolme di lingotti d'oro, si cammina su una montagna d'oro), guardando le belle «Fraulein» in minigon na e le vetrine splendenti di luci, è una serata nella città vecchia, in uno dei locali che si affacciano lungo la Nìederdorf Strasse, affollati di hippies che racimolano i pochi centesimi per un panino di « wurstel » strimpellando la chitarra, dove i nostri bruni ragazzi sofferenti di nostalgia sono attesi da virago la cui età media si aggira sui cinquantanni, inanellate e imbellettate, impudiche nell'ostentazione delle loro grazie appassite. Questa è la realtà, questa è la vita di molti lavoratori italiani all'estero. Francesco Fornari