Un monumento d'oro e di gol

Un monumento d'oro e di gol Un monumento d'oro e di gol (Incontro a Torino con il campione brasiliano) Come potresti non riconoscere Pelé? Se poi t'arriva incontro in un abito di velluto rosso, camicia candida, cravatta a segmenti di Mondrian, « o rey » sembra squillare come una fanfara, umilia i semafori. Edson Arantes do Nascimienio, in arte Pelé, principe incontrastato di dribbling, agguati in area, fughe e zampate in gol, fenomeno dei fenomeni, delirio dei tifosi, sorride buono, semplice. Ha firmato una montagna di autografi al campo d'allenamento juventino, stupendo tutti: perché un qualsiasi piffero bullonato nostrano, al quinto uso della biro, già scalcia i ragazzini pretendenti. Ma lui è veramente « o rey » e non scade in atteggiamenti da primadonna d'operetta. E' a Torino per poche ore, arriva da Francoforte sospinto dalla marea dei suoi affari, dato che il suo nome oggi significa soprattutto la « Peié administragào comércio e propaganda Itda », con sede in rua Riachuelo 121, Santos (Brasil). La presidenza della Juventus offre una colazione all'emblema vivente del calcio moderno, ai suoi managers, ad alcuni amici in un ristorante di collina. Don José Altafini dovrebbe fungere da interprete, anche se Pelé si arrangia con tutte le lingue. Mangerà un filetto, un'insalata, due succhi d'arancia, dopo i due bicchieri di latte e i due caffè del mattino. Ci tiene ai muscoli, alle ossa, anche se quelle famose gambe sono stanche, coperte di lividi, cicatrici, ricuciture, ferite che appaiono bianche nell'ebano della pelle. E' quello che si può definire un incontro informale ». Nessun piano, nessun progetto, solo quattro chiacchiere tra gente che rotolando dietro un pallone ha battuto gli angoli di tutto il mondo. Che fa Amarildo? E' sempre vittima di quella sua ferocissima sorella, che conosce ogni articolo dei contratti e fa impazzire più di tre mogli e sei suocere messe insieme? E Gilmar? E' diventato una specie di avvocato Campana del tootball brasilero. Non parliamo di Garrincha, pieno di guai, che appare qua e là, grasso e mercenario, a giocar partite in squadre di provincia: troppe mogli e niente testa. « Il mio bambino ha tre anni, » racconta « o rey » con voce baritonale: « Se gli dai una caramella, un giocattolo, se ne infischia. Se gli dai una palla diventi subito suo amigo. A due anni palleggiava già di testa e con i due piedi. Ancora adesso va a dormire con la palla. Poche settimane fa è tornato a casa da scuola e mi fa: Papà, i miei compagni dicono che quel Pelé che si vede in televisione sei tu. Ma è vero? ». No. Niente « mondiali ». La pressione per far rigiocare « o rey » è letteralmente spaventosa. Proprio In questi giorni, tornato a casa, Pelé dovrà incontrarsi con l'intero governo brasiliano, che cercherà di farlo recedere dal suo famoso « non possumus ». Ma Edson aveva già assicurato il presidente ora sostituito che non andrà in Germania, e intende mantenere la parola. No, non per i miliardi. Per se stesso. E per due altre ragioni logiche: un Pelé non può deludere in un torneo mondiale: un Pelé non ha più il tisico per sottoporsi agli spaventosi condizionamenti che quattro anni fa gli permisero di raggiungere la forma adeguata in Messico. Ouindi la Germania lo vedrà solo come illustre presentatore, uomo di commenti e di industria. Anche se non può ancora lasciare il Santos, il club che vive su di lui, che lo vede a tutt'oggi come capocannoniere. Milioni di ricordi in quegli occhi, uragani di applausi in quegli orecchi. E' lì, vivo nella sua carne buia e felice I del suo abito da cerimonia. Ma è già come se fosse riI tagliato nel bronzo della sua | storia antica. Parla d'affari e j le sillabe di lire, dollari, cruzeiros, pesos sembrano risuli fargli estranee, importanti ma I lontane. Perché rieccolo, quando domanda al presidente della Juve: « Si soffre molto a smettere? Dico, quando si rinuncia davvero. Si soffre molto? ». E sogguarda con attenzione le smorfie e gli aggrondati cipigli del suo interlocutore, anche lui pressato da tante memorie. Con la sua sigla in Brasile si fa di tutto: è un marchio di fabbrica, una « ragione sociale » che interessa la cinematografia, i trasporti, le stazioni radio, il settore discografico. Ma lui parla sorridendo di quel campo, di quel gol, dei favolosi Djalma Santos e Nilton Santos. L'uno ora ha un negozio di articoli sportivi, l'altro fa l'allenatore. E non c'è più stalo un « mondiale » come quello del '58, che gioco allora, che movimento, che gusto, es verdad, José? Adesso in Brasile, dove nascono calciatori come in Sudafrica fioriscono diamanti, come da voi grappoli sulle vigne, i « punteros » mancano. Giuro. Sì. c'è Paul | Cesar, un bianco bravissimo, gran centrocampista, c'è il nero Mirandinha, forte centravanti, ma i tanti Garrincha diventano rari. Un po' d'involu- i zione, si capisce, anche se ! vedrete in Germania... i Beve un altro succo di frut¬ ta, ascolta i cinguettìi che arrivano dai grandi alberi colorati. Ma nulla lo tenta, non fuma, non conosce alcol, potresti giocare ancora, dice don José, sono più vecchio io, perché non lo facciamo passare per un oriundo?, fuori il cartellino da firmare. Ma è altra la stanchezza di Pelé. E' un qualcosa di veramente regale, è la distanza psicologica, astronomica che ormai divide un monumento dal resto della terra. Un monumento prigioniero delle sue stesse fattezze, Pur sapendo¬ 10 simbolo del Brasile, mai potremmo discorrere con lui dei militari, delle torture nelle prigioni del suo Paese, della stessa rovinosa alluvione che alla fine di marzo spazzò diecimila persone nel nulla. Come si la a discutere con una statua a cavallo? Negli occhi dolci, marrone, nella cornea giallognola sì rispecchiano le mille ferite subite negli scontri. E si chiacchiera ancora, un ricordo piove su un altro ricordo, sì ero saltato troppo alto per Burgnich in quel pomeriggio all'Azteca, sì Zagalo è un buon allenatore, ma Dino Sani non volle il posto, sarebbe toccato a lui. E all'improvviso ci torna in mente il Trap. Proprio lui, il buon Trapattoni milanista, che lermò ■> o rey » a San Siro, duemila anni fa. Era un re ferito ma il Trap risultò ugualmente grandioso, tanto da meritarsi i complimenti del brasiliano. E oggi, mentre Pelé riparte per amministrare il suo incredibile tramonto e i suoi imponenti interessi, il biondo Trap di allora torna in campo, ancora a San Siro. Per ricostruirsi un avvenire. Ha ai suoi ordini le macerie di un Milan che fu. Arriva il Borussia, terribile macchina di Moenchengladbach, anche se privo della sua amazzone Netzer. Lo si fermerà con una lattina? Ma questi sono ormai discorsetti nostri, mentre ci apprestiamo a rincuorare sportivamente ciò che rimane dello squassato Milan d'oggi. Sono discorselti limitati davanti a « o rey », che beve 11 suo caffè e abita sulla Luna, anche lei rotonda, anche lei d'oro, come tutto ciò che Pelé ha toccato. Giovanni Arpino José Altafini, Pelé e Vycpalek ieri mattina all'allenamento della Juventus