Il processo per la strage di Peteano tra denunce e minacce a testimoni di Piero Cerati

Il processo per la strage di Peteano tra denunce e minacce a testimoni Tre carabinieri rimasero uccisi da un'auto-bomba Il processo per la strage di Peteano tra denunce e minacce a testimoni In un esposto dei difensori (inviato anche a Leone) si ravviserebbe il reato di omissione di atti d'ufficio a carico del p.m., del presidente e del colonnello Mingarelli - Un clima di tensione durante l'udienza (Dal nostro inviato speciale) Trieste, 9 aprile. I difensori di Badin, Resen e Budicin, tre dei sette imputati per la strage di Peteano (un'auto-bomba uccise tre carabinieri) hanno inviato al presidente Leone, al Consiglio superiore della magistratura, al procuratore generale di corte d'appello di Trieste ed al presidente del processo d'assise un esposto in cui si ravviserebbe il reato di omissione di atti d'ufficio a carico del pubblico ministero Bruno Pascoli (che ha svolto il ruolo d'accusatore in istruttoria e lo svolge ora nel processo a causa di un trasferimento), del colonnello dei carabinieri Dino Mingarelli, che diresse le indagini, e del presidente del processo in assise, Egone Corsi. "Pista rossa" La denuncia-esposto si basa su questi fatti, che desumiamo dal documento: l'istruttoria continuò contro ignoti anche quando alcuni degli attuali imputati erano già indiziati o denunciati dal «superteste», Walter Di Biaggio; la loro posizione di accusati traspariva dai verbali, ma gli inquirenti continuarono a definirli «testimoni». Sempre secondo l'esposto-denuncia, il pubblico ministero qualificava gli attuali imputati come «denunciati», ma non concedeva loro garanzia alcuna, continuando l'istruttoria contro ignoti. Quanto al col. Mingarelli, egli scelse la pista rossa perché «la più logica e la più naturale» (come ha detto ieri in aula), dimenticando la matrice degli attentati nel Friuli-Venezia Giulia alle linee ferroviarie per la visita di Tito in Italia, al monumento ai caduti a Latisana, a sindacalisti, deputati fascisti, tutti realizzati con esplosivo T4 (lo stesso dell'autobomba di Peteano), e del dirottamento di Ronchi dei Legionari, dove fu ucciso l'estremista di destra Ivano Boccaccio mentre il suo complice, Carlo Cicuttini, segretario del msi di S. Giovanni al Natisone, fuggi e scomparve. La denuncia dice a questo punto: «Il col. Dino Mingarelli aveva attivato le indagini sulla pista rossa per specifica ragion di Stato, cui egli è collegato nella sua qualità di agente del Sid, già Sifar, e in virtù della sua qualifica ideologica, che lo ha proposto come partecipe all'organizzazione eversiva che doveva dar vita al mutamento istituzionale tramite il piano Solo. Si fa espresso riferimento al verbale d'interrogatorio del col. Mingarelli, reso il giorno 23 gennaio 1970 davanti alla commissione d'inchiesta parlamentare sui fatti del giugno-luglio 1964)). In aula, il col. Mingarelli, saputo della denuncia, ha querelato per calunnia i difensori dei tre imputati. L'avv. Battello (difensore) gli ha chiesto se era vero che come ex capo di Stato Maggiore della 1° divisione Pastrengo di Milano agli ordini del generale Marchet era stato interrogato sui fatti del luglio 1960 (che portarono alla caduta del governo Tambroni). Presidente: « Domanda non ammessa ». Battello: «E' vero che il colonnello ammise che gli venne data per il piano dì emergenza Solo, la lista delle persone da vigilare ed egli la suddivise in subliste e disse ai comandanti della legione: "Nessun provvedimento di limitazione della libertà personale dovrà essere adottato, da qualunque parte l'ordine dovesse pervenire, senza una mia conferma personale"?». Presidente: «Domanda non ammessa». La denuncia, cui non si è associato il difensore Pedrone (consigliese comunale dell'msi) ha sollevato scalpore in aula. Il pubblico ministero: «Il processo diventa un basso comizio di piazza. A che cosa tende tutto ciò? A Salerno l'abbiamo visto: là il tumulto, qui la denuncia. Ma io tirerò in campo qualcuno, porterò una persona che rivelerà chi fa le minacce e allora procederò, non mi fermerò perché si vuole colpire le istituzioni, lo Stato». I lati oscuri E' intervenuto l'avv. Pascoli (parte civile, segretario di sezione del msi, parente del p.m.): «Sì vuole che i carabinieri vadano in carcere e i criminali in liberta». In risposta, Pedrone gli ha detto: «Vogliamo sapere la verità sui lati oscuri, il perché la pista rossa venne abbandonata. Camerata Pascoli, non chiami criminali gli imputati. L'atmosfera è troppo tesa, per parte mia non condivido le motivazioni dell'esposto contro le autorità ». Sembrava ritornata la calma, quando sono entrati i testi che dovranno deporre nei prossimi giorni. Il p.m. si è rivolto a Amorina Drusian e le ha detto: «Racconti chi le ha fatto visita». Drusian: «E' venuto a casa mia un giovane sut trent'anni, e mi ha detto che era l'assi¬ stente di un avvocato difensore. Mi ha spiegato che mio marito, ora in prigione a Capodistria per un litigio con un benzinaio, aveva detto il falso in istruttoria e che se si presentava al processo sarebbe stato arrestato. Doveva farsi fare un certificato medico per evitare di deporre. Non ricordo il nome dell'avvocato da cui dovevo recarmi per avere istruzioni prima di venire qui a testimoniare. Stamane ho rivisto il giovane nel cortile della corte d'assise, ma in aula ora non c'è». Nuovo clamore, la difesa chiede che i testi, anche quelli che si sono dichiarati ammalati, vengano portati a deporre. «Manderemo loro i carabinieri», ha detto il presidente. «Ma non si può dare incarico alla polizia?», ha ribattuto l'avvocato Pedrone. «I carabinieri ho detto — ha gridato il presidente —ma per ottenere silenzio devo sparare in aria?». Quando il col. Mingarelli è tornato a deporre si è parlato dell'esplosivo usato a Peteano, il T4. Presidente: «Risulta che il gruppo andò a cercare esplosivo sotto il ponte di Pieris, pur avendo già il T4 in casa a disposizione. Perché? ». Mingarelli: «A questo proposito ebbi dei dubbi. Ho una mia interpretazione personale, non sorretta da prove». La difesa: «Senza prove non può parlare». Il colonnello ha poi detto che il blocco di T4 (esplosivo plastico) acquistato, secondo i l'accusa, da Resen in Svizzera, aveva già l'innesco col fulminato di mercurio. Registrazione Difesa: «Ripeta quanto ha detto». Mingarelli: «Cioè, aveva il foro per introdurre il fulminato, il detonatore». La registrazione convalida però la | prima affermazione del colon| nello, da cui si dovrebbe dei durre che Resen e il compi ice J Di Biaggio viaggiarono pei | 700 chilometri con l'esplosivo I innescato sul camion, poi lo tennero per mesi nel pavimento dell'entrata, in casa della Mezzorana. «A proposito di Maria Mezzorana — ha poi detto l'avvo¬ cato Pernot, facendo riferimento all'alibi dell'imputata —. Colonnello, lei le chiese con chi si appartò sino alle 22 del 31 maggio 1972, sera dell'attentato?». P.M.: «Ora si vogliono rovinare le famiglie». Mingarelli: «Non lo volle dire». Mezzorana: «Se è indispensabile posso rivelarlo. Io sono stata fuori con gente dal nome grandioso, ma dirò tutto, proprio tutto», si alza di scatto, trattenuta dagli altri imputati. L'avv. Battello ha poi chiesto a Mingarelli se sapeva che ad Aurisina, presso Trieste, era stato trovato un quantitativo di T4. «Sì lo so — ha risposto il colonnello — non ricordo però quanto. Consulterò gli atti». Battello: «Nelle indagini sul dirottamento fascista di I Ronchi dei Legionari, lei ac, certo che la vittima. Ivano I Boccaccio, aveva una "500" bianca?». Presidente: «Domanda non I ammessa». Battello: «La voce di Bocj caccio, registrata durante il i fallito dirottamento, fu messa a confronto con quella dell'anonimo che telefonò per l'attentato di Peteano?». Presidente: «Domanda non ammessa, l'episodio di Ronchi è vincolato al segreto istruttorio». Mingarelli ha poi parlato del colloquio avuto con il giudice D'Ambrosio per le presunte rivelazioni fatte dal Ventura sulla strage di Peteano («Non emerse nulla»), sulle fotografie d'un gruppo di destra udinese inviate a Milano («Anche qui c'è segreto istruttorio») e tra le quali mancava quella «di un certo Viani, biondo, occhi azzurri, come il giovane descritto da Ventura per il caso Peteano» ha detto Battello. E' stato fatto anche riferimento al traffico d'armi, all'uso del tritolo e al movente che avrebbe spinto Resen all'attentato. le indagini Avv. Magnacco, difesa: «Nei verbali si legge che Resen voleva vendicarsi per le continue perquisizioni dei carabinieri. In che cosa consistevano queste perquisizioni? ». Mingarelli: «Gorizia è piccola e ì carabinieri tengono d'occhio chi commette qualche irregolarità. Sul Resen ho un particolare: il 28 ottobre 1971 un carabiniere, forse con eccessivo fiscalismo, lo arrestò perché doveva pagare un'ammenda, (n.d.r.: 10 mila lire, secondo l'avvocato difensore). Il giovane chiese di essere lasciato libero per procurarsi il denaro. Il carabiniere rifiutò. 1 suoi parenti pagarono poco dopo ed egli riebbe la libertà ». Il colonnello ha poi spiegato le indagini svolte per identificare due auto messe in relazione con l'attentato. Battello: «Vennero fatti accertamenti in Svizzera nel cantiere dove fu co'mperato il Ti?». Mingarelli: «Accertamenti non se ne poterono fare perché occorreva agire attraverso i canali diplomatici o l'Interpol. La gendarmeria elvetica ci mise in contatto, gentilmente, con quel cantiere». Battello: «Nei verbali risulta che Badin era noto a Gorizia come esperto capace di preparare un congegno esplosivo o elettrico. Chi lo rivelò ai carabinieri?». Mingarelli: «Il gruppo carabinieri di Gorizia mi fornì le indicazioni. Lo disse anche l'imputato Budicin. Comunque, secondo me, per innescare il T4 occorre una persona molto capace; se l'esplosivo invece è già innescato, per maneggiarlo è necessaria una conoscenza inferiore». A questo punto, l'imputato Resen ha chiesto la parola: «Si è detto e ripetuto che io avrei fatto un viaggio in Svizzera per comperare il Té in un cantiere. Chiedo dì essere messo a confronto con il presunto venditore svizzero». Presidente: «La richiesta a verbale». Domani parlerà il superteste Di Biaggio. Piero Cerati