Un sorso d'acqua per i "Rendille" di Gabriella Poli

Un sorso d'acqua per i "Rendille" Il popolo che muore di sete Un sorso d'acqua per i "Rendille" Un prete e cinque ragazzi vogliono salvare 35 mila uomini da un'orribile fine Nato in vai Camonlca; 40 anni, prete da 15, missionario da 5 e da 2 anni e mezzo confinato per propria volontà In un deserto kenyota a condividere l'agonia di un popolo nomade, 1 Rendine. Questo è padre Redento. Ieri sera ha parlato al torinesi nel salone dell'Istituto S. Paolo. Ha la voce scabra, le parole gli escono con un po' di fatica come capita a chi da tanto tempo non parla più la propria lingua. Tra la sabbia Infuocata di Korr, In mezzo alia più misera tribù africana, è solo. I lettori de La Stampa lo conoscono da uno scritto sconvolgente a Specchio dei tempi dove ringraziava di una somma che gli avevamo mandato. Foca cosa. «Ma sapeste quanti bambini ho potuto tenere in vita con quel denaro. Ho comprato una cisterna da acqua per attaccarla alla macchina e con l'acqua le madri hanno potuto intridere un po' di farina». I Rendine sono 35.000; abitano una riserva di 40.000 chilometri quadri che è savana e deserto. Sempre vento e sole; ustioni di giorno e freddo di notte. Non piove dal 1968. I pozzi sono quasi tutti prosciugati. Le donne più giovani fanno 25-30 chilometri per andarsi ad accoccolare, con 1 figli sulle spalle, accanto al pozzi. Di notte, quando riescono, attingono un otre per una e riprendono la strada verso le manyatte, i gruppi di capanne dove gli uomini vegliano il poco bestiame — cammelli e capre — decimato dalla siccità. II cammello dà latte e porta acqua, purché abbia acqua da bere. Se c'è il cammello questo popolo vive con un po' di latte, un po' di farina (cruda se non ha forza di andare a cercare legna) e le radici dei cespugli di spine. Se non c'è più 11 cammello, ad uno ad uno, prima i bambini, poi gli adulti, muoiono tutti. Di fame e di sete; ma anche per altre cose: morsi di serpenti e di scorpioni, assalto di leoni, malaria, tubercolosi, carbonchio, disidratazione, broncopolmonite. Non conoscono la scrittura, la ruota, la leva, Il lavoro. Sono fermi all'età della pietra. Da due anni e mezzo Redento è con loro. Vive e mangia come loro. Li cura andando a comprare farmaci e farina a centinaia di chilometri di distanza. Dorme per terra, due o tre ore per notte, pronto in qualsiasi minuto ad accorrere ovunque sia chiamato. Da solo, con un trattore, ha aperto decine di chilometri di piste; da solo ha tentato di arare la sabbia per se- minare sulla terra sottostante. Il sole ha bruciato tutto. La gente continua a morire. Redento ha raccontato tutto questo nelle lettere ai familiari e agli amici che gli mandano aiuti. Un diario dove la «collera dei poveri» esplode, grida, fustiga. «La donna mi buttò in braccio il bimbo continuando a urlare. Potei solo raccogliere gli ultimi rantoli di quel mio fratellino. Riportai la madre alla sua capanna e sotto la cenere seppellii suo figlio, com'è costume tra i Rendille. Al ritorno entrai nella capanna di Gesù e non seppi dirgli nulla perché una massa di sofferenza mi faceva nodo alla gola. Era luna di notte; l'ora del ritorno, per chi vive nel mondo del benessere, dai più svariati divertimenti. O meglio, anche là il ritorno da una sepol- tura. La sepoltura dell'amore, del grido di fame dei fratelli, del tormento disperato di tanti senza casa, senza pane, senza acqua, senza salute, senza speranza... Tutto questo perché la parola fratello è vuota per chi sta bene. Non vi sarà mai giustizia fino a che non vi sarà la vergogna di essere felici senza gli altri, di progredire da soli». Le lettere sono raccolte in due opuscoli. Cinque ragazzi sui 20 anni l'estate scorsa hanno scritto al missionario: «Siamo studenti in medicina. Possiamo essere utili?». Lui ha risposto: «Ci sono due capanne per voi». Cosi Alessandro Bargoni, Mario Neirotti, Enrico Turbil, Fausta Plgnatelll e Consuelo Valenbinl sono partiti per Korr e hanno vissuto tre mesi nell'inferno. Dicono: «La siccità uccide milioni di uomini, a noi è bastato vederne morire alcuni per impegnarci a trovare il modo di salvare i Rendille». Sono tornati a casa dopo 90 giorni di fatica e di angoscia. Da allora non c'è porta a cui non abbiano battuto; si sono fatti anche mendicanti per le strade. I tecnici hanno detto: « Occorrono 10 pozzi, 10 pompe, 4 gruppi elettrogeni, 10 serbatoi, 4 mesi di lavoro, 100 milioni di lire ». Padre Redento ha commentato in una lettera: «Cifre così elevate, le nuvole che se ne vanno col vento e ogni giorno che passa senza pioggia, sono un poco di speranza in meno per questi fratelli che continueranno a morire sema sapere che avrebbero potuto vivere diversamente se il mondo avesse avuto un poco più d'amore». I giovani hanno raccolto, in sei mesi, poco più di 6 milioni. Una inezia. Allora hanno pensato che solo se Redento avesse parlato la gente avrebbe potuto capire Ieri sera il montanaro della Val Camonica ha parlato e mostrato le immagini della tragedia. Trentacinquemila creature aspettano un sorso d'acqua dalle sue parole, come ieri dalle sue mani. Gabriella Poli II missionario padre Redento