Saragat e i suoi seguaci non entrano in direzione

Saragat e i suoi seguaci non entrano in direzione Psdi: queste le decisioni della sinistra Saragat e i suoi seguaci non entrano in direzione Lasceranno alla maggioranza Tanassi-Orlandi-Preti la responsabilità di gestire il partito - L'ex Capo dello Stato diventato leader della sinistra (Nostro servizio particolare) Roma, 9 aprile. Saragat e la sinistra socialdemocratica resteranno nel psdi, ma non entreranno in direzione ponendosi, quindi, in posizione critica ed autonoma rispetto alla maggioranza Tanassi - Orlandi - Preti, alla quale lasceranno la responsabilità di gestire il partito, «incalzandola da vicino». Questa decisione è stata presa oggi nella riunione della corrente «democrazia socialista», durata oltre quattro ore, a tratti con vivaci discussioni, nello studio di Saragat, che l'ha presieduta, al quarto piano della sede del psdi, proprio per sottolineare che non ci sarebbe stata scissione. Saragat, che al congresso di Genova s'era presentato come difensore della minoranza di sinistra, oggi ne ha assunto ufficialmente la guida. «Vedo alcuni di voi accorati per ciò che è accaduto a Genova — ha premesso — io sono deciso a continuare con fermezza e con il massimo d'energia e d'impegno la battaglia nel partito». A Genova l'alleanza Tanassi-Preti aveva falcidiato la sinistra, riducendola da almeno 26 seggi a soli tredici nel comitato centrale, mentre la destra ha ottenuto, con i voti tanassiani, sedici posti e la maggioranza ne ha avuto settantadue. Attorno a Saragat sedevano Ferri, Romita, Ariosto, Longo, Di Giesi, Belluscio, Jannelli, Porro, Averardi, Buzio e Barbera (parlamentari di Alessandria), Galluppi, Garavelli, Cirielli, Martoni, Moroni, Panzini (Torino) e Bianchi. Dopo l'invito di Saragat a restare nel partito, s'è aperto il dibattito. Tutti concordavano sulla linea di fondo, mentre vi sono state divergenze sull'opportunità di entrare in direzione, come chiedevano Ferri e Longo, o di restarne estranei, come sostenevano Romita e DI Giesi. Ha prevalso quest'ultima tesi, perché «non esistono le condizioni, come dice un comunicato, per far parte deidirezione». I saragattiani si batteranno nel comitato centrale, che terrà la sua prima riunio¬ nlstrCBV(csSgcvl ne dopo Pasqua, e in tutte le federazioni e sezioni del pasdi in Italia. Controllano ventisette federazioni: Aosta, Torino, Alessandria, Asti, Cuneo, Como, Sondrio, Lecco, Pavia, Brescia, Bolzano, Pordenone, Verona, Padova, Bologna (culla del socialismo democratico), Arezzo, Grosseto, Pisa, Perugia, Terni, Viterbo, Salerno, Avellino, Bari, Foggia, Cosenza e Cagliari. Mentre la riunione era in corso, ed anche dopo, giungevano continue telefonate dalla «base», molte per chiedere l'immediata scissione: Saragat e gli altri hanno persuaso gli iscritti a non prendere decisioni affrettate, a rimanere nel partito. Proprio di questi«casi di coscienza», hanno riferito nella riunione Belluscio, Galluppi e Averardi. Ferri ha detto che il congresso ha dimostrato le differenze politiche fra «democrazia socialista» e maggioranza e ha spiegato che obiettivo della sinistra «è contrastare con tutte le forze il disegno involutivo e moderato in relazione alla prova del referendum che vedrà il massimo impegno di tutta la corrente». Romita ha chiesto un'«a2ione dura», ha condizionato «un minimo di collaborazione ad una prova di buona volontà della maggioranza che non può che consistere nella modifica dello statuto in senso proporzionalistico». Le differenze viste da Cariglia fra la linea Saragat e quella sua e di Ferri sono, per Romita, «fantasie»: la sola diversità è che Saragat è stato, «suaviter in modo, fortiter in re» e forse «noi abbiamo tralasciato il "suaviter". La nostra compattezza è rinsaldata dalle angherie compiute ai nostri danni». Il documento finale, approvato all'unanimità, spiega che lo statuto maggioritario fu «creato in un momento di emergenza dopo l'ultima scissione». «Quando si è in guerra anche i Paesi più democratici impongono ai cittadini impegni — compreso quello di morire per la patria — che vengono eliminati al ritorno della pace». A Genova, prosegue il documento, «la maggio¬ ranza, ferendo la minoranza, ha ferito il principio fondamentale della democrazia: ciò è grave non soltanto per il psdi, ma per la democrazia italiana alla cui difesa non si può partecipare con efficacia se in casa propria il principio democratico viene rinnegato». E ancora: «Questa situazione, lungi dal consigliarci di assecondare i propositi di emarginazione dei dirigenti attuali del partito, ci consiglia, anzi ci impone, il dovere dell'interesse superiore del Paese di continuare la nostra battaglia entro il psdi per contrastare il disegno di un'operazione politica involutiva e sostanzialmente antidemocratica, che porrebbe il partilo al di fuori della sua tradizione e dei princìpi del socia- \ lismo democratico, collocandolo in una posizione ed assegnandogli un ruolo incompatibile con una coerente politica di centro-sinistra». Il documento si chiude con un appello perché «i compagni, vincendo la sfiducia rimangono fedeli al partito ». Lamberto Fumo