Parla la vedova di Toha

Parla la vedova di Toha Suo marito, ministro di Mende, s'è ucciso in carcere Parla la vedova di Toha Lo ha visto in cella prima del "suicidio": era ridotto in condizioni pietose - Denutrizione, isolamento, una benda sugli occhi per giorni - Ai funerali la gente gridava: "Il popolo ti vendicherà" • Appello della moglie di un altro ministro incarcerato (Dal nostro inviato speciale) Santiago, 8 aprile. «Al funerale avevo chiesto che non si gridasse. Qualcuno disse a voce alta: "Compagno José Toha, chi ti ha assassinato?". "Il fascismo", risposero tutti gli altri. "Chi ti vendicherà?", "Il popolo". C'erano Laura Allende, Aniceto Rodriguez, le mogli dei detenuti di Dawson. C'erano quattromila persone, Levarono in alto i pugni chiusi. Nella cappella di famiglia, i necrofori stesero la bandiera cilena sulla bara di Pepe. Sentii intonare l'inno nazionale. Io non dicevo niente. Non potevo, Quel giorno. Mi restava tutto dentro. All'uscita dal cimitero militari fermarono delle persone». La vedova di José Toha, Raquel, adesso ricorda così, con voce ferma, quella domenica 17 di marzo, quando accompagnò per l'estremo saluto suo marito, ex vicepresidente della Repubblica, ex ministro degli Interni, ex ministro della Difesa, ex senatore socialista. E' una donna giovane, smagrita ma non esile. Sta seduta nel soggiorno dell'appartamento a pianoterra dove ha vissuto nove anni, quattro o cinque stanze in affitto nel quartiere alto, sotto la Cordigliera. Le pareti lasciate libere dalla biblioteca sono coperte di targhe, diplomi d'onore: tutti omaggi delle forze armate cilene. Un piatto d'argento reca al centro la scritta incisa: «Con attenta stima, al signor ministro della difesa José Toha. Generale Augusto Pinochet». «L'ultima volta che vidi mio marito vivo fu in una stanzetta dell'ospedale militare della forza aerea, a Santiago. Stava a letto e un'estrema debolezza gli impediva di alzarsi. Pesava ormai 54 chili, lui che era alto un metro e 95. Vedeva a fatica, per i giorni e giorni passati bendato. Visibilmente, il suo sistema nervoso era stato spezzato, dalla pressione psicologica, dagli interrogatori estenuanti, dalla cattiva alimentazione. Abbracciando nostro figlio, che porta il suo stesso nome e ha cinque anni, pianse. In condizioni normali non lo avrebbe mai fatto». Da questa casa José Toha uscì la mattina dell'undici settembre, alle nove del mattino, per accompagnare il presidente Salvador Allende alla casa di governo. «Era sconfortato, ma forte come sempre, sereno malgrado tutto». Alla moglie, che affettuosamente chiamava Mai, disse che le avrebbe fatto sapere qualcosa. Comunque stesse con l'orecchio alla radio. La signora Toha aveva lavorato con Unidad Popular, come tutte le mogli degli altri ministri. Allende l'aveva incaricata dell'organizzazione delle donne. Ha vissuto anche lei di politica. Accompagnò il marito alla porta, lo abbracciò e basta. «Il quindici settembre, un sabato. José fu trasferito insieme ad altri ministri, funzionari del governo e parlamentari di "Unidad Popular" a Dawson, l'isola del Sud che egli stesso aveva acquisito alla marina da guerra nazionale quando era stato ministro della Difesa. Vi restò fino al ventiquattro novembre, quando in seguito a una violenta depressione nervosa fu ricoverato nel centro sanitario militare di Punta Arenas. Aveva già perduto dieci chili. Un mese di ricovero non gli fu d'alcun giovamento. I medici parlarono di denutrizione. Ebbi modo di vedere con i miei occhi la loro diagnosi, nelle quattro occasioni in cui per soli pochi minuti mi permisero di incontrare mio marito». Tornata a Santiago, Raquel Toha scrisse al ministro della Difesa, ammiraglio Patricio Carvajal, chiedendogli di autorizzare il marito a restare in ospedale fin quando non avesse recuperato un normale stato di salute. La lettera non ebbe risposta. José Toha fu rincondotto a Dawson. Soltanto in febbraio, quando il suo peso era sceso di altri 12 chili, l'ex ministro rientrò in ospedale, stavolta nella capitale, per intervento del generale Arellano Stark. In quindici giorni, curato da una équipe specializzata, Toha recuperò un chilo e mezzo. Lo perdette in due giorni, appena trasferito all'accademia di guerra della forza aerea per essere ancora interrogato. Dovettero ricoverarlo nuovamente. «Fu in questa circostanza che mi resi conto come Pepe stava subendo un trattamento psichiatrico. Però continuavano a interrogarlo, per iscritto e verbalmente, in condizioni di assoluto isolamento. Mio marito non aveva malattie, ma il trauma nervoso provocato dalla sua situazione era tale che può averlo indotto a un estremo sacrificio. Almeno, questa è l'unica ipotesi che posso fare sulla base di quanto conosco per certo. Esiste un certificato medico che parla di suicidio: per la famiglia non si tratta di un suicidio ma di una immola¬ zione, di un ultimo atto di ribellione a un trattamento inumano di cui José non è che una delle innumerevoli vittime». Dall'uscio della cucina si affaccia il piccolo José, la faccia dolce e il corpo magro, una copia del padre. La signora Toha s'interrompe. Entra un'amica di famiglia, è la moglie di Lucio Mate, anch'egli confinato a Dawson. Conduce per mano Carolina, la maggiore dei due figli dei Toha, che ha appena compiuto otto anni. I bambini domandano quando partiranno per il Messico, dove il presidente Echevarria ha invitato la vedova Toha. «Aspettiamo di avere i documenti a posto e di sapere degli zìi», risponde loro la madre. Dei due fratelli di José Toha, Gregorio è agli arresti domiciliari nella nativa Chillan, Jaime è a Dawson per essere stato durante due mesi ministro dell'Agricoltura di Allende. «Devo proteggere questi due pulcini, adesso», dice la signora Raquel guardando i due figli; «ma la ragione della mia vita sarà quella stessa di mio marito». Livio Zanotti (l.z.) Ecco il testo di una lettera inviata al gen. Pinochet, e per conoscenza agli altri membri della giunta e ad alcuni ministri e generali, dalla moglie di Clodomiro Almeyda, che fu ministro degli Esteri e degli Interni con Allende, attualmente detenuto nell'accademia di guerra della forza aerea, a Santiago. La lettera è del 22 marzo. Signor presidente, voglio porla a conoscenza del fatto che mercoledì 20 u.s. a titolo eccezionale e per la prima volta dal 20 febbraio passato, mia suocera ed io siamo state autorizzate a visitare mio marito. Devo dirle che l'ho incontrato in uno stato pietoso e che ferme le attuali condizioni possono temersi per lui le peggiori conseguenze. Mio marito ha fame, secondo quanto egli stesso mi ha detto e inoltre basta guardarlo per rendersi conto della sua estrema magrezza. Il giudice istruttore signor Otaìza mi ha fatto presente che l'alimentazione è limitata da «problemi d' bilancio». Mio marito ha freddo e non gli è permesso usare i suoi abiti pesanti per «ragioni di sicurezza», dono nostante, usa una cinta. E' stato visitato da medici che gli hanno ordinato sedativ'. per dormire. Non glieli hanno dati perché secondo il giudice istruttore «non li ha chiesti». Però tengono mio marito con gli occhi bendati, non so se tutto il giorno. Non se se ha la possibilità materiale di chiedere questi sedativi o altre medicine. Il signor Otaiza non lo sta interrogando, né verbalmente né per iscritto. Mi ha detto di «non avere tempo per farlo, ultimamente». Nondimeno mantiene mio marito in isolamento. Mio marito si incontra «sottoposto» al giudice istruttore signor Otaiza secondo la comunicazione ufficiale di costui e nelle condizioni già esposte fin dal 20 febbraio scorso. Signor generale, sono sicura che lei non è al corrente della situazione in cui si trova mio marito. Considerandola di estrema gravità mi premuro di rendergliela nota perché siano prese le necessarie misure. Non voglio che un giorno si possa dire che io non avvertii opportunamente del corso delle cose coloro i quali avevano l'autorità per porvi rimedio. Infine le sollecito autorizzazione per visitare periodicamente mio marito, ciò che gli è assolutamente indispensabile per conservare il suo equilibrio psichico, e per portargli vitto, abiti e medicine. La saluta distintamente, Irma Caceres de Almeyda.

Luoghi citati: Messico, Santiago