I pescatori corsi sparano a zero di Filiberto Dani
I pescatori corsi sparano a zero Al processo dei "fanghi rossi,, I pescatori corsi sparano a zero Sostengono d'aver catturato 47 tonnellate di pesce in meno tra il 1972 e il 1973 - La Montedison respinge in blocco l'accusa (Dal nostro inviato speciale) Livorno, 5 aprile. Allora, è vero o non è vero che i «fanghi rossi» affondati in mare dalla Montedison di Scarlino hanno messo in fuga i pesci dall'Alto Tirreno? Jacques Fusella, 58 anni, presidente della «Prud'homie» di Bastia, l'associazione dei pescatori locali, risponde che è vero. Basso, tozzo, il viso segnato dalla salsedine (va per mare da quarant'anni), l'anziano pescatore corso apre in pretura la sfilata delle parti lese che portano acqua al mulino dell'accusa. E' la seconda giornata di udienza, e il processo per i « fanghi rossi », disincagliato dalle secche delle questioni procedurali, entra finalmente nel vivo dei fatti che hanno portato nove persone sul banco degli imputati: Eugenio Cefis, presidente della Montedison, sei dirigenti della società, i due comandanti delle navi-cisterna che hanno scaricato in mare i residui della lavorazione del biossido di titanio. I pesci dell'Alto Tirreno, dunque. La Montedison di Scarlino, si sa, si era sbarazzata di tonnellate e tonnellate di scorie a Nord di Capo Corso, in un rettangolo di mare che misurava 16 miglia per 3. I pescatori di Bastìa, allarmati dallo spettacolo di una enorme chiazza rossa che ballava sulle onde, avevano dapprima pensato all'avaria di una nave da carico, costretta a vuotare le stive. Quando era venuta fuori la verità, era scoppiato un mezzo finimondo: i corsi, che sono gente notoriamente poco malleabile, erano passati dalle proteste ai tumulti, al plastico (una carica esplosiva fu fatta brillare a Livorno, sotto la carena di una delle due navi-cisterna della Montedison). Adesso, il pretore Gianfranco Miglietta (trentatré anni, romano, occhiali con lenti forti) vuol sapere da Jacques Fusella se, in conseguenza degli scarichi in mare delle scorie, le reti dei pescatori hanno tirato su meno pesci. Fusella — Quarantasette tonnellate in meno, tra il 1972 e il 1973. Pretore — Come ha ricavato questa cifra? II presidente della «Prud'homie» cava di tasca un foglietto e lo porge al pretore. «E' scritto qui)), dice. Si tratta di un prospetto nel quale sono riportate le cifre mensili del pesce pescato al largo della costa di Bastìa. Fusella — Ci siamo accorti di pescare meno confrontando i quantitativi di pesce portato a terra in quei due anni con quelli degli anni precedenti. Il prospetto spiega tutto: una tonnellata in meno di aragoste, nove tonnellate in meno di acciughe, nove tonnellate in meno di sardine, quattro tonnellate in meno di tonno, e così via. Era una situazione preoccupante, al punto che alcuni nostri pescherecci sono stati costretti a battere un'altra sona di mare, quaranta miglia a Sud di Bastia ». Sfilano davanti al pretore altri pescatori, anche questi in veste di parti lese, ma lo schema delle domande e delle risposte non cambia: tutti lamentano la diminuzione del pesce pescato, ne attribuiscono la causa ai «fanghi rossi», alla loro tossicità. E gli imputati, che cosa dicono? Respingono in blocco l'accusa di aver danneggiato <de risorse biologiche dell'Alto Tirreno))-, gli assenti, come Eugenio Cefis, il presidente, Alberto Grandi, l'amministratore delegato, Giorgio Mazzanti, ex amministratore delegato, Angelo Lorenzi, ex direttore dello stabilimento di Scarlino, Giacomo Lucarini, comandante di una delle navi-cisterna, lo dicono con le dichiarazioni rese durante l'istruttoria; i presenti, che già l'hanno detto, lo ripetono in aula. Ecco Guidobaldo Cevidalli, chimico, addetto allo studio dei problemi ecologici della Montedison: «Fui consultato quando le decisioni operative che riguardavano il sistema di produzione del biossido di titanio e le modalità dello scarico in mare dei residui erano già state prese. Aggiungo, comunque, di non aver ravvisato un pericolo apprezzabile: altre industrie attuavano già quel ciclo». E', grosso modo, la linea di difesa della Montedison, che ha sempre sostenuto (e sostiene) che «sotto il profilo ecologico, lo scarico in alto mare dei residui della lavorazione del biossido di titanio rappresenta quanto di più cautelativo può esserci». A sostegno di questa tesi, la Montedison aggiunge che «su 41 stabilimenti di biossido di titanio esistenti al mondo, solo 9 effettuano lo scarico in alto mare delle scorie, mentre gli altri le smaltiscono nei fiumi o nei mari a livello di costa». Come dire, insomma, che Scarlino è tra gli stabilimenti meno inquinanti. Rapido e conciso l'interrogatorio degli altri imputati. Cesare Bianconi, direttore della Divisione prodotti per l'industria: «Contribuii a migliorare il sistema dello scarico dei residui)). Marco Micarelli, direttore dello stabilimento di Scarlino: «Non competevano a me decisioni di carattere amministrativo. Ero soltanto responsabile del funzionamento degli impianti e della produzione)). Sauro Massimi, comandante di una delle due navi-cisterna (imputato, tra l'altro, di aver deteriorato le acque territoriali della Gorgona): «Mi sono sempre attenuto alle modalità imposte dall'autorizzazione della Capitaneria di porto. E' vero che una volta fermai la nave a ridosso dell'isola della Gorgona, ma non per scaricare le scorte: mi ci aveva costretto il maltempo ». Prossima udienza, mercoledì prossimo. Filiberto Dani
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