Un appello al compromesso
Un appello al compromesso Un appello al compromesso L'« esortazione apostolica » in cui Paolo VI sollecita i cristiani ad aiutare le comunità dì Terrasanta, assistere hi chiesa locale impoverita e declinante, chiedere per Gerusalemme uno statuto di pace che consenta ai seguaci delle tre confessioni monoteiste di sentirsene « pienamente cittadini », nasce da una indubbia e quasi esclusiva sollecitudine religiosa. Lo indicano le parole dell'appello, i problemi pastorali che occupano gran parte del testo, lo spirito davvero ecumenico dell'invito alla pace: sono lontani i tempi dell'aspra concorrenza confessionale. Ma nessun documento sulla Palestina, anche di un'autorità religiosa, può rimanere fuori della politica; e tanto meno è priva di significato politico una presa di posizione del Vaticano sul futuro di Gerusalemme, problema internazionale complesso e irrisolto, ostacolo non meno serio dei confini e dell'equilibrio strategico sulla strada della pace. Gerusalemme vive da oltre un quarto di secolo in un limbo giuridico. Quando spartì la Palestina, l'Onii ne fece un'« isola internazionale »; Israele e Giordania se la divisero, erigendo una linea d'armistizio più chiusa del muro di Berlino. Nel '67 fu nullificata dagl'israeliani, che la confermarono capitale irrinunciabile e indivisibile del loro Stato; ma senza ottenere l'avallo internazionale, la rassegnala accettazione degli arabi, il consenso delle autorità religiose. Ed il rispetto d'Israele per tutti i culli non soddisfa né i musulmani né le Chiese cristiane, forti d'una millenaria eredità spirituale e storica. Soltanto un « processo di convergenza » tra i molti diritti contrastanti (secondo la bella immagine di Paolo VI) può riportare la pace nella città santa. Il vecchio ordine dell'Orni, mai revocato, rimarrà lettera morta: è fuori della realtà, e sarebbe rischioso, fare di Gerusalemme un corpo separalo, una seconda Danzica. Gerusalemme non può essere divisa, come Berlino; non dev'essere tolta agl'israeliani, ma neppure se ne possono escludere gli arabi. Occorre inventare, con fantasia e coraggio, un compromesso nuovo che la maggioranza degli ebrei è pronta a discutere: forse costruito su una parziale « co-sovranità » arabo-israeliana in Gerusalemme e uno statuto di extra-Ierritorialità per i luoghi santi ed i loro custodi. Le indicazioni suggerite dal Carlo Casalegno f Continua a pagina 2 in quinta colonna)
Persone citate: Carlo Casalegno, Paolo Vi
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