I pescatori corsi sbarcano a Livorno e accusano i fanghi rossi Montedison di Filiberto Dani

I pescatori corsi sbarcano a Livorno e accusano i fanghi rossi Montedison Il processo agli scarichi che avvelenano il Tirreno I pescatori corsi sbarcano a Livorno e accusano i fanghi rossi Montedison Nella notte hanno compiuto la traversata con una motobarca - Si sono costituiti parte civile contro la società con i colleghi di Viareggio - Il pretore non ha ammesso la costituzione per il risarcimento danni della Camera di Commercio di Ajaccio e dei comuni di Nizza e Marsiglia (Dal nostro inviato speciale) Livorno, 4 aprile. Non si era mai vista tanta gente come per questo processo per i «fanghi rossi» nella piccola aula d'udienza della pretura di Livorno. C'erano i principi del foro di mezza Italia (mobilitati dall'imputata Montedison), una folta schiera di patroni di parte civile, i pescatori viareggini, livornesi e corsi (questi ultimi venuti apposta dall'isola con un peschereccio), gli inviati speciali dei più importanti quotidiani francesi, un drappello di giornalisti italiani, un nugolo di fotografi. Stavano tutti in piedi, uno addosso all'altro, tanto pochi erano lo spazio, le sedie, i tavoli. C'era, invece, il non ipo\ tetico rischio che il pavimento sprofondasse perché quell'aula, al terzo piano del vetusto palazzo di giustizia, era piena di crepe che non promettevano niente di buono. L'ordine di sgombero è arrivato non appena il pretore, Gianfranco Viglietta, si è reso conto che in quelle condizioni non era possibile amministrare la giustizia. Il processo contro «Eugenio Cefis più otto» è così traslocato nell'ampio salone della corte d'assise, al piano terreno, e qui ha finalmente cominciato a muovere i primi passi sul terreno delle eccezioni preliminari. Sono assenti tre dei nove imputati: Eugenio Cefis, presidente della Montedison, Alberto Grandi, amministratore delegato, e Angelo Lorenzi, ex direttore dello stabilimento di Scarlino. Rispondono invece all'appello: Giorgio Mazzanti, ex amministratore delegato della società, Marco Micarelli, attuale direttore dello stabilimento, Cesare Bianconi, direttore della divisione prodotti per l'industria, Guidobaldo Cevidalli, funzionario addetto ai problemi ecologici, e i comandanti delle due navi cisterna della Montedison, Giacomo Lucarini e Sauro Massimi. La pubblica accusa, si sa, fa loro colpa di aver danneggiato le risorse biologiche dell'Alto Tirreno, e del Mar Ligure «immettendo in queste acque, mediante le navi cisterna Scarlino I e Scarlino II, sostanze tossiche derivanti dai residui della produzione di biossido di titanio». Non è cosa da poco: se l'accusa sarà provata il massimo (teorico) della pena che potrebbe colpire i nove imputati sarebbe di due anni di carcere. Ma la difesa (otto illustri avvocati: Giuliano Vassalli, Domenico Pisapia, Giovanni Gelati, Umberto Garaventa, Cesare Pedrazzi, Antonio Mucciarelli, Ugo Politi ed Enrico Vicentini) è fin dalle prime battute baldanzosa e fa sapere che respinge l'imputazione, e anzi contesta la cittadinanza della parte civile in questo processo. Chi rappresenta la parte civile è presto detto: una cinquantina di proprietari di pescherecci di Viareggio e Livorno, il consiglio dipartimentale della Corsica, la «Jeune Chambre Economique» di Ajaccio, le municipalità di Marsiglia e Nizza. Tanta presenza francese è spiegata dal fatto che le navi cisterna della Montedison hanno scaricato, a Nord di Capo Corso, in un rettangolo di mare che misura 16 miglia per 3, tonnellate e tonnellate di residui di biossido di titanio, tutte sostanze che diventano rosso sangue a contatto con l'acqua. Sostiene la difesa: la parte civile non ha ragion d'essere perché nessuno può lamentare un danno specifico, non ci sono persone offese, né i pescatori né tanto meno le municipalità di Marsiglia e Nizza che sono lontane da quelle zone di mare. Replica la parte civile: la difesa ha torto perché i fanghi rossi uccidendo organismi marini e distruggendo il plancton hanno messo in fuga i pesci (« Mancu più baccalà per Corsica »), scrisse Nice Matin con un'espressione ripresa dall'antica lingua locale) e hanno attentato all'integrità delle spiagge. La disputa tra le toghe avversarie è andata avanti fino a tarda ora della sera e non è stata che un assaggio di quella cui assisteremo quando i periti d'ufficio e i consulenti di parte, che il pretore ha convocato per mercoledì prossimo, si troveranno faccia a faccia. I primi sostengono che lo scarico in mare delle scorie ha provocato una diminuzione del pesce azzurro (acciughe, sardine, sgombri): « Nel triennio 1969-71 — affermano — le reti dei pescherecci tiravano su, ogni ora, quasi 35 chili di pesce azzurro. Nel 1972-73, anno in cui la Montedison ha affondato i residui di Scarlino, quel quantitativo si è ridotto della metà ». « Storie — rispondono i consulenti di parte — Il triennio 1969-71 è stato eccezionale per i pescherecci e non è riproducibile. Le statistiche parlano chiaro: dicono che dal 1961 al 1969 la quantità di pesce azzurro pescato in quel tratto di mare coincide con quella catturata dalle reti nel 1972-1973. Il pesce se ne è andato per altre cause: migrazione, dispersione degli sciami, azioni delle correnti ». Chi ha ragione? Per ora non si sa. Alle 9,30 di stasera il processo (che continuerà domani con l'interrogatorio degli imputati) è arrivato ad un primo punto fermo: il pretore, dopo aver meditato due ore in camera di consiglio, ha ammesso la costituzione di parte civile soltanto per i singoli pescatori di Livorno, Viareggio e Bastia. Restano fuori processo il Consiglio dipartimentale della Corsica, la Jeune Chambre Economique di Ajaccio, le municipalità di Marsiglia e Nizza. Filiberto Dani Livorno. Il pretore Viglietta in apertura di udienza (Ap) nbs