Marzollo, calmissimo, assicura "A vrei potuto sistemare fatto" di Giuliano Marchesini

Marzollo, calmissimo, assicura "A vrei potuto sistemare fatto" L'ex banchiere si è finalmente presentato in aula Marzollo, calmissimo, assicura "A vrei potuto sistemare fatto" "Se mi avessero lasciato a sedere su quella poltrona che ho dovuto abbandonare, adesso sarei a posto: avrei pareggiato" - Ha sostenuto che trasferendo denaro in Svizzera non intendeva sottrarre niente a nessuno (Dal nostro inviato speciale) Venezia, 4 aprile. Attilio Marzollo ha fatto una sorpresa a tutti: questo pomeriggio ha rotto gli indugi, ha lasciato di slancio il carcere di S. Mari:. Maggiore ed è comparso nell'aula del tribunale in cui si rievoca la sua storia cosparsa di cifre a nove zeri, di lettere d'accredito, di estratti conto e titoli fantasma. Per cinque udienze questo processo è andato avanti senza Marzollo, attraverso i lunghi interrogatori degli imputati «minori». All'apertura del dibattimento, la gente si assiepava dietro la transenna: aspettava di vedere l'ex agente di cambio la cui frenetica attività procurò una specie di terremoto in Borsa e scavò buche profonde nel campo finanziario. Ma Attilio Marzollo è mancato all'appuntamento, ha preferito rimanere tra le solide mura della sua cella. Oggi, l'improvvisa decisione. Il finanziere veneziano compie in motoscafo il breve tragitto dal carcere al palazzo di giustizia, lungo il Canal Grande su cui già parecchi turisti si cullano in gondola. Lo accompagnano gli avvocati Devoto e Stochino. Marzollo arriva al pontile, scende a fatica, infagottato in un cappotto color cammello, e cammina un po' curvo in mezzo ad un cerchio stretto di carabinieri. «Speriamo in bene», sospira l'ex agente di cambio, poi infila la scala che conduce al tribunale. Quando Attilio Marzollo fa il suo ingresso in aula, nel settore riservato al pubblico ci sono dodici persone. Il «signor miliardo» si guarda attorno un poco sollevato, quindi va a sedersi remissivo davanti ai giudici. Prova con un colpetto di dita il funzionamento del microfono, infine si dispone all'interrogatorio. Il presidente gli chiede se intende rispondere alle sue domande. « Ma sì, certamente». Si dà quindi lettura del capo di imputazione. Questa è la fila delle accuse per l'ex agente di cambio: falso, truffa, bancarotta fraudolenta, documentale e semplice. Il presidente gli ricorda che durante l'inchiesta non collaborò molto con i magistrati. Ora lo sollecita: «Si faccia coraggio, ci dica come si difende di fronte a queste imputazioni». Marzollo — scusi, signor presidente, io non sono pratico di queste cose. E' la prima volta che vengo qui. Le dispiacerebbe ripetermi per favore le accuse? Il dottor La Monaca rilegge, pazientemente. Poi riprende il colloquio. La prima contestazione che Attilio Marzollo affronta è quella di aver sottratto capitali. Marzollo — Senta, a proposito del mio conto in Svizzera, devo precisare che l'apertura risale al 1963. Quel deposito mi serviva prima di tutto come fondo di sicurezza, poi per il movimento di titoli con le banche elvetiche. I titoli, però, erano sempre italiani. Verso la fine di maggio del 1971 trasferii circa 300 milioni in assegni circolari, dando l'incarico di rimetterli ad un istituto di credito di Zurigo». Presidente — Va bene, questi sono trecento milioni. E il resto. Marzollo — Mi pare di aver fatto pervenire nel 1969 alla stessa banca del denaro per acquistare azioni in Italia. Io | mandavo i soldi, l'istituto el¬ vetico pagava i titoli per conto mio. Presidente — Ma allora, se le azioni rimanevano in Italia, che cosa restava in Svizzera? Niente? Insomma, se ho ben capito, era un giro in cui si ritornava sempre allo stesso punto. Marzollo — Signor presidente, io avevo investito quei titoli che onestamente pensavo fossero buoni. L'istituto di credito elvetico li teneva a mia disposizione. Presidente — Quindi, quella somma che è stata sequestrata era costituita da azioni. Marzollo — Proprio così. Presidente — Ma lei non sapeva in quel momento che stava per esplodere il suo caso? Marzollo — Nossignore, non sapevo nulla. Presidente — Ma come poteva continuare ad illudersi che prima o poi non avvenisse il tracollo? Marzollo — Abbia pazienza, i signor presidente, io sono sempre stato quello che si dice un rialzista. Avevo molta fiducia. Se io fossi rimasto a quella scrivania che ho dovuto abbandonare, adesso sarei a posto, avrei già pareggiato, iIn sostanza, l'ex agente di cambio sostiene che trasferendo denaro all'estero non intendeva sottrarre niente, e non immaginava che sarebbe stato dichiarato fallito. «Spe- i ravo, nonostante l'andamento negativo del mercato azionario, in un favoloso rialzo che avrebbe sistemato tutto». Ora si affronta un altro capitolo della lunga vicenda di cui è stato protagonista Attilio Marzollo. Presidente — Lei rastrellava denaro. Marzollo — Sissignore. Presidente — E da chi? Marzollo — Da qualche privato. Avevo una ventina di clienti che mi affidarono soldi o titoli per investirli in Borsa. Presidente — Pare che lei usasse questo sistema: riceveva il denaro, prometteva di ricavarne dei forti utili, fissando una certa scadenza. Quando veniva questo momento il privato, allettato dal guadagno, investiva di nuovo. Allora, lei non dava mai nulla. Marzollo — Non è vero, a una parte dei clienti corrispondevo gli interessi. Presidente — E a chi? Marzollo — A quelli che me lo chiedevano. E non è mai avvenuto che gli altri pretendessero la restituzione dei titoli. Adesso, se lei mi domanda chi facesse in un modo e chi nell'altro, mi perdoni, ma non saprei dirglielo. Il finanziere veneziano aggiunge che in anni più lontani ebbe dei clienti che, per loro particolari motivi, chiesero e ottennero la restituzione del capitale. «Ma più tardi alcuni di questi — dice — si presentarono da me perché procedessi a nuove operazioni d'investimento». A questo punto si chiedono i loro nomi. Marzollo tergiversa, il presidente lo incoraggia:«Su, dica qualcosa di più di quanto ha dichiarato in istruttoria». Alla fine, un po' faticosamente, il finanziere tira fuori qualche nome. «Pensi — aggiunge — che uno pretendeva un sacco di cose: gli interessi, il premio, voleva persino non pagare le tasse». Presidente — E lei che cosa ci guadagnava? Marzollo — Niente, signor presidente. Anzi, soltanto grattacapi e seccature. Per concludere su questo argomento, Marzollo sostiene che dai privati non ricevette più «denaro fresco» da almeno un paio d'anni prima della fuga. L'ex agente di cambio si difende anche dall'altra accusa, cioè di aver distratto dei documenti. «Stia a sentire, signor presidente. La documentazione che si trovava nel mio studio era una delle più regolari che esistevano in Italia. Mi si viene a contestare la mancanza di un'agenda sulla quale erano segnati alcuni nomi di clienti. Ma io le assicuro che non l'ho fatta sparire. Giuliano Marchesini Marzollo in aula

Persone citate: Attilio Marzollo, La Monaca

Luoghi citati: Italia, Svizzera, Venezia