Gli apprendisti del super-jet di Stefano Reggiani

Gli apprendisti del super-jet DOVE NASCONO GLI UFFICIALI; L'ACCADEMIA DI POZZUOLI Gli apprendisti del super-jet In aviazione conta il coraggio, ma più la competenza: il pilota porterà ordigni di morte volando a Mach 2 (Dal nostro inviato speciale) Pozzuoli, marzo. Dove e come nascono gli ufficiali? All'ombra di quali ideologie? Per quali vie spirituali e pratiche indossano l'uniforme? La nostra visita alle Accademie militari è giunta a Pozzuoli: cerchiamo nei luoghi e nelle abitudini quotidiane, nei colloqui prudenti, i contorni di un ritratto « privato ». Ci accorgiamo che la vecchia retorica, bandita dai rapporti con i civili, torna almeno nelle confidenze con Dio. L'aviatore prega ancora così, romanamente: « Tu, Dio, dacci le ali delle aquile, lo sguardo delle aquile, l'artiglio delle aquile, per portare, ovunque tu doni la luce, la bandiera, la vittoria e la gloria d'Italia e di Roma ». E1 un'aspirazione rapace che richiama storie e figure vecchie. Nella realtà questa immagine sembra contraddetta dal desiderio di un'efficienza moderna e impersonale, professionistica. Le aspiranti aquile abitano uno dei luoghi più belli d'Italia, in vista di Ischia e Procida, annidate sul golfo di Napoli davanti a Capo Miseno e al panorama bradisismico di Pozzuoli. Nella mattina di sole primaverile (il mare ha increspature abbaglianti) gli allievi ufficiali dei corsi Orione e Nibbio sono radunati sul piazzale. Gli anziani del terzo corso leggono il bollettino della giornata (programmi e punizioni), prima della rivista davanti al generale. Poi i plotoni sfilano al passo, volgendo il capo al comandante. Lo Stato Maggiore dell'Accademia è impettito nel saluto militare, secondo il rito. Ci siamo anche noi, a turbare un poco il quadro; ma non osiamo discostarci dal generale, tanto più che il vento marino ci scompiglia i capelli e ci tortura la giacca come nei film americani (manca solo la musica di fondo che accompagna le sfilate hollywoodiane). Per il visitatore troppo civile è un brivido di formalismo inaspettato. Andiamo a colazione con gli allievi. Dice il comandante dell'Accademia, generale Mura, che sarà un modo per conoscerli. Tutti scattano sull'attenti quando entriamo, allo squillare di un campanello. Ci sono venticinque minuti per mangiare. Al secondo squillo di campanello i commensali dovranno abbandonare la sala e, magari, il boccone a metà. Al tavolo del comandante sono stati invitati gli allievi migliori; camerieri in guanti bianchi servono pizza, coca cola e arrosto di vitello. C'è anche una bottiglia di spumante, per festeggiare il compleanno di un allievo: poiché ogni giorno inevitabilmente qualcuno dei quattrocento frequentanti compie gli anni, s'è trovato il modo di aggirare il proibizionismo alcolico. La sveglia all'alba Si parla del contrasto tra la presunta mollezza del costume civile e la disciplina militare. Tutti ammettono che la severità delle nuove abitudini costa fatica. La sveglia all'alba, le ore di lezione assiepate l'una sull'altra, l'esercizio fisico che diventa agonismo obbligato tra i vari corsi, i tempi stretti della libertà, prima di andare a letto, alle 22,30. Ma, nei due giorni di libera uscita, Napoli accoglie gli studenti in divisa con un caldo abbraccio. Mai città fu tanto in sintonia con gli allievi ufficiali per retaggio di costume e devozione ai simboli del potere. Le ragazze considerano un onore essere invitate alla festa del « mac pi cento », quasi una festa di laurea. S'intrecciano scambi di visite, passeggiate, flirt e inviti a pranzo; anche fidanzamenti. Sul fronte di Napoli qualche tenente è caduto ai primi voli sentimentali. L'aviazione coltiva il romanticismo nella sua figura pubblica. Il cinema si fa in Accademia due volte la settimana (e una commissione sceglie i film, col cappellano che pone il veto di censura alle opere più ardite). Sono centoventi gli allievi ammessi ogni anno, le domande sono circa mille. Un'altra ventina sono iscritti ai corsi del Genio Aeronautico; diventeranno ingegneri nelle varie specializzazioni. La direzione dei corsi ha preparato un ritratto sociologico degli allievi: un cerchio diviso a spicchi, secondo l'attività dei genitori. Nel '72, per esempio (corso Nibbio) lo spicchio più grande era costituito dagli operai (23,3 per cen- ì to), seguiti dagli impiegati! (20), dai sottufficiali (9,2), dagli agricoltori (8,9), dai funzionari (8,3), dai professionisti (6,7), dagli ufficiali e dai pensionati (5), dagli insegnanti (3), dagli artigiani e lavoratori in proprio (1,1 e 0,9). Nel ruolo degli ingegneri la maggioranza va ai genitori impiegati e ufficiali. Dall'Accademia escono ogni anno ottanta sottotenenti: andranno ai campi di Lecce e di Amendola, per conquistare il brevetto di pilota militare. Durante gli studi hanno solo imparato a volare, occorrerà una lunga esperienza per passare la barriera del suono. Intorno alla mensa del comandante, gli allievi masticano e parlano tenendo d'occhio l'orologio e lo spumante. Le motivazioni nelle scelte sono quelle che in parte s'udirono anche a Modena. « Qui si studia più seriamente che all'università civile ». « Sviluppiamo il senso del dovere ». « Seguiamo da presso lo sviluppo tecnologico della società ». « E' bello volare », e altri aforismi eticopolitici. Nel tema d'ammissione all'Accademia, proposto quest'anno ai concorrenti, si chiedeva: perché scegliete la carriera delle armi in un mondo che è contro la violenza e il militarismo? Le risposte, a giudizio del generale Mura, sono state troppo prudenti e stereotipate, impersonali. Una fila di luoghi comuni protettivi, scritti in un italiano non propriamente corretto. Nel placido sole, per corridoi che aprono le vetrate sul mare, il direttore dei corsi, col. Ferruccio Ferrari, ci accompagna a visitare aule e camerate. Lo sforzo apparente è di trasformare le Accademie in colleges. Abbondano le sale di ritrovo, s'ascoltano dischi di musica pop, qualcuno suona la chitarra, gli ufficiali dei vari corsi tengono conversazioni in fitti capannelli. I ragazzi che hanno imparato alle medie l'arte o il piacere di contestare possono metterli a frutto, secondo Ferrari, all'Accademia in dibattiti paritetici con gli ufficiali. La disciplina dell'allievo, dice il colonnello, deve nascere dalla via dell'autoconvincimento e dello spirito di gruppo. Racconta, per chiarire, Ferrari: « Entrano con i capelli lunghi e con le barbe bibli- j che. Noi per prima cosa li mandiamo dal barbiere e li ritroviamo dopo il taglio lisci e ringiovaniti che fanno tenerezza ». Pare, dunque, che le inquietudini allignino più facilmente sotto barbe e riccioli, come già avvertivano i proverbi. L'arte del comando A Pozzuoli s'insegna anche l'arte del comando, che è bandita dalle lezioni all'Accademia di Modena. E' lo stesso comandante Antonio Mura, che frequentò la scuola nel '41 (corso Urano), a impartire i principi di questa difficile disciplina, nella quale convergono la psicologia e la storia. Mura lascia i compiti burocratici di governo al comandante in seconda, colonnello pilota Franco Pisano (corso Grifo del '49), che ha guidato la pattuglia acrobatica e ha ottenuto onorificente militari anche all'estero. Nel suo curriculum troviamo una medaglia di prima classe del Vietnam del Sud. « Qui non parliamo mai di politica » dice il generale Mura. « La carriera in aeronauti- ' ca è una scelta apolitica » dice Ferrari. « Eppure — dice il generale — a me la politica piace tanto. E in casa mia se ne parla, perché ho due figli leggermente contestatori ». Almeno in Accademia si parla di strategia aerea e di alleanza atlantica? « Noi siamo ben fermi alla teoria del secondo colpo — dice il generale —. Non ci prepariamo alla guerra di offesa ma di difesa. Questo semplifica tante cose, anche dal punto di vista umano ». E tuttavia gli aerei sono armati di missili, è possibile trasportare testate atomiche. « La guerra ha le sue esigenze. Certo, nessuno di noi vorrebbe trovarsi al posto del colonnello Tibbets che sganciò la bomba su Hiroshima ». Ma se cambiasse la strategia italiana per un rivolgimento politico? « Noi abbiamo giurato fedeltà alla Repubblica. Se la Costituzione mutasse, ognuno dovrebbe vedersela con la sua coscienza ». I bilanci dell'aviazione, e dell'Accademia, a giudizio dei responsabili non sono floridi. La Nato impone a un ufficiale 240 ore di volo annuali, ma in Italia, dice Ferrari, siamo al di sotto. Siamo al limite di sicurezza, chi vola è più esposto ai rischi. All'ingresso dell'Accademia è piantato il modello di un G-91, bell'aereo, ma sorpassato. Si aspettano grandi prestazioni dal prototipo « Mrca », costruito in collaborazione europea ed in fase di collaudo. Volerà a due volte e mezzo la velocità del suono. « Il sottotenente pilota — dice il comandante — ha in mano un valore di almeno un miliardo e mezzo. Dobbiamo essere sicuri che questo capitale della collettività sia bene affidato ». I piloti sono dei grandi consumatori di ricchezza, non possono accettare l'austerità petrolifera. Negli aeroporti italiani c'è sempre uno stormo in stato di allarme, secondo l'uso americano e la strategia del. secondo colpo E' uno stato di tensione calcolata alla quale i nuovi ufficiali debbono abi! tuarsi fin dall'inizio. I Stefano Reggiani

Persone citate: Amendola, Antonio Mura, Dove, Ferruccio Ferrari, Franco Pisano, Mura, Nibbio, Orione