Una storia di ricatti, pressioni e bustarelle nel memoriale dell'ex presidente dell'Afa

Una storia di ricatti, pressioni e bustarelle nel memoriale dell'ex presidente dell'Afa Il processo per lo scandalo del casinò a Sanremo Una storia di ricatti, pressioni e bustarelle nel memoriale dell'ex presidente dell'Afa Nel documento l'avv. Bertolini formula precise accuse contro gli otto imputati e due parlamentari per i quali la Camera e il Senato non concessero l'autorizzazione a procedere (Dal nostro inviato speciale) Sanremo, 28 marzo. Una lunga storia di taglieggiamenti, ricatti, pressioni di ogni genere è venuta alla luce oggi al processo per i «libri neri» del casinò di Sanremo. E' stata ricostruita attraverso la deposizione (verbalizzata dal giudice istruttore Luigi Fortunato nell'arco di tempo che va dagli inizi del 1970 al marzo 1971) dell'avv. Luigi Bertolini, presidente della società Ata, che gestiva la casa da gioco e che venne dichiarata fallita nel 1969. E' uno «spaccato» della vita politica e amministrativa di Sanremo che, se venisse ritenuto aderente alla realtà dal tribunale che sta esaminando la posizione degli otto imputati di concussione, costituirebbe un pesante atto d'accusa per tutta una classe che per lungo tempo ha guidato l'amministrazione cittadina. A uscire con le ossa rotte dalla lettura della deposizione Bertolini (l'anziano uomo d'affari non si è presentato, come aveva già scritto al presidente Romanelli, in quanto la sua salute non gli consente di lasciare il domicilio di Nogent-surMarne) sono in particolar modo gli uomini che all'inizio degli Anni 60 guidavano a Sanremo il partito democristiano, o meglio, quella corrente interna che aveva in pratica il controllo della de locale. Che cosa afferma Bertolini? Dopo aver rifatto la storia del suo ingresso come maggior azionista della società Ata, si dilunga nei particolari delle richieste che gli esponenti politici avrebbero presentato allo scopo di fargli ottenere prima una proroga tecnica per la continuazione della gestione del casinò e poi l'autorizzazione dal ministero dell'Interno a definire la concessione mediante trattativa privata. Il racconto occupa un centinaio di pagine e si può così sintetizzare: Francesco Silva, vicesindaco all'epoca dei fatti, lo avrebbe indotto a versargli 15 milioni; un milione e mezzo sarebbe stato consegnato all'avv. Onorato Anfossi esponente del psdi in presenza dell'ing. Paride Goya; al pei (nessun esponente di tale partito è stato imputato poiché nel dossier Bertolini non viene citato alcun nome di dirigente comunista) sarebbero toccati 5 milioni e mezzo su suggerimento dell'oggi defunto avv. Nino Bobba. Nove milioni e mezzo sarebbero stati consegnati all'on. Aldo Amadeo, parlamentare de di Imperia, e dodici milioni al sen. Egidio Ariosto, del psdi, il quale li avrebbe ricevuti in cambio del suo interessamento per far ottenere, quale sottosegretario al ministero dell'Interno, la proroga tecnica per la conduzione del casinò. Agli imputati Penna, Perla e Soma il Bertolini avrebbe versato 5 milioni per un viaggio a Roma presso il ministero. A carico degli stessi figura anche una richiesta di 50 milioni da versare all'atto del rinnovo della concessione, più una percentuale dello 0,50 per cento sugli utili del gioco e in aggiunta il 15 per cento delle azioni della società Ata. Luigi Bertolini afferma, inoltre, che vennero effettuate molte pressanti richieste per ottenere miglioramenti di carriera a favore di dipendenti del casinò, ed in particolare la promozione di Lazzaro Bergonzo a vicedirettore dei giochi, e di Mario Pesante a capo dei servizi ausiliari. L'anziano presidente dell'Afa specifica che a trattare per le faccende riguardanti il personale era l'attuale imputato Giuseppe Salluzzo, il quale gli avrebbe addirittura imposto di non procedere ad alcuna assunzione senza il suo beneplacito; il rag. Soma, capo personale del casinò, era invece colui che avrebbe ritirato materialmente le somme destinate al vicesindaco Viale. Intermediario presso l'on. Amadeo sarebbe stato il comm. Turitto, socio di minoranza dell'Ata, e i dodici milioni al sen. Ariosto sarebbero stati versati tramite due assegni, rispettivamente di nove e tre milioni, a nome di certo Vittorio Stringa, di Milano, del quale esiste agli atti una lettera in cui accusa ricevuta della somma. (Per i due parlamentari la Camera ed il Senato non hanno concesso l'autorizzazione a procedere). Si apprende anche che nei primi giorni del gennaio 1963 gli amministratori sanremesi erano a conoscenza del fatto che il ministero dell'Interno aveva posto il veto alla trattativa privata per la gestione del casinò, ma ciò nonostante continuano le richieste di denaro e il Bertolini apprende che si sarebbe ricorsi all'asta soltanto a maggio dello stesso anno. In inizio di udienza, il tribunale aveva ascoltato la deposizione dell'avv. Edoardo Fosco, di Pavia, già socio di minoranza dell'Ata, il quale ha affermato che mai Bertolini gli aveva parlato di finanziamenti a uomini politici, rilevando però che Bertolini stesso era un accentratore e che disponeva di un ufficio quasi segreto nel quale conservava la propria documentazione e riceveva persone che passavano da una porta secondaria. Il teste ha anche affermato che Bertolini aveva chiesto più volte, quando gestore del casinò era l'avv. Cajafa, di poter diventare azionista dell'Ata. Tale affermazione è in contrasto con quanto dichiarato dal Bertolini e cioè che era stato indotto ad occuparsi del casinò nel 1959, dopo la morte di Cajafa, per l'interessamento degli amministratori cittadini. Domani sfileranno gli ultimi testi, tra i quali è stato inserito, su richiesta della difesa dell'avv. Viale, il comm. Andrea Lolli, ex assessore al turismo ed ex sindaco di Sanremo. Di particolare importanza sembrano essere le testimonianze che dovrebbero rendere Ludovico Bensa, già uomo di fiducia del Bertolini, l'ex segretario generale del comune dott. Campanelli e il maresciallo Diana, dei carabinieri Vittorio Preve Luigi Bertolini

Luoghi citati: Imperia, Milano, Pavia, Roma, Sanremo