Realtà del modello mafioso di Furio Colombo

Realtà del modello mafioso ITALIA-AMERICA; "RACKET,, INDIGENO E D'ESPORTAZIONE Realtà del modello mafioso E' una società "militare", chiusa e segreta, che può cambiar tecnica ed emigrare senza trasformarsi Della mafia si conoscono tracce (sangue, morte, paura) e si conoscono personaggi che in un film sarebbero chiamati « generici ». Li accomuna oltre all'origine (alcune zone dell'Italia del Sud) una certa immagine di esecutori, di soldati. Sono piccoli Eichmann in coppola, dall'apparenza estrosa, che funzionano con disciplina e anche con efficienza. Come gli Eichmann di altri sistemi, sembrano conoscere più « il valore » a cui si conformano, che il capo o la linea gerarchica che porta verso il capo. La "protezione" Del « valore » sanno dire due sole cose, « appartenenza », cioè un militantesimo rigoroso nel timore di essere esclusi. E « protezione », che è il rovescio della stessa medaglia. Essere protetti e proteggere vuol dire restare dentro e non esporsi ai rischi di una realtà immaginata vuota, rischiosa, non affrontabile per l'uomo comune da solo C'è, dunque, la struttura elementare di una ideologia o di una religione. Oltre al « valore », che emerge dalle poche parole e dalle poche notizie, quel che si vede sono i « comportamenti »: omertà, silenzio, disciplina, ubbidienza. Poi c'è il « prodotto », una lunga graduatoria di delitti, dal gesto simbolico allo sfregio, dalla prima minaccia alla morte, dall'offerta di protezione al tritolo. E la catena di rapimenti. A questo punto si aprono tre strade. Per la polizia e la magistratura il problema è risalire al mandante. Il narratore si concentra sulla immagine pittoresca del mafioso, dal volto mezzo vero e mezzo leggenda. Ogni tanto la cronaca consegna un cadavere, come Anastasia. O uno che mette a disposizione rivelazioni, come Joe Valachi. Moralmente e anche psicologicamente il fenomeno sembra chiaro. Ma sulla strada della ricostruzione dei fatti, nella rete delle connessioni, nell'elenco delle responsabilità e degli eventi, restano buchi grandi come una casa. Fino ad ora la teoria di un potere anomalo che si insedia dentro il corpo sociale — al modo di certi parassiti che vivono a spese di organi umani per poi portare oscuramente la morte — è stata scelta, per esempio, da Francesco Rosi, per collegare il documento al mito e rintracciare una verità. In questo senso Lucky Luciano è il solo film sulla mafia che tenti il percorso inverso rispetto al racconto tradizionale: dal potere alla degenerazione del potere, attraverso la tremenda alleanza con la parte sommersa e inquinata della struttura sociale. Altrimenti si ha una antologia di aneddoti, un cliché come quello del « cow-boy » o del capo pellerossa. E il dubbio continuo (mafia non mafia?) sfiora migliaia di indagini. Ma poi si blocca quando la rete stringe una piccola preda. Perciò non esiste una sociologia della mafia. Il problema si fa anche più oscuro quando questo modello criminale si espande. Sembrava chiarito nelle sue origini storiche e regionali, osservato come le malattie tropicali, inguaribili ma lontane. Adesso compare accanto ai nomi un po' goffi dei paesini del Nord, che ricordano le barzellette di Bramieri, i canti alpini, le villeggiature economiche dei bambini, lo sfollamento, tutto ma non il delitto. Come al solito c'è — in apparenza — un percorso lineare. Il soggiorno obbligato, il grave errore di usare il soggiorno obbligato come se l'Italia fosse un enorme paese senza trasporti, l'infezione, portata fisicamente dagli equivoci personaggi del soggiorno obbligato. Quando l'infezione dilaga, sindaci e cittadini protestano. La norma sul soggiorno ob¬ bligato mostra la sua arretratezza. Certamente è meglio usare la legge, contro il delitto, piuttosto che piccole misure marginali di costituzionalità dubbia. Un tale è colpevole o no? Per ogni reato esiste una sanzione. Ma se non c'è reato non ci può essere pena. La così detta prevenzione, in un regime libero, consiste esclusivamente nella tempestività della legge, che scatta subito e non molla mai. Ogni sbaglio deforma il quadro sociale e lo sbaglio si ingigantisce. I personaggi sospetti non dovrebbero essere in un posto o nell'altro ma solo in prigione o fuori della prigione. La gente rischia di abbandonarsi a reazioni che sono comprensibili, dati i fatti, ma potrebbero in buona fede diventare razziste. La teoria del trapianto di cellule cancerose nei corpi sani è certo una verità. Società divise Però l'analogia fra male fisico e male sociale non deve essere portata a un parallelo troppo rigido, altrimenti dà luogo a giudizi generici. Trapianto di cellule. Ma basta questa diagnosi? Perché in questi anni l'infezione dilaga? Proviamo a definire qualche tratto meno oscuro del « modello mafioso ». II modello mafioso richiede società separate. Richiede che, invece di circolare liberamente nel paesaggio sociale, una parte dei cittadini senta il bisogno di una protezione oppure sia costretta a subirla. La società separata si consolida lungo un muro economico di esclusione e di paura. Ma il suo materiale è cultura. « Gli altri », dal maestro di scuola all'autorità, parlano un linguaggio che non si capisce. Con questo linguaggio vanno perduti valori e proposte che dovrebbero essere comuni. Resta un vuoto, e il vuoto si riempie di altra cultura. La cultura della separazione ha i tratti della sopravvivenza: accettare la protezione e offrire la fedeltà. Lo ha detto chiaramente Oscar Lewis ne La cultura dei poveri: un ghetto, finché non trova la redenzione di una coscienza politica, diventa coltura di mafie, cioè di bande che funzionano col ricatto, la prepotenza, la forza fisica e l'inganno. Preparare le trappole è un buon modo, e anche un esorcismo, contro il pericolo di subirle. Ma perché adesso? E perché al Nord, a parte l'intuizione del « viaggio infettivo », causato dai soggiorni obbligati? E' possibile che l'involucro del meccanismo mafioso si sia trovato negli ultimi anni in condizioni convenienti o incoraggianti? Gli stadi di questo male, come insegna anche il trapianto americano, sono sempre due: il terrore interno e l'esplosione all'esterno. Tutti ricordano i delitti « fra le mura » che hanno sconvolto il sottomondo emigrato di Torino e Milano negli anni scorsi. Il « racket delle braccia » ad esempio. Ma sarebbe gravemente ingiusto dire che il Nord ha contrapposto solo esclusione e provocato vendetta. Qui il riferimento si fa di colpo più vasto e viene chiamato in causa il Paese. Viene chiamata in causa l'illusione che il Sud fosse una coda penosa che si può sempre nascondere sotto il tappeto del Nord industrializzato. La mafia c'è sempre, ma non sempre può funzionare. La base povera e terrorizzata che la alimenta è una mano d'opera inerte se non viene attivata da un vertice. Questo vertice (ogni tanto si tenta un elenco di nomi) vivrebbe male in un ambiente sociale in cui i rapporti fra popolo e classe politica, fra governo e burocrazia, fra cittadini e partiti, fra magistratura e Paese, fossero assolutamente limpidi, lucidi e funzionanti. « Questo è uomo mio » è solo una frase mafiosa o è anche il certificato ammiccante che circola fra gruppi e correnti e produce « lealtà separate » che non sono necessariamente quelle richieste dalla funzione professionale e sociale? Le due difese In un paese, quando fioriscono le lealtà separate, quando si formano colonne di gerarchia che rispondono a ordini interni invece che alla moralità della propria posizione e del proprio lavoro, siamo già in una situazione che favorisce il contagio. Come si dimostra che un gruppo è mafia? Quando l'unico fine, e il solo linguaggio, consiste nel predisporre sistemi di trappole. Chi ci casca deve pagare. Se questo modello di comportamento fosse solo dei Taormina, dei Mammoliti e dei loro mandanti, il pericolo sarebbe grave ma limitato. Per smontare il modello mafioso ci vogliono due mani. Con una si colpiscono spietatamente i suoi capi, tutti i capi, anche coloro che avessero infiltrato il sistema profittando di qualche camminamento di cospirazione e di segretezza. Con l'altra si sciolgono nel sistema sociale, fatto meno imperfetto da alcune vere riforme, i grumi delle sottoculture separate che forniscono manodopera e sangue. Non si dimentichi che con la mafia il fascismo ha fallito due volte. Perché nel suo odio antipopolare ha bloccato i ghetti delle sottoculture, mantenendo vivi i veicoli dell'infezione. E perché non ha mai potuto contrapporre alla delinquenziale segretezza mafiosa il valore della vita politica alla luce del sole. Ma il fascismo era fatto della stessa pasta. Contava sulla segretezza e sui ghetti. Il dovere della democrazia è di essere, sempre, esattamente il contrario. Ed è la sua unica forza. Furio Colombo

Persone citate: Bramieri, Eichmann, Francesco Rosi, Joe Valachi, Lucky Luciano, Mammoliti, Oscar Lewis

Luoghi citati: Italia, Milano, Taormina, Torino