I "tarli" di Orvieto

I "tarli" di Orvieto La speculazione e i centri storici I "tarli" di Orvieto La città sembra quasi intatta, ma subisce una silenziosa e subdola trasformazione: preziosi edifìci antichi sono svuotati dall'interno e ricostruiti - Si ricavano uffici e appartamentini di lusso - Controproposte di "Italia Nostra" alle ristrutturazioni (Dal nostro inviato speciale) Orvieto, 25 marzo. A vederla da turisti, incantati dallo splendore del Duomo e dalle glorie del Signorelli, Orvieto sembra quasi intatta. Ma l'antica città raccolta sulla rupe soffre del male invisibile che rode dall'interno i più preziosi centri storici italiani. Una trasformazione silenziosa, subdola, soltanto in alcuni casi visibile in modo macroscopico: la chiesa trecentesca di Sant'Agostino affittata come deposito di autocarri all'Aeronautica militare. «Era una bella chiesa, con tanti dipinti antichi, ne hanno fatto l'aeroporto», mi dice un bambino, accompagnandomi sul luogo del «delitto» (hanno messo rinforzi di ferro ai portali cesellati, hanno sfondato l'oratorio laterale per aprire un'officina sotto l'arco gotico, e nell'officina restano soltanto le tracce di affreschi e dipinti murali). In piazza dei Ranieri, un'altra chiesa medioevale, priva del tetto, è ridotta a deposito comunale di rifiuti. Banchine rotte, insegne fuori uso, immondizie. Se quel che è di proprietà pubblica può andare in rovina, gli edifici privati sono presi d'assalto con tecniche diverse. Palazzo Manassei è stato bloccato dal pretore di Orvieto (76 procedimenti contro abusi edilizi) dopo che un'impresa aveva cominciato a svuotarlo demolendo tutto, anche le strutture cinquecentesche. Senza dar troppo nell'occhio, hanno costruito un garage, con negozi annessi, su un orto-giardino a poche centinaia di metri dal Duomo. Uno di quegli orti che la saggezza dei muratori antichi aveva collocato a decine tra le case, spesso a quote diverse, come garanzia di luminosità e di ventilazione. Di fronte al Duomo, l'Albergo Maitani nasconde nel delizioso cortile, rallegrato da una grande camelia rossa in fiore, il cantiere già pronto per sopraelevare alcune casette in parte demolite. Camminando nel borgo medioevale scopro una gran quantità di finestre sfondate o prive di vetri, agli ultimi piani delle case. I piani più sani, esposti al sole, vengono abbandonati, benché non si possano invocare condizioni igieniche senza rimedio. Attirati gli abitanti nei quartieri nuovi ai piedi della rocca, si forma nella parte antica di Orvieto una riserva di alloggi destinati alla speculazione. La pioggia entra dalle finestre, infradicia travi e pavimenti, cola per i muri di tufo creando arabeschi muschiosi. La casa diventa interamente inabitabile, anche agli effetti legali. Non ci sarà che la demolizione, seguita dalla ricostruzione per uffici, boutiques, appartamentini di lusso destinati alla clientela romana o straniera e prevedibil mente vuoti per gran parte dell'anno. In via Albani, un palazzotto rinascimentale è stato rifatto totalmente, con aggiunta di autorimesse e forse di qualche piano; non è più occupato da famiglie del luogo, ma affittato per sede di uffici alla Uil, all'Inps, a una società di assicurazioni. Si è creato il clima di attesa degli aumenti di valore dovuti alla sola posizione, favoriti dal cattivo stato degli edifici. Se crollano, tanto meglio. Nel quartiere delle Concie, una vecchina rifiuta quindici milioni per tre stanze prive di servizi. Quando l'offerta sarà ancora salita, la vecchina venderà per comprare un appartamento nei quartieri nuovi, sparsi nella campagna, a imitazione dei peggiori modelli delle periferie romane: Orvieto-Scalo, Sferracavallo, Ciconìa, rozzi tentativi di zonizzazione e di architetture d'avanguardia. La tipologia dominante è sempre quella dell'Italia involgarita, livellata dal Brennero ad Agrigento: balconate, cortili asfaltati, aiuole geometriche e anemiche, resti di campi coperti di rifiuti. Una conferma impressionante delle denunce fatte al Convegno nazionale dell'associazione dei centri storici. Si continua a favorire la costruzione di case nuove, mentre un immenso patrimonio edilizio di antica data viene abbandonato dai residenti e destinato a «ristrutturazioni» per usi non necessari, come le seconde, o terze, o quarte case dei ricchi. Lo spreco enorme, anche in termini economici, è aggravato dall'occupazione di estesi territori sottratti all'agricoltura e a impieghi più razionali. «Non esiste un caso di Orvieto, non si deve strillare tanto, non ci sono abusi», ha detto il sindaco comunista, Italo Torroni, al dibattito promosso da Italia Nostra nel ridotto del Teatro Mancinelli, con grande concorso di politici, urbanisti, uomini di cmtcsvsdlcvrsndptmp cultura. Si potrebbe parlare almeno di una «lezione di Orvieto». Acquista evidenza il fatto che i centri storici non possono salvarsi se ridotti a semplici involucri architettonici, ben restaurati formalmente ma privi di vita. Orvieto ha già perduto tremila abitanti e nella campagna circostante si prevedono case nuove per i tredicimila che ancora risiedono sulla rocca. Lo stesso sindaco ha ammesso: «Le tesi nuove mi fanno ripensare. Chiediamo la collaborazione di lutti per modificare le tendenze attuali, se necessario. Noi vogliamo tutelare Orvieto». Intanto, però, sono stati allentati con una delibera i vincoli posti dal piano Piccinato, del 1966, per formare un anello di salvaguardia attorno alla rocca. Non è stato fatto un censimento degli edifici antichi, e il piano Coppa per alcuni comparti del centro storico viene adottato dopo sci anni con variazioni preoccupanti, tanto che Io stesso autore, presente al dibattito, ha ritirato la sua firma. Si propone una «variante generale» che comprende altri quartieri popolari in periferia, inclusa una piccola cittì' nuova sulla bellissima collina di Monterotondo. Il tacito progetto di svuotamento di Orvieto resta in piedi? L'architetto Terranova ha fatto una serie di proposte a nome di Italia Nostra. Piani di edilizia economica e popolare nel centro storico, applicando le leggi 167 e 865 e i relativi finanziamenti pubblici per restaurare interi quartieri restituendoli ai residenti (non si tratta di fantasia, basti pensare a quel che avviene a Milano, ad alcuni comparti di Vicenza, a Bologna). Estesa pedonalizzazione del centro storico, con ripristino dei servizi pubblici trascurati, come la fu¬ nicolare e gli ascensori. Rinuncia al nuovo quartiere di Monterotondo. «In Umbria dobbiamo recuperare il patrimonio edilizio esistente, non costruire case nuove», ha detto l'assessore regionale Ottaviani. Ottimo proposito. Non attraverso espropri estesi, molto difficili allo stato attuale, ma attraverso un sistema di convenzioni con i proprietari che garantisca, contemporaneamente al restauro, il rispetto del piano pubblico, degli usi degli edifici, di affitti determinati per le abitazioni occupate da famiglie a basso reddito. Sistema possibile se si trasferiscono a queste iniziative i fondi pubblici rimasti inoperanti o utilizzati esclusivamente a beneficio delle costruzioni nuove (dal 1963, per legge, la Gescal doveva finanziare il ripristino dei centri storici). Mario Fazio

Persone citate: Italo Torroni, Maitani, Mario Fazio, Ottaviani, Piccinato, Signorelli, Terranova