Il maresciallo ha lasciato ai colleglli i nomi dei maliosi che lo "condannarono,, a morte di Luciano Curino

Il maresciallo ha lasciato ai colleglli i nomi dei maliosi che lo "condannarono,, a morte Era in pensione ma indagava sulle cosche di Palermo Il maresciallo ha lasciato ai colleglli i nomi dei maliosi che lo "condannarono,, a morte Nel suo taccuino è stata trovata la lista dei componenti dei tribunali di mafia: tutti arrestati (Dal nostro inviato speciale) Palermo, 23 marzo. L'uccisione del maresciallo Sorino, decretata dalla mafia, ricorda quella del tenente Petrosino. Anche l'ora buia e la pioggia battente entrano nell'analogia. La differenza sta nel fatto che Petrosino era un poliziotto in servizio, Sorino era in congedo, per limiti d'età. Ma per vecchia abitudine o perché non rassegnato al ruolo di pensionato, continuava a tenersi aggiornato sull'attività delle cosche. La malavita dice che « non si faceva i fatti suoi ». Un tribunale di mafia l'ha condannato a morte, tre mesi fa. La scorsa notte sono stati arrestati gli otto «giudici » che hanno pronunciato la sentenza capitale e il boia che l'ha eseguita. Ora che è conclusa, riepiloghiamo la vicenda, una delle più feroci della storia della mafia. Chi è il "padano" Il maresciallo di pubblica sicurezza Angelo Sorino aveva 62 anni. Barese, quattro figli, dei quali uno commissario capo alla Questura di Caitanissetta. Per trent'anni ha abitato nella borgata palermitana di San Lorenzo, dove un gruppo mafioso, affiatato e inespugnabile, faceva il bello e il brutto tempo. L'Antimafia ritiene che il « padrino » sia Vincenzo Pedone, che da carrettiere è divenuto il «patriarca» di San Lorenzo e ora può dire: « Sono Pedone, e questa cosa bisogna farla così ». Per trent'anni il sottufficiale Sorino ha avuto parte in tutte le indagini svolte o a o a o , r a sagoe ». a eo uo a è ici a eo aia re o liie, uoo ofie e sulla mafia dì San Lorenzo e di Resuttana. Si afferma che il maresciallo « sapeva dire che cosa ci fosse dentro il pentolone della mafia delle due borgate senza alzare il coperchio ». Avversario implacabile, i mafiosi gli mostravano rispetto, in strada lo salutavano per primi: « Buongiorno, marescià ». Perché non l'hanno ucciso allora? Leggo: « Un poliziotto che indaga fa il suo mestiere, è uno "sbirro" ma è pagato per farlo. Un ex poliziotto che indaga è uno che si impiccia in affari che non sono suoi ». E' lecito dubitare che la mafia abbia tale riguardo e scrupolo e osservi queste regole di gioco. Non ha regole. E' invece calcolatrice fino al cinismo, teme di rischiare troppo uccidendo un poliziotto. Per trent'anni Sorino si è mosso nella ragnatela mafiosa, ma con la protezione della divisa. Un anno fa il maresciallo va in congedo. Potrebbe starsene tranquillo, trova perfino un impiego, all'Enal-Caccia, per occupare le ore vuote e per arrotondare la pensione. I mafiosi di San Lorenzo, incontrandolo in piazza, lo salutano ancora per primi, ma adesso senza più ipocrisia, perché certi che ormai non può più dare fastidi. Invece il pensionato continua a interessarsi alle cose della borgata. E di cose ne accadono parecchie. Una rapina di 40 milioni. L'uccisione del nipote di un boss della borgata Pallavicino, altri crimini misteriosi. Non misteriosi, però, per il pensionato Sorino. Scrive un cronista: «In trent'anni di servizio il ma¬ resciallo aveva fatto il suo lavoro con scrupolo e coscienza, ma non si può dire che fosse riuscito a realizzare un colpo grosso. Ci stava provando quando era in pensione, e c'è da credere che fosse sulla pista giusta, che avesse già raccolto elementi sufficienti per risalire ai killer e ai mandanti di alcuni oscuri delitti ». Ingerenza mal tollerata L'ingerenza dell'ex maresciallo è mal tollerata dalle « famiglie » di San Lorenzo. Con le sue « indagini a titolo personale » è andato troppo avanti. La cosca è in pericolo. Si riunisce il « tribunale di mafia », che pronuncia la sentenza di morte. « La decisione di uccidere Sorino è stata presa a freddo, calcolando tutti i rischi che un delitto del genere poteva determinare. Ma nella logica della mafia era una "sentenza" inevitabile », dice oggi uno degli inquirenti della questura di Palermo. La sera del 10 gennaio è fredda e piovosa. Alle 20 Angelo Sorino rincasa dalla spesa. Strada deserta. Nel portone di casa il pensionato si ferma per chiudere l'ombrello. Dal buio esce il sicario che l'uccide con cinque rivoltellate alla schiena. Calibro 38, accerta la polizia. E' l'arma « giusta », è la pistola di un professionista, le indagini si orientano subito verso la mafia. Qualche giorno dopo, tale Luigi Mineo. involontario testimone dell'uccisione di Sorino, in strada viene sfio-rato da una pallottola. Uncalibro 38 che gli passa a due o e n e e e i a ee . o o oe a iè oera ei i è neri lo lo ri i a o, ae dita dal capo e significa: « Non parlare ». Nessuno parla. Le indagini sono difficili. Settimane di lavoro investigativo incalzante. Pare che la soluzione del delitto venga trovata tra le carte e gli appunti del pensionato. Leggo: « L'assassinio probabilmente sarebbe rimasto impunito, se lo stesso sottufficiale non avesse lasciato nero su bianco, mettendo polizia e carabinieri sulla pista giusta. Gli hanno cucito la bocca, ma non sono riusciti a distruggere il suo lavoro ». Indirettamente ha lavorato anche lui alle indagini. Per trent'anni ha cercato il « colpo grosso », ha aspettato il suo momento. E' arrivato dopo la sua morte. Il giudice istruttore Rocco Chinnici spicca undici mandati di cattura contro mafiosi accusati di concorso a delinquere e di concorso in omicidio pluriaggravato. La notte scorsa decine di agenti e carabinieri isolano San Lorenzo. La grande retata avviene in silenzio e con la cautela necessaria per non insospettire le sentinelle, sempre vigili, della mafia del quartiere. Otto boss, accusati di essere i « giudici » che hanno condannato Sorino sono sorpresi nel solino, viene catturato anche il sicario, sfuggono all'arresto i due che hanno aiutato la sua fuga, dopo il delitto. Ora i nove sono all'Ucciardone, in celle isolate. Hanno eliminato un avversario, ma non hanno potuto distrugge- o-1 r! " s"° \aV°r0' ed è questo n\che li porta in corte d'assise, e | Luciano Curino

Persone citate: Luigi Mineo, Pallavicino, Petrosino, Rocco Chinnici, Vincenzo Pedone

Luoghi citati: Palermo, Petrosino