Santiago, silenzio e povertà di Livio Zanotti

Santiago, silenzio e povertà Nel Cile del golpe la gente tace e i prezzi salgono Santiago, silenzio e povertà I giornali di opposizione sono stati chiusi e anche "La Prensa", quotidiano democristiano, ha deciso di sospendere le pubblicazioni - Per strada, nessuno più discute o grida - I negozi sono colmi di merce, ma i prezzi sono inaccessibili ai più - E' tuttora in pieno vigore il coprifuoco (Dal nostro inviato speciale) Santiago, 22 marzo. Il ministro cileno dell'Economia, Fernando Leniz, interviene oggi ad una conferenza stampa e ammette che «tutti si lamentano per l'aumento dei prezzi». Ma aggiunge che non se ne preoccupa; al contrario, l'ex presidente del consiglio di amministrazione del gruppo editoriale Et Mercurio, da sempre il più influente del giornalismo conservatore cileno, dice che proprio perché la protesta è generale essa rappresenta la prova che il governo militare sta agendo con giustizia. «L'inflazione nel nostro Paese è qualcosa di inevitabile, ma sarà compensata con miglioramenti periodici dei salari dei lavoratori», spiega il suo sottosegretario. A sei mesi dal pronunciamento delle forze armate che rovesciò il governo di Unità Popolare e condusse alla morte del presidente Salvador Allende, l'aumento vertiginoso del costo della vita è l'aspetto che più immediatamente colpisce chi arriva a Santiago. E' il volto senza maschera della nuova realtà cilena, per il resto confusa da un velo di timoroso silenzio. I giornali di opposizione sono stati chiusi. Anche La Prensa, il quotidiano orientato dalla democrazia cristiana, ha deciso di sospendere le pubblicazioni. La foga verbale, lo spirito polemico, tradizionali una volta nella gente cilena, hanno ceduto adesso il posto ad un'intima voglia di riflettere. Il centro della città, tra l'alberata Alameda che questo inizio d'autunno tinge di giallo, l'elegante Huerfanos e la Plaza de Armas, durante il giorno appare il formicaio di sempre, colmo di gente in continuo viavai. Ma sono scomparsi i gruppetti che discutevano appassionatamente, talvolta giungendo alle grida, agli angoli delle strade. Come un rituale, senza nessun commento ad alta voce, signore piene di decoro, giovani in blue-jeans, uomini di età accompagnati dai figli già grandi, si fermano davanti alle vetrine ora colme di articoli di ogni genere e di buona qualità. Il dramma dei rifornimenti sembra terminato. Un paio di scarpe costa 12 mila escudos, equivalenti a circa 10 mila lire; una giacca da uomo 30 mila escudos; un paio di pantaloni poco meno della metà. La gente guarda a lungo e tira diritto. I negozi sono affollati fuori e semivuoti dentro. I piccoli commercianti dicono che le cose non vanno come speravano. Il governo li accusa di voler guadagnare eccessivamente, di volersi rifare in una volta sola del tempo perduto. Anche l'acquisto dei generi di prima necessita comporta un severo esame dell'economia familiare per la .gran parte della popolazione. Un operaio, un impiegato guadagnano mensilmente tra i 25 e i 35 mila escudos. Ma c'è chi guadagna molto meno. Nella piccola pubblicità dei quotidiani, un appartamento di 2-3 ambienti viene offerto in affitto a 50 mila escudos mensili. La carne costa mille escudos al chilogrammo, l'olio da cucina 600, la farina è passata da 1500 a 4600 il sacco da 40 chili, per un chilo di pane comune bisogna pagare 120 escudos. I dettaglianti della periferia, che servono la clientela meno abbiente, già non vendono più a credito. La decisione della giunta militare di recuperare l'ordine economico, a suo avviso sconvolto dalla demagogia del governo di Unità Popolare, passa attraverso un'assoluta liberalizzazione del mercato. «Basta con i prezzi politici», ripetono i responsabili attuali dell'economia. Ciò che per essi vuol dire basta con le illusioni. Questo è il momento di tirare la cinghia, se vogliamo costruire qualcosa per domani: questa, in sintesi, è la filosofia dei generali. Chiedono fiducia e non nascondono che comunque sono risoluti a prendersela. Non è più tempo di blandizie, commentano. Il rame, il .grande tesoro del Cile, e la sua catena alla dannazione della monocultura, ha raggiunto oggi sul mercato internazionale il prezzo di un dollaro e 32 centesimi alla libbra, una quotazione record. Continuando di questo passo, l'esportazione delle 800 mila tonnellate metriche programmate per l'anno corrente porterà in Cile oltre mille milioni di dollari, qualcosa come 700 miliardi di lire. E' una ventata di euforia. Anche se l'approvvigionamento dall'estero del 70 per cento del petrolio necessario a mandare avanti il Paese mangerà una grossa fetta della torta. Ci sono però malesseri che non si possono nascondere. Dissolta la centrale unica dei lavoratori quando ancora fumavano i resti incendiati della Casa di Governo, eliminati tutti i vecchi dirigenti sindacali, le autorità militari hanno proceduto a nominare i nuovi rappresentanti delle di¬ vnspnsAsuvcvpnitsmm«gMmd verse categorie. Quelli dei minatori di Chuquikamata, la riserva di rame a cielo aperto più grande del mondo, si sono rivolti direttamente al presidente della giunta, generale Augusto Pinochet Ugarte, per sollecitare aumenti salariali e una riduzione dei turni di lavoro notturni, perché la stanchezza degli operai può provocare una riduzione della produttività. Altrettanto hanno fatto, separatamente, gli impiegati delle imprese private Il governo ascolta le richieste e prende nota. Intanto, il ministro del Tesoro, contrammiraglio Lorenzo Gotuzzo, ha smentito che per la Pasqua venga distribuita una cifra «una tantum». Ha definito la notizia, pubblicata dal quotidiano Las ultimas noticias, del gruppo El Mercurio, come «l'invenzione di un giornalista irresponsabile». Parlando in generale, il presidente della giunta, Pinochet, ha detto: «Al ritorno delle vacanze, in quest'epoca, tutto si agita». Malgrado abbiano ormai in mano tutto il potere (riferendo un'intervista a Pinochet, il giornale El Mercurio scrive che il regime nato sei mesi fa non è una dittatura definitiva, ma tanto meno un semplice governo di transizione), i militari sono convinti di non ricevere tutta la collaborazione che meritano e di cui hanno bisogno. E' ancora Pinochet che ne parla: «C'è un gruppo che al contrario di altri io non considero tanto patriottico. E' gente che in un primo momento mostrò una buona disposizione di animo. Probabilmente perché credeva che il governo sarebbe stato in carica sei mesi, un anno al massimo e poi le avrebbe nuovamente passato la mano. Quando costoro si sono resi conto che questo governo è invece una cosa seria, che noi altri, gli uomini delle forze armate, stavamo guardando lontano, allora hanno cambiato atteggiamento». L'allusione, niente affatto velata, sembra diretta ai democristiani, innanzitutto, ma anche a certi settori del Partito nazionale, organizzazione storica della destra cilena. Poiché è sempre lui, Pinochet, a dire: «Mi riferisco a gruppi di tendenza democratica, non ai marxisti». Pinochet è sicuro di non sbagliare, certo sa quello che dice. «Questa gente — afferma — cerca dì dimostrare che sta collaborando; per i precedenti che abbiamo a noi risulta però il contrario». Il sabotaggio sarebbe sottile, quasi una forma di resistenza passiva. Nel complesso, tuttavia, i militari ritengono che la popolazione «quasi senza ecce¬ zioni, stia offrendo un appoggio fervente alla giunta». Nelle fabbriche il lavoro procede normalmente. Ho visto uscire in perfetto ordine, senza neppure quel confuso brusìo che accompagna in generale l'esodo di un gran numero di persone, i tremila dipendenti degli stabilimenti tessili «Sumar». Eppure, lungo la Avenida Vicuna Mackenna, 1*11 settembre scorso molti operai si erano trincerati e avevano resistito ai militari che conquistarono infine la fabbrica con le armi. Quel giorno appare adesso lontano, sebbene nessuno lo abbia dimenticato. Stanno tranquille anche le poblaciones, le bidonvilles che recingono Santiago in una misera cintura. Sono scomparsi i segni dell'attivismo politico portatovi durante i tre anni di Allende dai militanti della sinistra: i grandi cartelli con le parole d'ordine di redenzione nell'autogoverno, i ritratti gigan¬ ti del «Che» Guevara, le bandiere rossonere del Movimienlo de Izquierda Revolucionaria, il Mir di Miguel Henriquez che i militari stanno braccando senza tregua nella clandestinità in cui ha cercato rifugio. Ridotta al lumicino la Santiago dei divertimenti, in verità senza che abbia mai brillato molto neanche nel passato. Da sei mesi la capitale va a letto presto o se si attarda deve farlo chiusa nelle case. Continua lo «stato di guerra», che riduce fortemente le libertà pubbliche, e il coprifuoco scocca adesso all'una della notte per terminare alle 5 e mezzo del mattino. Ma in una città che è tutta estesa in orizzontale, con un sistema di trasporti pubblici paurosamente carente, i tre milioni di abitanti preferiscono muoversi poco, e assai prima dell'ora del coprifuoco scompaiono dalle strade. Livio Zanotti

Luoghi citati: Cile, Santiago