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Maldini e Masiero, brava gente nelle mani di Rivera e Mazzola
Maldini e Masiero, brava gente nelle mani di Rivera e Mazzola A San Siro i direttori d'orchestra dipendono dai solisti Maldini e Masiero, brava gente nelle mani di Rivera e Mazzola (Nostro servizio particolare) Milano, 22 marzo. Abituata alla grande, Milano si ritrova in clima di grande austerità. Per il prossimo derby le mancheranno il mago e II paron, in altre faccende impegnati. In panchina stavolta due personaggi in seconda, Masiero e Maldini, una sigla, MM, che è quella della metropolitana milanese. Due cari ragazzi senza grinta sufficiente per manovrare le squadre più capricciose e agitate d'Italia. Questa volta il derby sarà vinto dai giocatori soltanto, e vincerà chi avrà i nervi più saldi. La partita è aperta ad ogni risultato. Potrà andar bene il tango del Milan come il boogie-woogie dell'Inter. Purché Masiero e Maldini stiano seduti ben calmi soltanto a guardare. Tanto, è l'opinione comune, a tutti e due conviene di fare ciò che vogliono i rispettivi capitani, Rivera e Mazzola. Perché sono Rivera e Mazzola, questa è un'altra opinione da esperto, che decideranno se far partire o restare per l'anno prossimo Maldini e Masiero. Austerity « Non ascolto le voci, per il momento voglio soltanto pensare al derby », dice Maldini con tono sicuro. Il quarantenne ex capitano del Milan, sei figli e una evidente balbuzie, ostenta una sicurezza soltanto apparente. In realtà, si ripete, lui fa solo quello che gli dice Rivera. Da Rivera ha copiato il timbro manageriale: « lo sono I! direttore di uno stabilimento, una cosa è ricordare che molti dei miei ragazzi erano miei compagni di squadra, un'altra è andare in campo per una partita: gli aspetti umani di un rapporto non contano più ». Era un giocatore notevole per la sua tecnica, migliore nella forma che nella sostanza. « Ai suoi tempi — è un ex compagno di squadra che spiega — si parlava delle maldinate. Aveva accessi di sicurezza che, se andava bene, davano dei bei risultati: se no era un disastro ». Maldini è una creatura di Rocco. Si dice che il primo giorno che sostituì il paron ritornato a Trieste, abbia pianto. « Non è vero — taglia via perentorio —. Sono un sentimentale ma non ho spazio per pensare ai magoni. Rocco mi ha alutato, mi ha insegnato, seguito: ma non basta Impara re, questa non è una scuola. Puoi imparare tutto e non tra durti in niente. Ci vuole qual cosa di personale, qualcosa d istintivo ». — E' il suo caso? « Si capisce ». — £ non gli fa effetto di in cominciare la carriera di alle natore con una squadra tanto grande? « E perché mai? C'è chi è tagliato per cominciare dal poco e chi per cominciare dal grande ». — Quindi nessun effetto. « Niente. Già due anni fa ero in panchina e poi io credo ciecamente nel lavoro e nei miei venti ragazzi ». — Ma è vero che ascolta Rivera? « lo ascolto tutte le persone intelligenti, sono sempre stato disposto ad ascoltare chi ha esperienza e talento ». — Ma non è il caso di dire che qui si tratta, oltretutto, di personalità soverchiante, è ve¬ ro quel che si dice, che addirittura dipende da lui? « Perché negare che il ragazzo ha la sua voce plausibile? Ma io faccio soprattutto quello che ho in mente di fare ». — E lo sa che da questo derby dipende il suo più immediato futuro? « Ma tutti gli allenatori sono in questa posizione ambigua e precaria. Il nostro è un lavoro strano, anomalo, uguale a nessun altro. Metti l'impiegato di banca, il dottore, l'operaio: col tempo, anche senza particolare talento, avanzi di grado, ti fai la tua seggiolina. L'allenatore invece è uno che deve sempre tener pronta la valigia, allenarsi a sapere che dall'oggi al domani può trovarsi in qualche stazione per tornare a casa. Capiterà anche a me una volta o l'altra: è capitato a gente più in gamba, più matura, più esperta di me. Mors tua, vita mea: non è vero che si dice cosi? ». Sembra di leggere quel libro diligentemente stampato che è il capitano del Milan, soprattutto dopo le eleganti lezioni di saper vivere impartite da padre Eligio. La verità si guarda in faccia e si affronta, non tanto da pari a pari ma da un gradino più su. Dice padre Eligio: Rivera ha una capacità di elevazione eccezionale. Nei confronti del prossimo derby Maldini cerca di mimare l'elegante Giovanni. — Le sue possibilità di recupero In caso di malasorte? « La famiglia, i sei figli. Quando le cose van male diventano assolutamente la mia àncora di salvataggio. E' quando va bene che si vedono sotto un'altra luce che forse li si trascura un po'. Del resto a che cosa deve servire la famiglia se non a far da fortezza quando ce n'è bisogno ». Sull'altra panchina sta il grezzo soldato veneto figlio, come lui dice, « di gente senza storia ». Ha 40 anni, una moglie, nessun figlio e pare che questo gli dolga. Giocatore dell'Inter per nove anni, Masiero va in panchina per la seconda volta e sempre per sostituire un mister che ha lasciato libero il posto. « La prima volta era diverso: avevo cento giorni per portare la squadra alla fine del campionato, dopo la sostituzione di Invernizzi. Ero senza esperienza, avevo solo una gran volontà. Sinceramente, se l'anno scorso mi avessero proposto di fare da guida all'Inter, non avrei accettato. Povero calcio italiano, avevo dichiarato: ed è quel che pensavo ». La tigre Adesso ha cambiato parere. Il primo giorno che ha avuto in mano le chiavi dell'Inter ha chiamato i giocatori a rapporto ed ha detto: « Signori, questo è anche il mio personale momento, lo devo tentare ogni carta per sfruttare questa situazione favorevole a me. Indietro non ci torno più. Quindi, facciamoci sotto e cavalchiamo la tigre ». Al momento la tigre galoppa, ma questo non basta per garantire che Masiero riesca a rimanerci sopra. Se Maldini ha la squadra ben stretta intorno a sé (e forse qui non manca l'affettuosa tampona di Rocco) Masiero non può contare del tutto sui suoi giovanotti. Dicono che Mazzola, molto influen¬ te, nutra per lui una stima di tipo esclusivamente umano, dicono che Masiero non conosca niente della psicologia dei giocatori, al quali non basta il senso del dovere, o semplicemente quello sportivo, ma han bisogno di essere caricati con riti propiziatori e sottili convincimenti basati sul principio che l'avversario è anzitutto un nemico. Psicologia « Ciò che sa dire — maligna qualcuno — è soltanto: forza ragazzi, mettiamocela tutta ». // che parrebbe sufficiente per scendere in campo a sbadilare fino in fondo senza esitazione. « Sarà il caos » è invece la previsione dei più lugubri che han visto la squadra rialzare la testa dopo la partenza di Heriberto Herrera e l'arrivo di Giovanni Invernizzi. Ma quanto è durato? Il tempo di accorgersi che neanche Invernizzi era di suo gradimento. Figuriamoci questo ragazzetto di scarse parole, poco brillante, che quando giocava era fiero nemico della tecnica, ma sul plano pratico rendeva per due. La squadra è piccante, ci sono almeno due galli indomabili come Mazzola e Boninsegna, difficili entrambi da tenere a bada, l'uno per la grande padronanza di nervi, l'altro per la faccenda opposta. « lo ci provo, io ce la metto tutta » ribatte Masiero. Non ha la vanità di Helenio Herrera, né la sicurezza forse solo apparente del suo compagno di derby Maldini. Ha soltanto la volontà del contadino veneto quadrato, realista, sgobbone, grintoso. Ombra anche lui in confronto a chi l'ha preceduto. Troppi fantasmi su questo derby a San Siro. Il tango del Milan e. il boogie dell'Inter non avranno stavolta Von Karajan e Abbado sul podio. Edgar da Ferri
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