Dalle borgate portano i figli a fare il weekend in ospedale di Liliana Madeo
Dalle borgate portano i figli a fare il weekend in ospedale Alla periferia romana manca l'assistenza Dalle borgate portano i figli a fare il weekend in ospedale Sono bimbi, anche di pochi mesi, di baraccati e dei quartieri dormitorio - Quando gli ambulatori sono chiusi risolvono il problema rivolgendosi al nosocomio - L'affollamento domenicale nelle corsie (Nostro servizio particolare ì Roma, 22 marzo. Fu il prof. Boscherini, della clinica pediatrica del Policlinico, a rilevare per primo che le corsie del suo reparto si riempivano fino all'inverosimile il sabato e la domenica, e che l'incidenza dei ricoveri notturni era notevole. Un gruppo di studenti e giovani medici del « collettivo politico del Policlinico » si mise subito al lavoro. Furono preparate, in collaborazione con specialisti di altre discipline, apposite schede, 5 mila per l'esattezza. S'iniziò il rilevamento di un gran numero di dati sulla malattia e l'origine dei piccoli pazienti, che andrà a compie- tare la già copiosa documentazione raccolta dal « collettivo » su medicina e potere, malattia di classe e morte chimica e proletariato. La ricerca è incominciata un anno fa, e non è ancora terminata. Contiene indicazioni generali che sono omogenee e precise. La maggioranza dei piccoli ricoverati — risulta — proviene dall'estrema periferia, il cinque per cento sono baraccati, gli altri vengono dai quartieri dormitorio della città, dalle borgate, dai paesi della cinta laziale: e questo spiega il ricorso alle cure ospedaliere nei giorni festivi e di fine settimana, quando il « medico della mutua » se ne va, chiude l'ambulatorio che ha aperto per qualche ora al giorno lontano dalla sua abitazione, e fa risaltare in tutta la sua evidenza la situazione sanitaria di zone popolose fino all'inverosimile. Prevalgono i figli dei disoccupati, dei lavoratori saltuari, degli edili, degli ambulanti, della frangia di persone che vivono con redditi esigui e precari: il bambino che ha il papà impiegato è già un'eccezione, e questo dà la misura di quanto sia prospera l'industria della clini ca privata, anche a costo d) grandi sacrifici per i genitori dei piccoli malati senza tuttavia che si evitino loro dolorose e drammatiche conseguenze. Appartengono a famiglie numerose, in cui la durezza della situazione economica si unisce alla mancanza di educazione sanitaria Spesso potrebbero benissimo essere curati in famiglia, anziché venire ricoverati, ma la madre lavora o ha troppi figli a cui badare. Non c'è la possibilità di assicurare una alimentazione adeguata. Non esistono controlli sanitari ef ficienti e continuativi. C'è chi ricorre all'espediente di por tare un piccino magari soltanto con un raffreddore, di notte perché venga accettato. Così posti preziosi vengono sottratti a chi ne ha veramente bisogno. Si spendono miliardi per potenziare reparti che poi non sono in grado di lavorare come dovrebbero. E non nasce quella rete capillare di unità sanitarie locali di cui si continua inutilmente a parlare, che dovrebbero — con apparecchiature minime — fronteggiare le situazioni di emergenza, seguire da vicino l'esistenza di un individuo fin dal momento della nascita (così che già tutto di lui si sappia quando ancora è in grembo alla madre), attuare una seria politica di medicina preventiva, intervenire legando insieme la realtà del quartiere con la scuola e il posto di lavoro. Sono — queste — realtà già operanti negli altri Paesi civili. Da noi appartengono ancora al limbo dei progetti; e intanto la mortalità infantile continua a registrare punte che possono competere con i Paesi africani, asiatici e dell'America latina: negli ultimi vent'anni gli indici si sono abbassati; ma se si fa il confronto con gli altri Paesi europei, occupiamo un posto peggiore di quello che nel '50 avevamo, essendo passati dal 18° al 23" posto nella graduatoria europea. Liliana Madeo
Persone citate: Boscherini
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