Un capo fedayn ad Israele " Possiamo vivere in pace"

Un capo fedayn ad Israele " Possiamo vivere in pace" Un'eccezionale intervista su un giornale di Tel Aviv Un capo fedayn ad Israele " Possiamo vivere in pace" Per la prima volta nella storia, un dirigente della resistenza palestinese si rivolge agli israeliani dalle pagine di un loro quotidiano a grande tiratura - La sua analisi della situazione in Medio Oriente e le condizioni da realizzare per giungere a una pacifica convivenza Beirut, 21 marzo. Per la prima volta un dirigente palestinese si rivolge alla popolazione israeliana: una intervista a Nayef Hawatmcli, capo del Fdplp (Fronte democratico di liberazione della Palestina) comparirà domani sullo « Tedio th Aharonot », un giornale israeliano a grande tiratura. Altre prese di posizione della sinistra palestinese sono state fino a oggi riportate su organi di stampa israeliani, ma si è sempre trattato di giornali dell'estrema sinistra. Questa volta, è al grande pubblico israeliano che un palestinese si rivolge. L'intervista è stata accordata il 14 marzo a Paul Jacobs, un giornalista della «Washington Post», che ha proposto di pubblicarla prima su un giornale israeliano. Hawatmeh ha accettato. Egli ha detto che riteneva utile e anche necessario iniziare il dialogo con le masse israeliane ed esporre alla popolazione d'Israele, con precisione, le tesi palestinesi. Ciò che dà una ulteriore importanza a questa intervista-documento, è il fatto che le posizioni del Fdplp sono attualmente assai vicine a quelle di Al Fatah, la principale organizzazione della resistenza palestinese. Nayef Hawatmeh ha prima risposto globalmente a una serie di domande sulla sua analisi della situazione: «Il Fronte democratico popolare è un movimento di sinistra e il nostro modo di affrontare ogni problema si situa in una prospettiva di sinistra nazionale fondata sulla nozione di classe. Su questa base, tengo a precisare che abbiamo coscienza del fatto che la soluzione del problema palestinese richiederà una tappa storica come la nascita di Israele è stata la conseguenza di una tappa storica. «La creazione d'Israele è stato il risultato di un lungo periodo di cooperazione tra il sionismo e l'imperialismo, in un'epoca in cui il Medio Oriente era soggetto alla dominazione dell'imperialismo e dei regimi feudali arabi. Prima di questa dominazione congiunta, la regione si trovava sotto il giogo del retrogrado regime ottomano. «La nascita d'Israele è stato il risultato della supremazia del colonialismo nella regione. Ma dopo la seconda guerra mondiale, delle forze contrarie sono apparse sulla scena internazionale, e con esse sono apparse le premesse della disfatta dell'imperialismo, quando le forze del blocco socialista hanno cominciato a svilupparsi. Allorché la Repubblica Popolare è stata instaurata in Cina e le forze di liberazione nazionale si sono intese in tutto il mondo. «Dopo la creazione d'Israele, il Medio Oriente è stato teatro di una serie di avvenimenti contrari alla presenza e all'influenza colonialistica e destinati a apportare dei contributi ai movimenti di libera zione nazionale. Ciò ha portato a un continuo affrontarsi dei movimenti di liberazione arabi da una parte, e dello Stato d'Israele e dei suoi alleati imperialisti dall'altra, «Questo affrontarsi ha preso l'aspetto di numerosi conflitti armati punteggiati di cessate il fuoco e di tregue provvisorie relativamente lunghe. Inoltre, ha subito il contraccolpo dell'evoluzione dei movimenti arabi e della situazione interna in Israele, ma noi crediamo che la soluzione del problema palestino israeliano e del problema arabo - israeliano non giungerà se non dopo la sparizione delle conseguenze della tappa storica precedente, cioè dopo la scomparsa dell'imperialismo e del sionismo dalla regione. «La trasformazione del Medio Oriente in una regione democratica e progressista è ineluttabile. Questa trasformazione aprirà la via alla possibilità di una soluzione politica dei problemi. Le mo dalità di un tale processo saranno influenzate dall'evoluzione della situazione interna in Israele. Sfortunatamente dobbiamo constatare che questa evoluzione è ancora una prospettiva confinata nell'avvenire, nel lontano avvenire. «Ogni soluzione reale del problema del Medio Oriente riposa sulla fine delle tendenze regionaliste e aggressive sioniste e sul riconoscimento dei diritti nazionali completi dei palestinesi. Fino a oggi, le correnti principali di Israele si oppongono a questi due fattori. Così constatiamo che le conseguenze della guerra d'ottobre in Israele si sono orientate in un senso contrario, come evidenziano chiaramente i programmi elettorali del Likud e del Maarak. «I discorsi di Golda Meir alla Knesseth, nel corso del dibattito per la fiducia, mostrano un'opposizione a questi due elementi di base. Ella ha affermato "il rifiuto del suo governo di tornare alle frontiere precedenti il 1967" e ha tranquillizzato gli israeliani rifiutando di "riconoscere il diritto del popolo palestinese di possedere uno Stato palestinese in Cisgiordania e a Gaza". Inoltre, ella ha proclamato il suo "rifiuto di sedersi a una medesima tavola con i rappresentanti del popolo palestinese (le organizzazioni della resistenza) a Ginevra o altrove". «L'atteggiamento di Golda Meir indica chiaramente la natura espansionistica e aggressiva della forza politica principale in Israele; questo complica ancor più l'insieme della situazione. Inoltre, questo atteggiamento espone l'intero Medio Oriente a nuove guerre e a nuove sofferenze, invece che portare la speranza di una reale soluzione. «Rimarchiamo inoltre che la maggioranza degli israeliani si è orientata a destra, con la benedizione della destra e del centro-destra che cercano di portare gli israeliani a un maggiore estremismo reazionario. Ma noi sappiamo anche che la destra e il centrodestra non sono le sole forze d'Israele, né d'altrove nella regione. «Dobbiamo infine prendere in considerazione le pressioni internazionali. Di conseguenza, la situazione obiettiva dovrebbe imporre a Israele di ridurre le sue tendenze espansionistiche e aggressive. Ma il fatto che questa evoluzione non risulta dai cambiamenti politici e d'opinione in Israele, complica una volta di più la situazione. «Il punto di partenza di una reale soluzione sta in una ulteriore evoluzione democratica e progressista più nettamente opposta all'imperialismo, alla reazione e al sionismo aggressivo, così come in una serie di cambiamenti in seno a Israele e ai movimenti di liberazione arabi. Ma noi non vediamo prospettarsi rapide soluzioni e sappiamo che la realizzazione di una vera pace richiederà un lungo termine. Allo stesso tempo, ci rendiamo conto che il conseguimento allo stadio attuale da parte dei palestinesi di alcuni loro diritti nazionali, rappresenta uno dei fattori essenziali in vista di pervenire a una soluzione reale negli stadi successivi. «Primi di questi diritti del popolo palestinese della Cisgiordania e di Gaza sono il diritto di costituire una autorità nazionale indipendente e quello dei rifugiati palestinesi di ritornare nella loro patria e alle loro case, che sono state strappate loro con la forza; ciò che le Nazioni Unite hanno riconosciuto nella loro risoluzione n. 194 del 1948, proprio quando i rapporti di forza erano, in seno all'organizzazione internazionale, a favore dell'imperialismo e d'Israele. La soddisfazione di questi diritti permetterà ai palestinesi progressisti e democratici come agli israeliani ostili all'imperialismo e al sionismo di stabilire un dialogo democratico, aprendo così la via alla ricerca di una soluzione radicale e democratica del problema, soluzione basata sulla creazione di uno Stato democratico palestinese. «Dobbiamo però rimarcare che il governo israeliano, in cooperazione con il regime giordano e gli Stati Uniti, si rifiuta di riconoscere i diritti del popolo palestinese, e questo fatto non contribuisce certo alla ricerca di una soluzione parziale e provvisoria del problema. Ancor meno di una soluzione a lungo termi¬ ne. Quanto a noi, in seno all'organizzazione di liberazione palestinese, affermiamo che la creazione di un potere palestinese indipendente e il ritorno dei profughi costituiscono importanti iniziative sulla via di una successiva soluzione democratica del problema. Ma quando le forze di destra in Israele rifiutano di discutere questi due punti, esse giocano pericolosamente con l'avvenire degli israeliani, mentre le forze democratiche e progressiste, ostili al sioni¬ smo e all'espansionismo imperialista, e anche alcune personalità israeliane relativamente illuminate, come Ben Aron e Eliav, operano nell'interesse dell'avvenire degli israeliani mille volte più che Golda Meir, Dayan, Sharon e altri, perché Golda Meir e soci adottano una politica che va contro l'evoluzione storica nella regione e nel mondo. « Golda Meir, Dayan e gli israeliani che li appoggiano, hanno basato la loro politica sulla supremazia militare nella regione, mentre l'avvenire non permetterà una tale supremazia. Questa gente ha adottato un atteggiamento in contraddizione con le correnti storiche nella regione, e io mi rammarico di dover constatare che Golda Meir non ha abbandonato la mentalità di chi ha vissuto in ghetti, chiusi e isolati, e che ha creduto che il barricarsi in una fortezza rigurgitante d'armi avrebbe garantito la propria sopravvivenza. «La guerra di ottobre ha sottolineato come questa mentalità sionista sia erronea. Noi non pretendiamo che gli arabi abbiano riportato, in questa guerra, grandi vittorie, ma riteniamo che il conflitto d'ottobre abbia provato che Israele non potrà garantire il proprio futuro rimettendosi unicamente alla propria potenza militare. «Noi diciamo molto chiaramente agli israeliani che lottiamo al fine di stabilire delle relazioni pacifiche tra palestinesi e israeliani. Noi riteniamo, basandoci su tutti i precedenti storici, che vivere in pace significa trovare soluzioni democratiche e di base a tutti i problemi, nel contesto di uno Stato palestinese democratico in seno al quale vivranno palestinesi e israeliani con gli stessi diritti e gli stessi doveri. «Siamo però coscienti del fatto che la formazione di un tale Stato democratico in questo momento è impossibile. E' per questo che diciamo che lo studio delle relazioni future tra palestinesi e israeliani non può incominciare che dopo la fine della repressione nazionale della quale è vittima il popolo palestinese e che risulta dalla perdita dei suoi diritti nazionali». — Golda Meir ritiene che la creazione di uno Stato palestinese indipendente alle frontiere d'Israele rappresenti una lancia puntata al cuore dello Stato ebraico: lei che ne pensa? «Portando avanti questa tesi, Golda Meir esprime in realtà il suo rifiuto e la sua paura di riconoscere qualsiasi diritto nazionale al popolo palestinese». — Che cosa pensa di uno Stato palestinese che sarebbe demilitarizzato, per non costituire una minaccia alla sicurezza d'Israele? «Israele è un Paese che rigurgita d'armi, che possiede una tecnologia avanzata e che è sostenuto dal sionismo mondiale e dall'imperialismo. Per contro, il nostro popolo, che è un piccolo popolo, ha mezzi limitati. E' la sua sicurezza che è stata minacciata, è lui che è stato cacciato dalla sua terra. La storia è là per testimoniare. Prima e dopo il 1948, l'aggressione non è mai cessata. A partire da ciò, io le chiedo: chi minaccia chi?». m